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Perché in Cina hanno indotto di proposito l’autismo in un gruppo di cani

Author: Wired

Un gruppo di ricercatori in Cina ha indotto per la prima volta dei comportamenti associati ai disturbi dello spettro autistico (Asd, dall’inglese Autism spectrum disorders) in un gruppo di cani attraverso una modifica genetica. L’obiettivo degli scienziati era quello di studiare i meccanismi neuronali coinvolti in questa condizione negli esseri umani.

Il team guidato da Rui Tian dell’Accademia cinese delle scienze è riuscito a ricreare degli atteggiamenti legati all’Asd in alcuni beagle. Per ottenere questo risultato, gli scienziati hanno manipolato il gene Shank3 utilizzando la tecnica di editing genomico nota come Crispr-Cas9. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, riporta che le mutazioni del gene Shank3 sono una delle caratteristiche rilevate nei pazienti con autismo.

I beagle con la mutazione “hanno mostrato distinti e robusti deficit del comportamento sociale, tra cui isolamento sociale e ridotte interazioni sociali con gli esseri umani, oltre a un aumento dell’ansia in diversi contesti sperimentali“, si legge nella ricerca firmata da 17 scienziati.

L’enigma dell’autismo

I disturbi dello spettro autistico rappresentano una delle maggiori incognite nel campo delle neuroscienze contemporanee. Secondo i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti, l’Asd può essere definito come una disabilità dello sviluppo che colpisce la comunicazione, l’interazione sociale e il comportamento, causata da differenze nel cervello. I neurologi non hanno ancora identificato il meccanismo che scatena l’Asd, ma sospettano che si tratti di un disturbo genetico che si combina con fattori ambientali.

Nel tentativo di comprendere meglio questi disturbi, parte della comunità scientifica si è dedicata alla progettazione di piattaforme per lo studio delle malattie neuronali. Tra queste, l’induzione dell’autismo negli animali si è dimostrata l’opzione più adatta.

I topi sono stati i primi esseri viventi a essere manipolati geneticamente in modo da sviluppare comportamenti correlati ai disturbi dello spettro autistico. Tuttavia, a causa delle differenze morfologiche tra il cervello dei roditori e quello degli esseri umani, e di quelle nei sistemi di comunicazione delle due specie, è stato necessario testare l’idea in altri organismi.

Perché proprio i cani

Successivamente, gli scienziati hanno applicato la stessa procedura sulle scimmie. Se da un parte i primati sono più simili agli esseri umani e i loro cervelli offrono una visione più complessa del disturbo, dall’altra rappresentano un’opzione poco praticabile. Le scimmie hanno infatti tempi di riproduzione lunghi e partoriscono un solo esemplare per gestazione. Gli elevati costi di mantenimento degli animali, poi, ne precludono l’uso negli studi pre-clinici.

Stando allo studio cinese, i cani sono un esemplare migliore per lo studio dell’Asd in quanto hanno relazioni sociali complesse sia con gli altri cani che con gli esseri umani, oltre che un metabolismo dei farmaci paragonabile al nostro. L’alto tasso di nascite per gestazione, inoltre, elimina il problema della riproduzione. I ricercatori non hanno chiarito se anche i cuccioli dei cani sottoposti all’esperimento erediteranno il gene Shank3 mutato.

In futuro, però, ci si aspetta che non sarà più necessario sfruttare gli animali per lo studio dell’Asd e di altre malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson. Attualmente la scienza sta cercando dir ricreare il cervello umano utilizzando modelli tridimensionali con tessuto cerebrale sviluppato a partire da cellule staminali. Questi “cervelli in miniatura”, insieme a tecniche come la replica digitale degli organi, rappresentano una delle principali scommesse della neurobiologia per la ricerca nell’ambito delle patologie cerebrali.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired en español.

Author: Wired

Un gruppo di ricercatori in Cina ha indotto per la prima volta dei comportamenti associati ai disturbi dello spettro autistico (Asd, dall’inglese Autism spectrum disorders) in un gruppo di cani attraverso una modifica genetica. L’obiettivo degli scienziati era quello di studiare i meccanismi neuronali coinvolti in questa condizione negli esseri umani.

Il team guidato da Rui Tian dell’Accademia cinese delle scienze è riuscito a ricreare degli atteggiamenti legati all’Asd in alcuni beagle. Per ottenere questo risultato, gli scienziati hanno manipolato il gene Shank3 utilizzando la tecnica di editing genomico nota come Crispr-Cas9. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, riporta che le mutazioni del gene Shank3 sono una delle caratteristiche rilevate nei pazienti con autismo.

I beagle con la mutazione “hanno mostrato distinti e robusti deficit del comportamento sociale, tra cui isolamento sociale e ridotte interazioni sociali con gli esseri umani, oltre a un aumento dell’ansia in diversi contesti sperimentali“, si legge nella ricerca firmata da 17 scienziati.

L’enigma dell’autismo

I disturbi dello spettro autistico rappresentano una delle maggiori incognite nel campo delle neuroscienze contemporanee. Secondo i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti, l’Asd può essere definito come una disabilità dello sviluppo che colpisce la comunicazione, l’interazione sociale e il comportamento, causata da differenze nel cervello. I neurologi non hanno ancora identificato il meccanismo che scatena l’Asd, ma sospettano che si tratti di un disturbo genetico che si combina con fattori ambientali.

Nel tentativo di comprendere meglio questi disturbi, parte della comunità scientifica si è dedicata alla progettazione di piattaforme per lo studio delle malattie neuronali. Tra queste, l’induzione dell’autismo negli animali si è dimostrata l’opzione più adatta.

I topi sono stati i primi esseri viventi a essere manipolati geneticamente in modo da sviluppare comportamenti correlati ai disturbi dello spettro autistico. Tuttavia, a causa delle differenze morfologiche tra il cervello dei roditori e quello degli esseri umani, e di quelle nei sistemi di comunicazione delle due specie, è stato necessario testare l’idea in altri organismi.

Perché proprio i cani

Successivamente, gli scienziati hanno applicato la stessa procedura sulle scimmie. Se da un parte i primati sono più simili agli esseri umani e i loro cervelli offrono una visione più complessa del disturbo, dall’altra rappresentano un’opzione poco praticabile. Le scimmie hanno infatti tempi di riproduzione lunghi e partoriscono un solo esemplare per gestazione. Gli elevati costi di mantenimento degli animali, poi, ne precludono l’uso negli studi pre-clinici.

Stando allo studio cinese, i cani sono un esemplare migliore per lo studio dell’Asd in quanto hanno relazioni sociali complesse sia con gli altri cani che con gli esseri umani, oltre che un metabolismo dei farmaci paragonabile al nostro. L’alto tasso di nascite per gestazione, inoltre, elimina il problema della riproduzione. I ricercatori non hanno chiarito se anche i cuccioli dei cani sottoposti all’esperimento erediteranno il gene Shank3 mutato.

In futuro, però, ci si aspetta che non sarà più necessario sfruttare gli animali per lo studio dell’Asd e di altre malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson. Attualmente la scienza sta cercando dir ricreare il cervello umano utilizzando modelli tridimensionali con tessuto cerebrale sviluppato a partire da cellule staminali. Questi “cervelli in miniatura”, insieme a tecniche come la replica digitale degli organi, rappresentano una delle principali scommesse della neurobiologia per la ricerca nell’ambito delle patologie cerebrali.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired en español.

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