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Come si finanzia in Italia la videosorveglianza nei Comuni

Author: Laura Carrer Wired

Il ministero dell’Interno ha assegnato nel 2020 una gara da 17 milioni per rinnovare le telecamere in 287 Comuni. Ecco i criteri con cui ha deciso (e non sono sempre chiari)

Telecamere di videosorveglianza (Pixabay)
Telecamere di videosorveglianza (Pixabay)

Appostate a ogni crocevia o semaforo per sorvegliare spazi pubblici e privati, le videocamere sono ormai diventate un arredo urbano al quale non facciamo nemmeno più caso. Alla ricerca di una soluzione pratica alla sicurezza urbana, negli ultimi tre anni il ministero dell’Interno ha spinto molto per favorire l’utilizzo di questa tecnologia. 

Dal 2017 lo Stato garantisce infatti un finanziamento annuale ai comuni per realizzare un’infrastruttura di videosorveglianza. Il 30 dicembre 2020 la ministra dell’interno Luciana Lamorgese ha approvato, sulla base del lavoro di prefetture, comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica e sindaci, la graduatoria dei comuni che otterranno il finanziamento per l’impianto. Un intervento statale che vede assegnati 17 milioni di euro nella graduatoria 2020, suddivisi tra i 287 comuni vincitori, che diventeranno 27 milioni nel 2021 e 36 milioni nel 2022. Un aumento, forse, sulla scia della quantità di amministrazioni comunali che hanno richiesto il finanziamento, dieci volte di più di quelle che l’hanno vinto (2.265). 

Il finanziamento e i patti per la sicurezza urbana

Con un decreto del 27 maggio 2020, in piena emergenza coronavirus, il ministero dell’Interno e quello dell’Economia e delle finanze hanno definito le modalità di presentazione di una richiesta di finanziamento nell’ambito dei patti per la sicurezza urbana. L’erogazione dei soldi è stata definita sulla base di alcuni criteri. Lo Stato finanzierà solo nuovi impianti di videosorveglianza che non si sovrappongono a quelli già realizzati negli ultimi cinque anni, di fatto incentivando il ricorso a sistemi tecnologici per favorire la sicurezza pubblica. E saranno sostenuti solo i comuni che hanno sottoscritto i patti per la sicurezza urbana identificando nella videosorveglianza l’obiettivo primario per il contrasto alla criminalità predatoria

I patti sulla sicurezza non sono pubblici prima che i comuni li presentino alla Prefettura e dunque al ministero dell’Interno, e a volte nemmeno dopo. Online si trovano unicamente quelli riferiti ad annualità passate, sostituiti presumibilmente da nuovi ogni anno. Sul sito della Prefettura di Sondrio, per esempio, ne sono indicati alcuni, e in tutti questi, proprio come richiesto dal decreto del maggio scorso, ricorre l’utilizzo principale dello strumento di videosorveglianza. Non è possibile vedere quelli redatti dalle Prefetture di Novara, Asti, Como e Pavia, che con quella di Sondrio rappresentano le cinque province in cui i comuni hanno ricevuto il punteggio maggiore per il finanziamento del ministero.

Questi patti definiscono la declinazione pratica e gli strumenti attuativi per prevenire e contrastare la criminalità predatoria, tutelare la legalità, promuovere il decoro urbano. Secondo la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, fra l’altro, sarebbero previsti anche meccanismi per il monitoraggio dei risultati conseguiti e, in caso, rimodulare le misure. Uno strumento importante, soprattutto se al centro di tutto il discorso c’è proprio la volontà di aumentare la sicurezza dei cittadini attraverso lo strumento della videosorveglianza (che, stando alla bozza di patto per la sicurezza fornito dalla Polizia di Stato, risulta infatti il primo strumento attuativo concreto da installare o potenziare). 

Come si decide il grado di sicurezza di un Comune

Una volta ultimati, i patti arrivano sulla scrivania della Prefettura territoriale competente che redige la scheda di sintesi e rappresenta gli indici di delittuosità del comune e della provincia. Ma non solo, sono vagliati anche altri requisiti come appunto l’incidenza dei fenomeni di criminalità cosiddetta “diffusa” e la dichiarazione di dissesto o di provvedimento di scioglimento conseguente a fenomeni di infiltrazione mafiosa nei confronti del comune. Per quanto riguarda l’incidenza del fenomeno di criminalità, la Prefettura elabora un giudizio riferito all’area urbana – identificata dal comune – da sottoporre a videosorveglianza. 

