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PlayerUnknown’s Battlegrounds Recensione: la dura vita del Battle Royale arriva anche su PS4

Artisticamente discutibile, graficamente claudicante e ludicamente essenziale. Ma anche incredibilmente appassionante, continuamente vario e persino unico ad ogni partita, ad ogni “battaglia reale”. Se a dare vita al genere sia stato proprio PlayerUnknown’s Battlegrounds resta quesito aperto e discusso. Certo è, invece, che il “Battle Royale” sia mutato in fenomeno proprio “grazie” al titolo di Bluehole, tanto criticato quanto, lo dicono i numeri, giocato. In milioni si sono prima sfidati su PC. Poi, alla fine del 2017, le battaglia si è spostata su Xbox One per giungere, in questi giorni, anche su PS4. In dote, i soliti difetti, i soliti pregi. Per un comparto tecnico che registra buone performance su PS4 Pro, assolutamente vicina alle prestazioni di Xbox One X, e diverse criticità sull’hardware base. Insomma, tutto nella norma, tutto come una volta.

PlayerUnknown's Battlegrounds

Ancora tu, non dovevamo vederci PUBG?

Alla fine, la strombazzata esclusiva lanciata da qualche palco si è rivelata essere temporale. A nostro modo di vedere, una scelta obbligata per un titolo che, negli ultimi 12 mesi, ha pagato la presenza costante e gratuita di Fortnite perdendo, un poco alla volta, pezzi di fanbase a favore del titolo Epic. D’altro canto, il prezzo di quasi 30 euro necessario per mettere la mani sul titolo rappresenta, nel mercato odierno, una porta di ingresso abbastanza proibitiva per una buona fetta di giocatori. Alla fine, al netto delle differenze prestazionali tra i vari hardware, PUBG, anche su console Sony, è sempre lo stesso, identico gioco già presente sul mercato da tempo. Meglio, però, ripetere, sintetizzando, genesi e natura della produzione, sia mai che qualche lettore abbia passato gli ultimi mesi su un’isola deserta diversa dalle tre presenti, al momento, nel pacchetto.

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Nato come mod di Arma II, PUBG è, appunto, un Battle Royale puro e crudo. Il giocatore è uno dei 100 disperati che, dopo una breve attesa nella lobby, si ritroveranno a bordo di un aereo sorvolando, appunto, una delle tre mappe. Ad un certo punto, ci si dovrà lanciare col paracadute, scegliere l’approdo, recuperare equipaggiamento offensivo e difensivo e sopravvivere attuando, a seconda dell’indole o delle situazione, un atteggiamento da coniglio piuttosto che da leone. Sopravvivere a tutto e a tutti, sia chiaro. La vittoria, nella modalità principe, è roba per un solo giocatore, chiamato, appunto, a restare in vita a dispetto degli avversari. “Uccidi o sarai ucciso” non è solo un motto, ma, in PUBG, la filosofia cardine dell’intera esperienza. Come se non bastassero gli istinti omicidi degli giocatori, inoltre, a rendere le cose più complicate ci pensa lo stesso ambiente di gioco, che si registra nel corso della partita costringendo l’avatar a rincorrere, alle volte letteralmente, una zona specifica della mappa per sfuggire al letale “cechio blu”. Di più: il nostro soldato è chiamato, anche, ad evitare come la peste le Zone Rosse sottoposte, ogni tot minuti, a bombardamenti da cui, a meno di non trovare validi rifugi, è impossibile sopravvivere. Insomma, una faticaccia, solitamente spalmata in match che sfiorano la mezz’ora. A patto di non morire subito, si intende.

