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La vostra prossima birra potrebbe essere ogm

Author: Wired

È il 2013 e dopo l’Italia il boom della birra artigianale sta invadendo gli Stati Uniti. Giovani birrai entusiasti ordinano grandi quantità di nuove varietà di luppolo, che nel giro di poco tempo renderanno le Ipa onnipresenti. Vengono sfornate lattine su lattine, la birra scorre a fiumi e i soldi inondano i birrifici. Poi, però, alcuni dei produttori all’origine di questa mania si portano le lattine a casa. Prendono un bicchiere dal freezer, sollevano la linguetta, versano un ricco strato di schiuma, assaggiano un sorso e… hanno un conato.

A soffocare le celebri note di frutta tropicale è un gusto sgradevole, simile al finto burro in cui vengono affogati i popcorn nei cinema americani: “Bevevi un sorso e pensavi: ‘Un attimo, questo prima non c’era‘”, ricorda J.C. Hill, birraio e cofondatore dell’Alvarado Street Brewery, popolare birrificio di Monterey, in California, che si è imposto cavalcando l’onda del boom degli anni Dieci. “Per me rende la birra assolutamente imbevibile”, afferma Ryan Hammond, responsabile del birrificio Temescal Brewing di Oakland, a poche ore di macchina più a nord, che ha seguito una traiettoria simile.

Il colpevole è un composto volatile che risponde al nome di diacetile, dal caratteristico sapore di burro, un tempo comune nei popcorn venduti nelle sale. Una decina di anni fa, il diacetile ha inaspettatamente iniziato a comparire nelle birre luppolate dopo l’inlattinamento, trasformando delle equilibrate Ipa dall’aroma fruttato in schifezze burrose.

Oggi i birrai come Hill e Hammond possono ripensare alla crisi del diacetile quasi con nostalgia. Il nemico è stato sconfitto dalla rivoluzione silenziosa che ha investito la birra artigianale negli ultimi cinque anni: i lieviti geneticamente modificati.

Sia Alvarado che Temescal sono clienti di Berkeley Yeast, una startup biotecnologica di San Francisco sviluppatasi parallelamente ai birrifici artigianali. L’azienda vende un lievito “senza diacetile”: una piccola modifica al materiale genetico fa sì che le sue cellule producano un enzima chiamato Aldc. Questo enzima impedisce la proliferazione del diacetile che, secondo i produttori, può comparire dopo l’inlattinamento, quando il lievito non ha ancora terminato di fermentare alcuni composti del luppolo (per un’alternativa non ogm, i produttori di birra possono acquistare direttamente l’Aldc e introdurlo in vasche di fermentazione, cosa che però rende il processo più complicato).

Author: Wired

È il 2013 e dopo l’Italia il boom della birra artigianale sta invadendo gli Stati Uniti. Giovani birrai entusiasti ordinano grandi quantità di nuove varietà di luppolo, che nel giro di poco tempo renderanno le Ipa onnipresenti. Vengono sfornate lattine su lattine, la birra scorre a fiumi e i soldi inondano i birrifici. Poi, però, alcuni dei produttori all’origine di questa mania si portano le lattine a casa. Prendono un bicchiere dal freezer, sollevano la linguetta, versano un ricco strato di schiuma, assaggiano un sorso e… hanno un conato.

A soffocare le celebri note di frutta tropicale è un gusto sgradevole, simile al finto burro in cui vengono affogati i popcorn nei cinema americani: “Bevevi un sorso e pensavi: ‘Un attimo, questo prima non c’era‘”, ricorda J.C. Hill, birraio e cofondatore dell’Alvarado Street Brewery, popolare birrificio di Monterey, in California, che si è imposto cavalcando l’onda del boom degli anni Dieci. “Per me rende la birra assolutamente imbevibile”, afferma Ryan Hammond, responsabile del birrificio Temescal Brewing di Oakland, a poche ore di macchina più a nord, che ha seguito una traiettoria simile.

Il colpevole è un composto volatile che risponde al nome di diacetile, dal caratteristico sapore di burro, un tempo comune nei popcorn venduti nelle sale. Una decina di anni fa, il diacetile ha inaspettatamente iniziato a comparire nelle birre luppolate dopo l’inlattinamento, trasformando delle equilibrate Ipa dall’aroma fruttato in schifezze burrose.

Oggi i birrai come Hill e Hammond possono ripensare alla crisi del diacetile quasi con nostalgia. Il nemico è stato sconfitto dalla rivoluzione silenziosa che ha investito la birra artigianale negli ultimi cinque anni: i lieviti geneticamente modificati.

Sia Alvarado che Temescal sono clienti di Berkeley Yeast, una startup biotecnologica di San Francisco sviluppatasi parallelamente ai birrifici artigianali. L’azienda vende un lievito “senza diacetile”: una piccola modifica al materiale genetico fa sì che le sue cellule producano un enzima chiamato Aldc. Questo enzima impedisce la proliferazione del diacetile che, secondo i produttori, può comparire dopo l’inlattinamento, quando il lievito non ha ancora terminato di fermentare alcuni composti del luppolo (per un’alternativa non ogm, i produttori di birra possono acquistare direttamente l’Aldc e introdurlo in vasche di fermentazione, cosa che però rende il processo più complicato).

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