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Lotta alla povertà e calamità, ecco dove può spingersi l’AI

Author: Simone Cosimi Wired

ai1Ma tutta questa intelligenza artificiale ci servirà a risolvere davvero i problemi concreti (e gravi) del mondo? Oltre la salute, campo in cui il machine learning ha dimostrato di poterci aiutare da molti punti di vista, verso le sfide del pianeta? Se lo è domandato, in un breve ma stimolante paper, Kiri L. Wagsta, ricercatrice del mitico Jet Propulsion Laboratory del California Institute of Technology. In quel documento lamenta la distanza fra ricerca e realtà: “Molta della ricerca attuale sul machine learning ha perso la sua connessione con i problemi che toccano la più ampia comunità scientifica e umana – si legge nell’abstract – da questa prospettiva esistono lampanti limitazioni ai data set che utilizziamo, nelle metriche che impieghiamo per le valutazioni e al modo in cui questi risultati sono comunicati ai loro domini d’origine. Quali cambiamenti servono nel modo in cui conduciamo la ricerca per aumentare l’impatto del machine learning?”.

Tema davvero molto alto, legato all’epistemologia scientifica strettamente intesa e al modo in cui vengono condotti gli studi.

Eppure in molti hanno risposto a Wangsta sull’importante ruolo che l’intelligenza artificiale può avere nel supporto e anche nella soluzione di questioni molto distanti da quelle che solitamente sentiamo accostare al tema. Per esempio Christina Ortiz-Dixon su Now, un portale finanziato da Northrop Grumman: i temi nel mirino possono essere parecchi, dalla fame nel mondo alla povertà fino al soccorso d’emergenza.

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 In fondo quando si sente parlare di intelligenza artificiale quello delle risorse alimentari, per dire, non è il primo punto a saltare in mente. Eppure i dati sono quanto di più utile e fondamentale serva quasi sempre per occuparsi dei drammi internazionali.

I dati, dunque, e soprattutto il modo in cui vengono processati dimostrano di essere molto utili a chi lavora sul campo. Un esempio ne è l’iniziativa lanciata dalle Nazioni Unite insieme alla Banca Mondiale proprio sulla fame e la povertà. Attraverso programmi come AI for Good Global Summit l’Onu sta sviluppando strategie per capire l’AI possa dare una mano concreta al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile approvati nel 2015 e da ragigungere entro il 2030. La Banca Mondiale si sta invece lanciando ancora più in profondità stringendo un accordo con la Orbital Insight, una società di analisi geospaziale, per stabilire quali informazioni satellitari possano essere più utili a tracciare la povertà e in generale i trend socioeconomici globali. Pane per i denti di u’organizzazione come quella.

Una squadra del dipartimento di Scienze della terra all’università di Stanford, per fare un altro esempio, ha ideato una tecnica di mappatura della povertà che sfrutta proprio le immagini satellitari appropriate per catturare e misurare i livelli di luminosità di un certo villaggio o di un agglomerato e da lì capire in che condizioni versino certe aree in base alle differenze fra giorno e notte. Per esempio, se un villaggio è fortemente popolato durante il giorno ma di notte sprigiona meno luminosità di quanta se ne aspetterebbe e non si tratta di un’area rurale, allora quello può essere considerato un indicatore di povertà di nuovo genere. Reso possibile proprio dall’analisi delle informazioni in parte automatizzata. Nel complesso, infatti, raccogliere questo tipo di dati può rendere possibile tracciare con più chiarezza le zone povere e fornire le informazioni a gruppi umanitari, ong e agenzie governative per affrontare al meglio le sfide di specifiche regioni.

Il fronte degli smartphone e dell’uso dei dati che raccolgono è stato in parte già esplorato. Ma in questo caso l’intelligenza artificiale può contribuire ulteriormente. I ricercatori dal Data Science Institute e dal dipartimento di Informatica dell’Imperial College di Londra hanno ad esempio sviluppato un algoritmo in qualche modo “indovino”: può infatti analizzare i dati mobili degli utenti in una certa regione per prevederne il genere. Un corpus demografico utile in caso di disastri per tracciare e identificare le fasce d’utenza più vulnerabili come le donne con bambini piccoli e veicolare più rapidamente gli aiuti, specie in aree lontane dai centri o pericolose.

Sempre nelle crisi tornano molto utili tecnologie di mappatura che mescolano social network, email e messaggi per identificare e individuare le persone: si è visto che è possibile grazie all’Artificial Intelligence for Disaster Response, un sistema messo a punto dal Qatar Computing Research Institute. Raccoglie e classifica i tweet pubblicati nel corso di un evento e li dà in pasto agli algoritmi di machine learning in grado di sfornare mappe virtuali che raccontano gli eventi in tempo pressoché reale.

La stessa Northrop Grumman ha fornito aiuti simili, per esempio nel 2013 nel corso del tifone Haiyan nelle Filippine, sfruttando i dati raccolti tramite immagini dettagliatissime e guidando i soccorsi verso i sopravvissuti. Prima l’aveva fatto ad Haiti, nel 2010, o a Fukushima, in Giappone, nel 2011. In generale, l’AI potrà continuare a essere utilizzata per scopi molto diversi: “Nelle aree a basso reddito, l’agricoltura e la salute sono due ecosistemi critici ai quali possiamo applicare fin da ora l’intelligenza artificiale” ha spiegato Jack Hidary, senior advisr di XLabs e imprenditore, al britannico Telegraph. All’evolversi dell’AI cambieranno e aumenteranno insomma anche i campi, gli ambiti e le soluzioni ai quali applicarla. Anche quelli che, oggi, sembrerebbero più trascurati.

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