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Economia Tecnologia

A che punto sono le comunità energetiche in Italia

Author: Wired

Per rendere desiderabile la transizione ecologica a quante più fette di popolazione possibile, i governi stanno insistendo non solo sui benefici climatici di questo processo, ma soprattutto sui vantaggi economici che saprà garantire. L’abbandono dei combustibili fossili in favore delle fonti a basse emissioni – così dicono presidenti e ministri in Europa e negli Stati Uniti – non è soltanto spese di riconversione, lacrime e sangue; è innanzitutto occupazione, crescita e anche risparmio.

Uno degli strumenti elaborati nell’Unione europea per diffondere la convenienza della transizione tra i cittadini sono le comunità energetiche rinnovabili. Si tratta di gruppi di soggetti – persone fisiche, piccole e medie imprese, enti locali, istituti religiosi – che si associano per condividere l’energia autoprodotta da fonti rinnovabili. Il fine ultimo, come spiega Bruxelles, è la creazione di “benefici ambientali, economici o sociali”. Nelle intenzioni, dunque, le comunità energetiche vanno oltre il risparmio in bolletta (garantito dal minor prelievo di elettricità dalla rete) e si propongono come mezzi di contrasto dei cambiamenti climatici e della povertà energetica, nell’ottica di una transizione “giusta” per l’ambiente e per la coesione sociale.

Le comunità energetiche sfruttano le peculiarità delle fonti rinnovabili per espandere la partecipazione al mercato degli utenti finali, che diventano prosumer, consumatori e produttori di energia allo stesso tempo. Le comunità energetiche possono essere tante e sparse sui territori perché anche le fonti rinnovabili lo sono: mentre la generazione termoelettrica da combustibili fossili è centralizzata, cioè posizionata in pochi siti di grandi dimensioni, la generazione rinnovabile è invece distribuita, ossia localizzata in molti punti con impianti spesso di piccola taglia. Da una parte una centrale a gas da migliaia di megawatt e un’estensione di centinaia di ettari, insomma; dall’altra un modesto pannello solare sul tetto di casa.

Tutti i numeri delle comunità energetiche in Italia

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) stanzia 2,2 miliardi di euro per la promozione delle comunità energetiche nei comuni con meno di cinquemila abitanti, per rilanciarne lo sviluppo e mitigare le situazioni di vulnerabilità economica. L’obiettivo – ma il processo deve ancora partire – è arrivare al giugno 2026 con almeno 2000 MW di capacità rinnovabile installata e una produzione di 2500 GWh. Secondo il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, in Italia nasceranno 15.000 comunità energetiche. Stimarne il loro numero attuale non è semplice, perché si tende a confonderle con i progetti di autoconsumo collettivo (un condominio che si alimenta con i propri dispositivi fotovoltaici, ad esempio) quando in realtà hanno una struttura e una finalità diverse (sono più estese, mirano all’inclusione sociale e non vincolano l’utilizzo dell’energia alla proprietà dell’impianto).

Stando all’ultimo rapporto trimestrale Energia e clima in Italia del Gse, pubblicato a maggio, alla fine del 2022 risultavano quarantasei configurazioni di autoconsumo collettivo e ventuno comunità energetiche rinnovabili, per una potenza di 1,4 MW. Sono numeri ancora piccoli rispetto ai target e alle ambizioni, ma ci si aspetta che cresceranno molto una volta che le autorità europee avranno finito di valutare il decreto presentato dal governo lo scorso febbraio. Il testo non prevede solo sostegni economici, ma fornisce alle comunità energetiche una sistemazione normativa più chiara e completa che al momento manca. Tra le altre cose, viene alzato a 1 MW il limite di potenza per ciascun impianto incentivabile – è possibile associarne di più, a patto che non superino questa capacità –, in modo da abilitare tecnologie rinnovabili diverse da quelle fotovoltaiche, che rimangono comunque le più semplici da collocare.

Author: Wired

Per rendere desiderabile la transizione ecologica a quante più fette di popolazione possibile, i governi stanno insistendo non solo sui benefici climatici di questo processo, ma soprattutto sui vantaggi economici che saprà garantire. L’abbandono dei combustibili fossili in favore delle fonti a basse emissioni – così dicono presidenti e ministri in Europa e negli Stati Uniti – non è soltanto spese di riconversione, lacrime e sangue; è innanzitutto occupazione, crescita e anche risparmio.

Uno degli strumenti elaborati nell’Unione europea per diffondere la convenienza della transizione tra i cittadini sono le comunità energetiche rinnovabili. Si tratta di gruppi di soggetti – persone fisiche, piccole e medie imprese, enti locali, istituti religiosi – che si associano per condividere l’energia autoprodotta da fonti rinnovabili. Il fine ultimo, come spiega Bruxelles, è la creazione di “benefici ambientali, economici o sociali”. Nelle intenzioni, dunque, le comunità energetiche vanno oltre il risparmio in bolletta (garantito dal minor prelievo di elettricità dalla rete) e si propongono come mezzi di contrasto dei cambiamenti climatici e della povertà energetica, nell’ottica di una transizione “giusta” per l’ambiente e per la coesione sociale.

Le comunità energetiche sfruttano le peculiarità delle fonti rinnovabili per espandere la partecipazione al mercato degli utenti finali, che diventano prosumer, consumatori e produttori di energia allo stesso tempo. Le comunità energetiche possono essere tante e sparse sui territori perché anche le fonti rinnovabili lo sono: mentre la generazione termoelettrica da combustibili fossili è centralizzata, cioè posizionata in pochi siti di grandi dimensioni, la generazione rinnovabile è invece distribuita, ossia localizzata in molti punti con impianti spesso di piccola taglia. Da una parte una centrale a gas da migliaia di megawatt e un’estensione di centinaia di ettari, insomma; dall’altra un modesto pannello solare sul tetto di casa.

Tutti i numeri delle comunità energetiche in Italia

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) stanzia 2,2 miliardi di euro per la promozione delle comunità energetiche nei comuni con meno di cinquemila abitanti, per rilanciarne lo sviluppo e mitigare le situazioni di vulnerabilità economica. L’obiettivo – ma il processo deve ancora partire – è arrivare al giugno 2026 con almeno 2000 MW di capacità rinnovabile installata e una produzione di 2500 GWh. Secondo il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, in Italia nasceranno 15.000 comunità energetiche. Stimarne il loro numero attuale non è semplice, perché si tende a confonderle con i progetti di autoconsumo collettivo (un condominio che si alimenta con i propri dispositivi fotovoltaici, ad esempio) quando in realtà hanno una struttura e una finalità diverse (sono più estese, mirano all’inclusione sociale e non vincolano l’utilizzo dell’energia alla proprietà dell’impianto).

Stando all’ultimo rapporto trimestrale Energia e clima in Italia del Gse, pubblicato a maggio, alla fine del 2022 risultavano quarantasei configurazioni di autoconsumo collettivo e ventuno comunità energetiche rinnovabili, per una potenza di 1,4 MW. Sono numeri ancora piccoli rispetto ai target e alle ambizioni, ma ci si aspetta che cresceranno molto una volta che le autorità europee avranno finito di valutare il decreto presentato dal governo lo scorso febbraio. Il testo non prevede solo sostegni economici, ma fornisce alle comunità energetiche una sistemazione normativa più chiara e completa che al momento manca. Tra le altre cose, viene alzato a 1 MW il limite di potenza per ciascun impianto incentivabile – è possibile associarne di più, a patto che non superino questa capacità –, in modo da abilitare tecnologie rinnovabili diverse da quelle fotovoltaiche, che rimangono comunque le più semplici da collocare.

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