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Quando gli U2 riportarono la musica a Sarajevo

Author: Wired

La guerra è finita nel momento in cui Bono è apparso sul palco”. Chiedete a qualsiasi ragazzo si trovasse al Koševo Stadium di Sarajevo in quella sera del 23 settembre del 1997, ad assistere al concerto degli U2. Vi diranno tutti la stessa cosa. Sì, la guerra in Bosnia si era conclusa, con un trattato di pace molto doloroso. Ma le guerre non finiscono quando si smette di sparare. Le guerre durano a lungo e portano con sé le macerie. E dopo quel sanguinoso conflitto non si trattava solo di ricostruire la città. Ma serviva ricostruire il tessuto sociale, le relazioni, riportare la gente alla vita. E la vita sembrò arrivare finalmente a Sarajevo, annunciata dalle luci delle decine di tir che trasportavano il palco in città. In quello stadio, che era stato costruito per le Olimpiadi invernali del 1984 e durante la guerra era diventato un cimitero, andò in scena qualcosa che, per tutti quelli che lo ricordano, è stato molto più un di un concerto. La storia di questo evento storico è raccontata in un bellissimo film, Kiss The Future, del bosniaco Nenad Cicin-Sain, che, dopo Berlino, è passato alla Festa del Cinema di Roma. Non ha ancora una distribuzione in Italia. Pensateci: un’uscita evento in tre serate per richiamare i fan degli U2 sarebbe speciale.

Una resistenza a base di punk, rock, arte e ironia

Quel concerto è una storia che parte da molto lontano, almeno quattro anni prima. Un ragazzo americano, Bill Carter, che si trovava a Sarajevo quasi per caso, aveva capito che se era capitato lì in quel momento, era perché doveva fare qualcosa per la gente che viveva sotto assedio. I ragazzi delle città avevano messo a punto una loro particolarissima resistenza a base di punk, rock, arte e ironia. Per quei ragazzi gli U2, che univano rock e impegno sociale, e che vedevano via satellite su Mtv, erano l’incarnazione della loro resistenza. “Tutti usiamo la musica per proteggerci” racconta Bono oggi, intervistato per il documentario. “È una sorta di guscio contro le forze oscure”. Bill Carter decide di chiamare in aiuto gli U2: parte da Sarajevo e arriva in Italia, a Verona, nel luglio del 1993. Intervista Bono per un programma della tv di Sarajevo, divertente ma intensa: negli occhi di Bono si legge un’empatia e una sincera commozione. “Bill Carter mi ha chiesto: perché tutto questo? E io non ho saputo cosa rispondergli” racconta Bono nel libro Gli U2 alla fine del mondo. “Gli ho detto che il cuore umano è avido, e usa la religione, il colore della pelle o mille altri pretesti per giustificare la propria avidità. Diamo la colpa al cuore umano”. Bono promette a Carter di andare a suonare a Sarajevo. L’idea è di andare là subito, durante la guerra. Gli U2, soprattutto il temerario Bono di allora, ci pensa seriamente. Ma è davvero troppo rischioso.

Se non possiamo andare a Sarajevo, portiamo Sarajevo nei nostri concerti

Author: Wired

La guerra è finita nel momento in cui Bono è apparso sul palco”. Chiedete a qualsiasi ragazzo si trovasse al Koševo Stadium di Sarajevo in quella sera del 23 settembre del 1997, ad assistere al concerto degli U2. Vi diranno tutti la stessa cosa. Sì, la guerra in Bosnia si era conclusa, con un trattato di pace molto doloroso. Ma le guerre non finiscono quando si smette di sparare. Le guerre durano a lungo e portano con sé le macerie. E dopo quel sanguinoso conflitto non si trattava solo di ricostruire la città. Ma serviva ricostruire il tessuto sociale, le relazioni, riportare la gente alla vita. E la vita sembrò arrivare finalmente a Sarajevo, annunciata dalle luci delle decine di tir che trasportavano il palco in città. In quello stadio, che era stato costruito per le Olimpiadi invernali del 1984 e durante la guerra era diventato un cimitero, andò in scena qualcosa che, per tutti quelli che lo ricordano, è stato molto più un di un concerto. La storia di questo evento storico è raccontata in un bellissimo film, Kiss The Future, del bosniaco Nenad Cicin-Sain, che, dopo Berlino, è passato alla Festa del Cinema di Roma. Non ha ancora una distribuzione in Italia. Pensateci: un’uscita evento in tre serate per richiamare i fan degli U2 sarebbe speciale.

Una resistenza a base di punk, rock, arte e ironia

Quel concerto è una storia che parte da molto lontano, almeno quattro anni prima. Un ragazzo americano, Bill Carter, che si trovava a Sarajevo quasi per caso, aveva capito che se era capitato lì in quel momento, era perché doveva fare qualcosa per la gente che viveva sotto assedio. I ragazzi delle città avevano messo a punto una loro particolarissima resistenza a base di punk, rock, arte e ironia. Per quei ragazzi gli U2, che univano rock e impegno sociale, e che vedevano via satellite su Mtv, erano l’incarnazione della loro resistenza. “Tutti usiamo la musica per proteggerci” racconta Bono oggi, intervistato per il documentario. “È una sorta di guscio contro le forze oscure”. Bill Carter decide di chiamare in aiuto gli U2: parte da Sarajevo e arriva in Italia, a Verona, nel luglio del 1993. Intervista Bono per un programma della tv di Sarajevo, divertente ma intensa: negli occhi di Bono si legge un’empatia e una sincera commozione. “Bill Carter mi ha chiesto: perché tutto questo? E io non ho saputo cosa rispondergli” racconta Bono nel libro Gli U2 alla fine del mondo. “Gli ho detto che il cuore umano è avido, e usa la religione, il colore della pelle o mille altri pretesti per giustificare la propria avidità. Diamo la colpa al cuore umano”. Bono promette a Carter di andare a suonare a Sarajevo. L’idea è di andare là subito, durante la guerra. Gli U2, soprattutto il temerario Bono di allora, ci pensa seriamente. Ma è davvero troppo rischioso.

Se non possiamo andare a Sarajevo, portiamo Sarajevo nei nostri concerti

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