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Idrogeno Geologico: la nuova frontiera dell’energia pulita?

Author: Rinnovabili.it

idrogeno geologico
via depositphotos

I geologi di tutto il mondo stanno lavorando per mappare l’idrogeno geologico e capire come sfruttarlo

(Rinnovabili.it) – Sulle reali potenzialità dell’idrogeno per la decarbonizzazione dei nostri sistemi energetici, si dibatte molto. A una schiera di entusiasti e tifosi della tecnologia, risponde spesso un’ancor più nutrita falange di scettici. Se finora non ha funzionato, sostengono, perché dovrebbe cominciare adesso? Se occorre una discreta quantità di energia da spendere nel processo produttivo, come può diventare una filiera economicamente sostenibile? A tutte queste domande potrebbe rispondere l’US Geological Survey (USGS), grazie a un lavoro di modellizzazione in corso per comprendere le reali potenzialità dell’idrogeno geologico, cioè quello racchiuso nei serbatoi naturali sepolti nelle profondità della crosta terrestre.

La versione naturale, chiamata anche “idrogeno bianco” o “idrogeno dorato”, se sfruttata in modo sostenibile, potrebbe rappresentare il giro di boa che dà la rivincita a un settore finora rimasto tra il sogno e la realtà. Tramite questa fonte sarebbe possibile, secondo gli scienziati, plasmare il nostro panorama energetico, specialmente in relazione a settori in cui l’elettrificazione non è una soluzione diretta. Basti pensare, per avere un’idea, ai voli di lungo raggio o al riscaldamento industriale.

L’eccitazione per la scoperta dei depositi sotterranei è palpabile. L’USGS sta cavalcando l’onda, guidando un ambizioso progetto che – oltre ai modelli previsionali – esplora la possibilità di utilizzo delle tecniche estrattive delle compagnie del petrolio e del gas per svolgere il recupero dell’idrogeno. 

Forniture potenziali per migliaia di anni

Secondo i loro modelli, sotto la crosta terrestre si troverebbe un volume medio di idrogeno che potrebbe soddisfare la domanda globale per migliaia di anni. Ma c’è un ostacolo. Gran parte di questo gas è probabilmente intrappolato in regioni troppo inaccessibili o economicamente non vantaggiose per recuperarlo. Pur mantenendo aperti questi interrogativi, i geologi americani restano ottimisti. Se anche una frazione di questo volume stimato diventasse accessibile, sostengono, potremmo trovarci di fronte a una risorsa in grado di alimentare il nostro mondo per secoli. Resta del lavoro da fare: intanto, capire dove si trovino questi depositi esattamente. Poi, come estrarre il gas in modo economico.

Il team dell’USGS sta mappando regioni degli Stati Uniti con una geologia favorevole per una estrazione abbondante di questo idrogeno bianco. La pianura costiera dal lato atlantico e il centro del paese sembrano le zone più favorevoli. Qui c’è abbondanza di strati rocciosi ricchi di ferro e resti di un antico rift che potrebbe ospitare vaste quantità di minerali capaci di formare idrogeno. Nonostante questo, occorre acquisire altri elementi: in particolare, capire se questa elevata capacità produttiva si accoppia alla presenza di strutture che hanno favorito lo stoccaggio dell’H2. Se le formazioni rocciose, infatti, non hanno la conformazione adatta, tutto questo lavoro svolto dalla natura in ere geologiche potrebbe semplicemente essere andato perso o non essere sfruttabile.

Idrogeno Bianco, oltre i modelli teorici

Mentre la caccia all’H2 bianco continua, il team dell’USGS non si accontenta di operare solo tramite modelli teorici. Gli scienziati americani stanno sviluppando strumenti e strategie di esplorazione, traendo ispirazione dall’industria dell’oil&gas e da quella mineraria. Probabilmente però, se si passerà allo sfruttamento commerciale, sarà necessario sviluppare strumenti ad hoc. L’ipotesi è infatti che macchinari in acciaio utilizzati dalle industrie fossili possano essere rovinati dal contatto con l’idrogeno, e che serva dunque sviluppare tecnologie specifiche. Forse si potrebbe perfino sfruttare l’H2 non ancora prodotto da alcune formazioni rocciose, stimolandole a produrlo. Secondo alcuni esperti, si potrebbero utilizzare iniezioni di acqua calda nelle rocce ricche di ferro, che attualmente non generano idrogeno, per attivare il processo. Si tratterebbe, in questo caso, di un metodo simile alla produzione potenziata di energia geotermica.

Tutto questo lavoro resta in fase sperimentale, ma ci si attende un primo risvolto pratico con la pubblicazione delle stime sulle risorse globali e di una mappa delle risorse potenziali sfruttabili. 

