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Solfiti negli alimenti, il parere dell’EFSA

L’assunzione di solfiti negli alimenti – usati come antiossidanti, conservanti e antimicrobici – può causare problemi in soggetti intolleranti o ipersensibili. L’EFSA ne conferma gli effetti nocivi, anche se i dati sulla loro tossicità presentano ancora delle lacune. Un consumatore attento può leggerne in etichetta la presenza di solfiti, indicati con i codici da E220 a E228

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Foto di PublicDomainArchive da Pixabay

Solfiti aggiunti come antiossidanti, conservanti e antimicrobici

(Rinnovabili.it) – Molte persone si dichiarano intolleranti ai solfiti e controllano la loro presenza nel vino. Ma si trovano solo nel vino? Proviamo a fare chiarezza con l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare).

I solfiti sono naturalmente presenti nel nostro organismo e in alcuni alimenti che consumiamo normalmente, come mele, cipolle, riso e cavoli, oltre che nel vino. I solfiti che ci devono “preoccupare” sono quelli che vengono aggiunti agli alimenti come antiossidanti, conservanti e antimicrobici per prolungarne la conservazione, evitare la proliferazione di organismi pericolosi come funghi e batteri, e mantenerne inalterato l’aspetto più a lungo.

Gli alimenti che normalmente vengono addizionati con i solfiti sono frutta e verdura secca, prodotti a base di patate, birra e bevande al malto, vino (possono essere utilizzati anche per arrestare la fermentazione che avviene durante il processo di vinificazione e succhi di frutta).

Nocivi in grandi quantità

Sono davvero nocivi? In grandi quantità sì, quindi qualche problema si può manifestare per i forti consumatori di alimenti che li contengono, ritengono gli esperti dell’EFSA:

«I dati di tossicità disponibili non erano sufficienti per stabilire una dose giornaliera accettabile (DGA). Abbiamo invece calcolato i margini di esposizione (MOE) considerando gli apporti tramite l’alimentazione e la dose associata a effetti neurotossici nei test su animali», ha spiegato Maged Younes, presidente del gruppo di esperti EFSA sugli additivi alimentari e gli aromi (gruppo FAF).

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La DGA è la soglia sotto la quale un apporto quotidiano è sicuro. Quando ci sono evidenze di effetti nocivi, ma non sufficienti a confermare il quantitativo di sicurezza, il MOE indica la probabilità o meno che le assunzioni siano dannose.

Il MOE è il rapporto tra la dose minima alla quale si osserva un effetto avverso e il livello di esposizione alla sostanza in questione. Nel caso dei solfiti un rapporto al di sotto di 80 potrebbe indicare un problema di sicurezza: esattamente quello che è risultato dall’indagine sui forti consumatori in tutte le fasce della popolazione, ad eccezione degli adolescenti.

Non esiste un test per l’intolleranza ai solfiti

Sono state riscontrate evidenze di effetti nocivi sulla salute del sistema nervoso centrale, ad esempio una risposta ritardata delle cellule nervose agli stimoli; quindi si ritiene che i solfiti siano nocivi, ma ancora non esistono dati certi sulla loro tossicità. Ragione per cui gli esperti dell’EFSA raccomandano un approfondimento nel caso di soggetti particolarmente sensibili.

Come sapere se si è ipersensibili ai solfiti? I sintomi sono emicrania, orticaria, nausea, vomito, sudorazione, abbassamento della pressione, ma purtroppo non esiste un test validato scientificamente, come per la maggior parte delle intolleranze. Si è comunque registrata una maggiore sensibilità nei soggetti asmatici (aggravamento dei sintomi e rari casi di risposte di tipo anafilattico).

Il dato positivo è la restrizione nell’impiego dei solfiti; un consumatore attento può trovare nelle etichette le informazioni sulla presenza dei solfiti, indicati con i codici da E220 a E228.

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