Secondo le linee guida per l’attuazione della sicurezza urbana, rinnovate nel 2018 dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, sono da considerare le aree limitrofe a “scuole, plessi scolastici e sedi universitarie, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici […], ovvero aree adibite a verde pubblico.” Un criterio talmente ampio che sembrerebbe facoltà di qualsiasi comune identificare un’area di questo tipo nella propria città, che può essere estesa anche fino a 300 metri di distanza dai luoghi da tutelare (criteri utilizzati anche per l’applicazione del provvedimento di allontanamento di un soggetto e del cosiddetto daspo urbano). 

Su questo, il rispetto per la privacy del cittadino è rimandato al decreto legislativo 11 del 2009, citato anche dal Garante della privacy nell’ultimo aggiornamento alle linee guida sulla videosorveglianza, che prevede “la conservazione dei dati, delle informazioni e delle immagini raccolte mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione”.

Ma il Garante parla anche di utilizzo della videosorveglianza da parte dei Comunisolo se non risulta possibile, o si riveli non efficace, il ricorso a strumenti e sistemi di controllo alternativi e comunque nel rispetto del principio di minimizzazione dei dati.” Purtroppo però, oltre a non poter consultare i patti per la sicurezza, e quindi verificare vi siano citati strumenti e sistemi di controllo alternativi rispetto alla videosorveglianza, anche le statistiche arrivano dopo. Sempre la Conferenza stato-città e autonomie locali chiarisce che “ulteriori elementi di valutazione potranno essere individuati dai Prefetti all’esito di dedicate sedute del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, tra i luoghi nelle cui adiacenze si sono registrati reati di criminalità diffusa o di deturpamento del patrimonio edilizio pubblico o privato”.

Un comune di neanche 200 abitanti primo in graduatoria

Il punteggio più alto (49,50 su 50) è stato raggiunto dal comune di Tartano in provincia di Sondrio, con una popolazione di 195 abitanti. Secondo i calcoli della Prefettura, che elabora l’indice di delittuosità del comune e della provincia sulla base dei dati forniti dalle questure, il primo risulta 9.743,28 e il secondo è pari a 2.428,42. Il rapporto tra i due comporta un’incidenza del fenomeno di criminalità diffusa “elevatissima”. L’indice di delittuosità di Roma capitale è di 6.021,47, addirittura inferiore rispetto a quello di Tartano, nonostante i quasi 3 milioni di abitanti della capitale italiana. Ma è chiaro che, in una realtà così piccola, basta poco per far schizzare in alto gli indici.

La criminalità cosiddetta diffusa consiste nei crimini violenti che avvengono nello spazio pubblico in maniera capillare (furto con strappo, furto aggravato, rapina, estorsione). La delittuosità viene calcolata dal rapporto tra i delitti commessi nella provincia o nel comune (al 31.12.2019) moltiplicato per 100.000 e diviso per il numero di abitanti. Entrambi sono anche rapportati a indici medi di delittuosità su scala nazionale o provinciale. Per la formazione della graduatoria finale, a ogni indice il ministero dell’Interno ha assegnato un punteggio da 0 fino a 20 punti. Rilevante ai fini della graduatoria anche l’importo di cofinanziamento richiesto dal comune. La richiesta di Roma, che ammontava a più di 1 milione di euro, è scivolata vicino alla millesima posizione nonostante l’incidenza dei fenomeni di criminalità fosse “elevatissima”.

Dati in chiaroscuro

L’andamento della delittuosità denunciata alle forze dell’ordine sul territorio italiano, secondo le statistiche ufficiali del ministero dell’Interno (edizione 2019), è però in flessione. I reati predatori sono esemplificati dai furti, il 50,28% della totalità, con una diminuzione del 5,77% dal biennio 2017-2018. Tutti i furti sono in calo costante: furti con strappo (-7,78%), i furti in abitazione (-2,27%), i furti di ciclomotori (-19,38%), furti di motociclo (-8,37%), furti in danno di uffici pubblici (-70,59%).

I dati sulla delittuosità della provincia di Sondrio, richiesti da Wired alla Prefettura, definiscono anch’essi uno scenario diverso. In tutta la provincia di Sondrio, composta da 77 comuni e con una popolazione di più di 180mila abitanti, il numero di furti registrati nel 2019 è 118. Di questi, 11 sono furti con destrezza, 13 in abitazione e 11 in esercizi commerciali, 9 su auto in sosta, 2 di motocicli e altri 2 di autovetture. Il totale dei delitti denunciati all’autorità giudiziaria nel corso del 2019 è invece 390.

