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Il mar Glaciale Artico è infestato dalle microplastiche

Author: Wired

Anche l’atmosfera è sempre più infestata da microplastiche. Uno studio condotto su delle torbiere nei Pirenei ha rilevato che negli anni Sessanta si depositavano meno di cinque microplastiche atmosferiche al giorno per metro quadrato di terreno. Oggi sono più di 180.

La nuova ricerca sul Mar Glaciale Artico “aiuta a dimostrare che qualsiasi aumento della produzione si riflette sull’ambiente – afferma Steve Allen, ricercatore sulle microplastiche presso l’Ocean Frontiers Institute che ha condotto lo studio sulle torbiere –. E man mano che verranno alla luce ulteriori ricerche sull’esposizione umana, credo che l’aumento si vedrà anche nel corpo umano.

Gli effetti sulla catena alimentare

Le microplastiche si spostano facilmente da un ambiente all’altro. Uno studio precedente ha registrato 14mila microplastiche per litro di neve artica, trasportate nella regione dalle città europee. Ma le microplastiche raggiungono l’Artico anche via mare: quando laviamo i nostri vestiti, dai capi si staccano centinaia di migliaia o addirittura milioni di fibre sintetiche, che poi finiscono in un impianto di trattamento delle acque reflue e quindi nell’oceano. Le correnti trasportano le microplastiche fino all’Artico, dove alla fine si depositano nei sedimenti.

Il nuovo studio ha rilevato livelli più elevati di microplastiche nelle zone che segnano il ritiro del ghiaccio marino estivo. Il fenomeno potrebbe essere dovuto a una sorta di autostrada biologica. L’alga Melosira arctica cresce sulla parte inferiore del ghiaccio marino artico, fornendo cibo a organismi come lo zooplancton. Quando il ghiaccio si scioglie, l’alga affonda sul fondo del mare, portando con sé tutte le particelle sintetiche. “Questi grumi affondano molto più rapidamente sul fondo del mare rispetto ad altre particelle, nel giro di un giorno”, spiega la biologa marina Melanie Bergmann dell’Alfred Wegener Institute in Germania che ha recentemente riportato di aver trovato 31mila microplastiche per metro cubo dell’alga nel Mar Glaciale Artico.

Bergmann ha anche scoperto che lo stesso ghiaccio marino artico contiene 4,5 milioni di microplastiche per metro cubo. Quando si scioglie, le particelle di plastica si liberano e si muovono nella colonna d’acqua, forse finendo sul fondo del mare. Quando il ghiaccio marino si congela di nuovo, “raccoglie” le microplastiche dall’acqua raccogliendole nel nuovo ghiaccio.

La circolazione delle microplastiche nell’Oceano Artico può avere effetti anche sulla catena alimentare: lo zooplancton che si nutre della Melosira arctica mangia le microplastiche, di cui poi si cibano anche le creature che vivono sul fondo del mare.

Questo impatto sugli ecosistemi è il motivo per cui ambientalisti e scienziati chiedono che il trattato delle Nazioni Unite sulla plastica, attualmente in fase di negoziazione, includa un drastico limite alla produzione. Un tetto potrebbe produrre risultati rapidi: a marzo alcuni ricercatori hanno scoperto che, sebbene i livelli di microplastica negli oceani siano saliti alle stelle negli ultimi 20 anni, in realtà hanno oscillato tra il 1990 e il 2005, forse a causa dell’efficacia di un accordo internazionale del 1988 che limitava l’inquinamento da plastica delle navi.

Kim scrive che il nuovo documento è un altro punto a favore dei limiti alla produzione: “Sostiene con forza l’urgente necessità di un’azione vigorosa e concertata a livello globale per ridurre in modo sostanziale l’apporto di plastica negli oceani e quindi per proteggere l’ambiente artico”.

Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.

Author: Wired

Anche l’atmosfera è sempre più infestata da microplastiche. Uno studio condotto su delle torbiere nei Pirenei ha rilevato che negli anni Sessanta si depositavano meno di cinque microplastiche atmosferiche al giorno per metro quadrato di terreno. Oggi sono più di 180.

La nuova ricerca sul Mar Glaciale Artico “aiuta a dimostrare che qualsiasi aumento della produzione si riflette sull’ambiente – afferma Steve Allen, ricercatore sulle microplastiche presso l’Ocean Frontiers Institute che ha condotto lo studio sulle torbiere –. E man mano che verranno alla luce ulteriori ricerche sull’esposizione umana, credo che l’aumento si vedrà anche nel corpo umano.

Gli effetti sulla catena alimentare

Le microplastiche si spostano facilmente da un ambiente all’altro. Uno studio precedente ha registrato 14mila microplastiche per litro di neve artica, trasportate nella regione dalle città europee. Ma le microplastiche raggiungono l’Artico anche via mare: quando laviamo i nostri vestiti, dai capi si staccano centinaia di migliaia o addirittura milioni di fibre sintetiche, che poi finiscono in un impianto di trattamento delle acque reflue e quindi nell’oceano. Le correnti trasportano le microplastiche fino all’Artico, dove alla fine si depositano nei sedimenti.

Il nuovo studio ha rilevato livelli più elevati di microplastiche nelle zone che segnano il ritiro del ghiaccio marino estivo. Il fenomeno potrebbe essere dovuto a una sorta di autostrada biologica. L’alga Melosira arctica cresce sulla parte inferiore del ghiaccio marino artico, fornendo cibo a organismi come lo zooplancton. Quando il ghiaccio si scioglie, l’alga affonda sul fondo del mare, portando con sé tutte le particelle sintetiche. “Questi grumi affondano molto più rapidamente sul fondo del mare rispetto ad altre particelle, nel giro di un giorno”, spiega la biologa marina Melanie Bergmann dell’Alfred Wegener Institute in Germania che ha recentemente riportato di aver trovato 31mila microplastiche per metro cubo dell’alga nel Mar Glaciale Artico.

Bergmann ha anche scoperto che lo stesso ghiaccio marino artico contiene 4,5 milioni di microplastiche per metro cubo. Quando si scioglie, le particelle di plastica si liberano e si muovono nella colonna d’acqua, forse finendo sul fondo del mare. Quando il ghiaccio marino si congela di nuovo, “raccoglie” le microplastiche dall’acqua raccogliendole nel nuovo ghiaccio.

La circolazione delle microplastiche nell’Oceano Artico può avere effetti anche sulla catena alimentare: lo zooplancton che si nutre della Melosira arctica mangia le microplastiche, di cui poi si cibano anche le creature che vivono sul fondo del mare.

Questo impatto sugli ecosistemi è il motivo per cui ambientalisti e scienziati chiedono che il trattato delle Nazioni Unite sulla plastica, attualmente in fase di negoziazione, includa un drastico limite alla produzione. Un tetto potrebbe produrre risultati rapidi: a marzo alcuni ricercatori hanno scoperto che, sebbene i livelli di microplastica negli oceani siano saliti alle stelle negli ultimi 20 anni, in realtà hanno oscillato tra il 1990 e il 2005, forse a causa dell’efficacia di un accordo internazionale del 1988 che limitava l’inquinamento da plastica delle navi.

Kim scrive che il nuovo documento è un altro punto a favore dei limiti alla produzione: “Sostiene con forza l’urgente necessità di un’azione vigorosa e concertata a livello globale per ridurre in modo sostanziale l’apporto di plastica negli oceani e quindi per proteggere l’ambiente artico”.

Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.

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