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Sopravvivenze fantastiche e come trovarle

Ora, se le regole sono tutto sommato semplici e, in linea generale, metabolizzabili da chiunque nel giro di un paio di partite, indovinare la strategia perfetta per rimanere in vita sino alla fine e fregiarsi del titolo di unico sopravvissuto è tutt’altra storia. Questo perché, alla fine, la strategia perfetta non esiste neppure. Non esiste un vero e proprio sviluppo del personaggio, limitato agli aspetti prettamente estetici. Neppure, è possibile sapere come e in che modo si svilupperà un match. Questo perché ogni partita, in PUBG, è diversa dall’altra. Diversa è la rotta seguita dall’aereo che sorvola la mappa di gioco all’inizio del match, diversa la posizione di armi, munizioni, equipaggiamento e oggetti generati, seguendo il caso, sull’isola. Diverso, pure, il movimento e il posizionamento delle “Safe Zone” che, piano a piano, si ristringono ora in punto e, in un’altra partita, in un altro ancora. Diverso sarà, quindi, l’approccio da seguire. Alle volte, il giocatore sarà costretto a vestirsi da Rambo e, magari ringalluzzito da un loot particolarmente fortunato, lanciarsi a caccia di soldati altrettanto avventati. Altre volte, al contrario, bisognerà mascherarsi da Fratel Coniglietto in pavida attesa che qualcosa accada e ci obblighi a fuggire da quel rifugio occupato già da diversi minuti. In un modo o in un altro, comunque, prima o poi bisognerà mettere mano al grilletto. Quando la mappa si restringe, gioco forza, ci si ritroverà a stretto contatto con gli altri sopravvissuti. Ed è in quel momento che l’hardware può, effettivamente, fare la differenza.

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Non sono scarso, ma laggo

Piuttosto che abbracciare la dinamicità di Fortnite e simili, PUBG punta, neppure troppo grossolanamente, al realismo. Le armi sono tutte repliche piuttosto fedeli, capaci di restituire un feeling sorprendentemente “fisico” e pure vario. Le diverse modalità di fuoco, ma anche le modifiche apportabili nel corso della partita, tra calci, silenziatori e mirini, aggiungono ulteriori elementi di caratterizzazione al proprio personaggio in ogni singolo match. D’altro canto, sparare bene non è così immediato. La particolare mappatura dei comandi su console rende l’interfaccia tutt’altro che “amichevole”. A complicare ulteriormente le cose, ci si mettono rallentamenti, più o meno sporadici, e una sporcizia visiva che, alle risoluzioni più basse, rende difficoltoso anche solo individuare un nemico. Figuriamoci puntarlo. La situazione, alle volte davvero fastidiosa su PS4 base, migliora sensibilmente su Pro, dove l’aumento di risoluzione, unito a colori persino più brillanti rispetto a quelli messi in mostra da Xbox One X, facilità l’ingaggio. Tecnicamente, ad ogni modo, il titolo soffre l’ampiezza degli scenari, rovinati dal caricamento ozioso delle texture e da fenomeni più o meno gravi di pop in e pop up. Piuttosto che fare affidamento esclusivamente sugli occhi, quindi, meglio puntare a sviluppare un udito da soldato capace, anche grazie a delle buone cuffie, di percepire passi, esplosioni e aperture di porte. Se il nemico è nei dintorni, è quasi sempre possibile avvisarne la presenza.

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PlayerUnknown’s Battlegrounds, anche su PS4, mantiene pregi e difetti dell’esperienza già vissuta su altre macchine. Alle tre mappe già note, le enormi Arangel e Miramar e la “piccola” Sanhok, si aggiungerà, col tempo, l’innevata Vikendi. Già presenti, invece, le modalità cooperative per due o 4 giocatori e, pure, quella in prima persona. Dipende, in questo caso, dal numero minimo di giocatori connessi. Su piattaforme Sony, la riedizione porta in dote un completo ispirato all’idolo di casa Nathan Drake e un net code sorprendentemente solido, almeno quanto quello vantato dai rivali. La critica, a questo punto, non può essere certo totalizzante. Affossare il titolo per gli oggettivi difetti tecnici sarebbe ingiusto. Ingiusto, pure, snobbare l’intera filosofia che sorregge il particolare “sottogenere”. Di certo, i Battle Royale non sono per tutti. Molti, però, continueranno ad adorarli, vedendo in PUBG, se non il migliore esponente, il capostipite di un fenomeno destinato paradossalmente a sopravvivere più a lungo di quanto avessero previsto i detrattori più feroci. Vogliamo scommettere?

Author: GamesVillage.it

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