Secondo la più recente pubblicazione Istat che analizza la criminalità in Italia, pubblicata alla fine di gennaio 2021, la provincia di Sondrio, insieme ad altre 57 province italiane, ha un tasso di microcriminalità inferiore alla media. Dato che viene confermato anche dal questore, che a La Provincia di Sondrio parla del capoluogo valtellinese come luogo che occupa “da tempo posizioni di vertice quanto a coefficienti di vivibilità, sicurezza e tenore di vita”. Alla richiesta dei dati relativi alla delittuosità comunale, il comune di Tartano non ha fornito risposta. 

L’amministrazione tartanese ha ricevuto praticamente quasi il punteggio massimo anche perché, sempre secondo le disposizioni del ministero dell’Interno previste nel decreto di maggio, i comuni che ricevono un punteggio maggiore – e quindi hanno più possibilità di finanziamento – sono quelli fino a 3.000 abitanti (10 punti). Un criterio che non è stato chiarito dal Dipartimento per la pubblica sicurezza, contattato da Wired. Favorire i comuni più piccoli e del mezzogiorno trova riscontro in un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 2017, ma la graduatoria non conferma l’ipotesi.

Basta scorrere alla settima posizione per trovare comuni che contino almeno 30mila abitanti, ovvero quelli che servono per definire la differenza tra paese e città: Segrate (36.579), in provincia di Milano, riceverà più di 60mila euro, seguito al 21° posto dalla città di Novara (103.985), più di 120mila euro. 

Nei primi venti comuni della graduatoria definitiva, l’importo maggiore è stato assegnato al comune di Buscate in provincia di Milano (4.648 abitanti), 192.750,88 euro. Al 24esimo posto i comuni di Turbigo e Castano Primo (18.379 abitanti) sempre in provincia di Milano, 290.200,25 euro aggiudicati in tandem; per poi arrivare al 51esimo posto del comune di Torino, che tra gli approvati risulta finanziamento più alto di tutti: 700mila euro per l’esecuzione del progetto Argo. Questo prevede la creazione di una rete di videosorveglianza diffusa dotata di numerose funzionalità (line crossing detection, crossing detection, intrusion detection) a partire da un impianto preesistente. 

Videosorveglianza 2.0

Il decreto legge 14 del 2017, che ha dato il via alla nuova stagione della sicurezza urbana, prevede che all’interno dei patti per la sicurezza urbana si possano inserire anche soggetti privati. In questo caso si parla di “sistemi di sorveglianza tecnologicamente avanzati, dotati di software di analisi video per il monitoraggio attivo con l’invio di segnali di allarme alle centrali delle forze di polizia o di istituti di vigilanza convenzionati”. I progetti per una videosorveglianza integrata possono essere presentati unicamente da enti che gestiscono l’edilizia residenziale (Erp), amministratori di condomini, imprese, associazioni di categoria, consorzi o comitati e devono essere in grado di interoperare con i sistemi delle forze dell’ordine. Lo scopo è quello di rendere maggiormente capillare la sorveglianza e la narrazione di sicurezza urbana come “bene pubblico”.

Sembrerebbe quindi che i cittadini siano coinvolti nel processo di “mantenimento” della sicurezza urbana solo nei casi succitati, per i quali hanno anche detrazioni sull’imposta Imu e Tasi, e non nella fase preparatoria dei patti per la sicurezza urbana. Sempre la Conferenza Stato-città ed autonomie locali chiarisce che i tavoli di osservazione (composti da dirigenti della prefettura, forze di polizia nazionale e locale) “potranno sviluppare momenti di confronto con i comitati civici e gli altri soggetti collettivi esponenziali degli interessi e dei bisogni avvertiti nelle “realtà di quartiere”, al fine di acquisire elementi di valutazione sulle criticità esistenti e di fornire […] punti di situazione sullo stato delle iniziative avviate e sui risultati raggiunti”.

Al via in numerosi comuni italiani tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, i tavoli di osservazione potrebbero essere una risposta alla mancata partecipazione dei cittadini alle decisioni imposte dai comuni in merito allo spazio pubblico che gli appartiene. Anche se forse lo sdoganamento e la normalizzazione della videosorveglianza, unite alla narrazione di sicurezza urbana che ha fatto da padrona negli ultimi vent’anni, andrebbero ampiamente ridiscusse.

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