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Cos’è il virus Nipah che sta mettendo in allarme l’India

Author: Wired

Anoop e il suo team sapevano di dover muoversi rapidamente: non esistono trattamenti autorizzati per il Nipah, né tantomeno vaccini. Se il virus avesse preso piede o si fosse diffuso al di fuori dell’area locale, gli effetti avrebbero potuto essere catastrofici. Ma prima avevano bisogno di una conferma.

I raggruppamento di casi sospetti nella stessa famiglia, il collegamento con Ali, i sintomi neurologici preoccupanti, la mancanza di una diagnosi appropriata: “Avevamo forti motivi per sospettare che fosse di nuovo il Nipah”, dice Anoop. “Un’altro campanello d’allarme era il rapido peggioramento del paziente“, continua il medico riferendosi ad Ali. Nel giro di pochi giorni, l’uomo si era ammalato ed era morto. E poi c’era un ultimo segnale: “Ali viveva vicino all’epicentro dell’epidemia di Nipah del 2018 in Kerala“.

Temendo il peggio, l’équipe ha immediatamente isolato i pazienti e inviato alla famiglia dei tamponi da analizzare. Da lì a poco, però, un altro paziente è stato ricoverato con sintomi simili. Il quarantenne Mangalatt Haris, che viveva ad Ayanchery, sempre nel Kerala, è arrivato all’Aster Mims in condizioni critiche ed è morto il giorno stesso. Anche nel suo caso, sono stati analizzati i tamponi nasale alla ricerca di Nipah.

I risultati sono arrivati il giorno successivo. Tre dei pazienti sono risultati positivi al virus: il figlio di Ali, lo zio e Haris, che non sembrava avere legami con la famiglia. L’ospedale in cui Ali era stato curato aveva prelevato dei campioni nasali dall’uomo per escludere la presenza di Covid e di altre infezioni. Anche questi tamponi sono risultati positivi al Nipah. Ali sembrava essere il primo caso della nuova ondata.

Ma era davvero così? Haris non aveva alcun legame con la famiglia di Ali e viveva in un quartiere diverso. Era possibile che avesse contratto il virus da uno sconosciuto. Forse non era il primo caso, ma solo il primo a essere stato individuato fino a quel momento. Anoop stava riflettendo anche sul periodo di incubazione. Il virus si diffonde nell’arco di 14-21 giorni, il che significa che possono passare settimane tra l’infezione e la comparsa dei sintomi della malattia. Se altre persone erano coinvolte nell’ondata, il virus avrebbe potuto essersi già diffuso su larga scala senza essere notato.

Codice rosso

La gravità della situazione non è sfuggita alle autorità statali. Con la conferma delle diagnosi di Nipah, l’ente di salute pubblica del Kerala si è messo in moto. Il 13 settembre, le autorità sanitarie hanno diviso il distretto in zone di contenimento e hanno istituito lockdown rigorosi come fatto per il Covid. Scuole, uffici e trasporti pubblici sono rimasti chiusi, gli spostamenti all’interno e all’esterno delle zone sono stati limitati e solo i negozi essenziali hanno potuto restare aperti, seppur con un orario ridotto. Per precauzione, i residenti hanno dovuto indossare mascherine, praticare il distanziamento sociale e usare disinfettanti per le mani. Gli operatori sanitari statali si sono poi dedicati all’arduo compito di rintracciare i contatti dei contagiati. Hanno isolato chiunque avesse la febbre e hanno rintracciato 1233 persone, ovvero tutte le persone entrate in contatto con Mohammed Ali, la sua famiglia e il secondo paziente Haris nel periodo in cui probabilmente erano contagiosi. Un operatore sanitario è risultato positivo.

Author: Wired

Anoop e il suo team sapevano di dover muoversi rapidamente: non esistono trattamenti autorizzati per il Nipah, né tantomeno vaccini. Se il virus avesse preso piede o si fosse diffuso al di fuori dell’area locale, gli effetti avrebbero potuto essere catastrofici. Ma prima avevano bisogno di una conferma.

I raggruppamento di casi sospetti nella stessa famiglia, il collegamento con Ali, i sintomi neurologici preoccupanti, la mancanza di una diagnosi appropriata: “Avevamo forti motivi per sospettare che fosse di nuovo il Nipah”, dice Anoop. “Un’altro campanello d’allarme era il rapido peggioramento del paziente“, continua il medico riferendosi ad Ali. Nel giro di pochi giorni, l’uomo si era ammalato ed era morto. E poi c’era un ultimo segnale: “Ali viveva vicino all’epicentro dell’epidemia di Nipah del 2018 in Kerala“.

Temendo il peggio, l’équipe ha immediatamente isolato i pazienti e inviato alla famiglia dei tamponi da analizzare. Da lì a poco, però, un altro paziente è stato ricoverato con sintomi simili. Il quarantenne Mangalatt Haris, che viveva ad Ayanchery, sempre nel Kerala, è arrivato all’Aster Mims in condizioni critiche ed è morto il giorno stesso. Anche nel suo caso, sono stati analizzati i tamponi nasale alla ricerca di Nipah.

I risultati sono arrivati il giorno successivo. Tre dei pazienti sono risultati positivi al virus: il figlio di Ali, lo zio e Haris, che non sembrava avere legami con la famiglia. L’ospedale in cui Ali era stato curato aveva prelevato dei campioni nasali dall’uomo per escludere la presenza di Covid e di altre infezioni. Anche questi tamponi sono risultati positivi al Nipah. Ali sembrava essere il primo caso della nuova ondata.

Ma era davvero così? Haris non aveva alcun legame con la famiglia di Ali e viveva in un quartiere diverso. Era possibile che avesse contratto il virus da uno sconosciuto. Forse non era il primo caso, ma solo il primo a essere stato individuato fino a quel momento. Anoop stava riflettendo anche sul periodo di incubazione. Il virus si diffonde nell’arco di 14-21 giorni, il che significa che possono passare settimane tra l’infezione e la comparsa dei sintomi della malattia. Se altre persone erano coinvolte nell’ondata, il virus avrebbe potuto essersi già diffuso su larga scala senza essere notato.

Codice rosso

La gravità della situazione non è sfuggita alle autorità statali. Con la conferma delle diagnosi di Nipah, l’ente di salute pubblica del Kerala si è messo in moto. Il 13 settembre, le autorità sanitarie hanno diviso il distretto in zone di contenimento e hanno istituito lockdown rigorosi come fatto per il Covid. Scuole, uffici e trasporti pubblici sono rimasti chiusi, gli spostamenti all’interno e all’esterno delle zone sono stati limitati e solo i negozi essenziali hanno potuto restare aperti, seppur con un orario ridotto. Per precauzione, i residenti hanno dovuto indossare mascherine, praticare il distanziamento sociale e usare disinfettanti per le mani. Gli operatori sanitari statali si sono poi dedicati all’arduo compito di rintracciare i contatti dei contagiati. Hanno isolato chiunque avesse la febbre e hanno rintracciato 1233 persone, ovvero tutte le persone entrate in contatto con Mohammed Ali, la sua famiglia e il secondo paziente Haris nel periodo in cui probabilmente erano contagiosi. Un operatore sanitario è risultato positivo.

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