L’idrogeno geologico dietro casa nostra

Nel frattempo, a pochi passi da casa nostra e precisamente nella regione francese della Lorena, il CNRS ha scoperto recentemente un enorme deposito di idrogeno naturale. Potrebbe essere il più grande al mondo ed è stimato in circa 46 milioni di tonnellate. I geologi, inizialmente impegnati nello studio di un giacimento di metano, hanno analizzato le acque tra le rocce a una profondità di 1200 metri e hanno sorprendentemente rilevato elevate percentuali di idrogeno libero, suggerendo concentrazioni superiori al 90% a 3000 metri di profondità. La Lorena, con la sua storia di miniere di carbone, potrebbe quindi scrivere una nuova pagina più verde. Ma prima i geologi devono confermare la distribuzione uniforme e la concentrazione stimata di idrogeno nelle profondità. Il che significa, nella pratica la realizzazione di carotaggi che arrivino a 3000 metri di profondità. Sognare però non costa nulla, tantopiù che le risposte arriveranno in tempo breve. E potrebbero essere davvero incoraggianti.

Author: Rinnovabili.it

idrogeno geologico
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I geologi di tutto il mondo stanno lavorando per mappare l’idrogeno geologico e capire come sfruttarlo

(Rinnovabili.it) – Sulle reali potenzialità dell’idrogeno per la decarbonizzazione dei nostri sistemi energetici, si dibatte molto. A una schiera di entusiasti e tifosi della tecnologia, risponde spesso un’ancor più nutrita falange di scettici. Se finora non ha funzionato, sostengono, perché dovrebbe cominciare adesso? Se occorre una discreta quantità di energia da spendere nel processo produttivo, come può diventare una filiera economicamente sostenibile? A tutte queste domande potrebbe rispondere l’US Geological Survey (USGS), grazie a un lavoro di modellizzazione in corso per comprendere le reali potenzialità dell’idrogeno geologico, cioè quello racchiuso nei serbatoi naturali sepolti nelle profondità della crosta terrestre.

La versione naturale, chiamata anche “idrogeno bianco” o “idrogeno dorato”, se sfruttata in modo sostenibile, potrebbe rappresentare il giro di boa che dà la rivincita a un settore finora rimasto tra il sogno e la realtà. Tramite questa fonte sarebbe possibile, secondo gli scienziati, plasmare il nostro panorama energetico, specialmente in relazione a settori in cui l’elettrificazione non è una soluzione diretta. Basti pensare, per avere un’idea, ai voli di lungo raggio o al riscaldamento industriale.

L’eccitazione per la scoperta dei depositi sotterranei è palpabile. L’USGS sta cavalcando l’onda, guidando un ambizioso progetto che – oltre ai modelli previsionali – esplora la possibilità di utilizzo delle tecniche estrattive delle compagnie del petrolio e del gas per svolgere il recupero dell’idrogeno. 

Forniture potenziali per migliaia di anni

Secondo i loro modelli, sotto la crosta terrestre si troverebbe un volume medio di idrogeno che potrebbe soddisfare la domanda globale per migliaia di anni. Ma c’è un ostacolo. Gran parte di questo gas è probabilmente intrappolato in regioni troppo inaccessibili o economicamente non vantaggiose per recuperarlo. Pur mantenendo aperti questi interrogativi, i geologi americani restano ottimisti. Se anche una frazione di questo volume stimato diventasse accessibile, sostengono, potremmo trovarci di fronte a una risorsa in grado di alimentare il nostro mondo per secoli. Resta del lavoro da fare: intanto, capire dove si trovino questi depositi esattamente. Poi, come estrarre il gas in modo economico.

Il team dell’USGS sta mappando regioni degli Stati Uniti con una geologia favorevole per una estrazione abbondante di questo idrogeno bianco. La pianura costiera dal lato atlantico e il centro del paese sembrano le zone più favorevoli. Qui c’è abbondanza di strati rocciosi ricchi di ferro e resti di un antico rift che potrebbe ospitare vaste quantità di minerali capaci di formare idrogeno. Nonostante questo, occorre acquisire altri elementi: in particolare, capire se questa elevata capacità produttiva si accoppia alla presenza di strutture che hanno favorito lo stoccaggio dell’H2. Se le formazioni rocciose, infatti, non hanno la conformazione adatta, tutto questo lavoro svolto dalla natura in ere geologiche potrebbe semplicemente essere andato perso o non essere sfruttabile.

Idrogeno Bianco, oltre i modelli teorici

Mentre la caccia all’H2 bianco continua, il team dell’USGS non si accontenta di operare solo tramite modelli teorici. Gli scienziati americani stanno sviluppando strumenti e strategie di esplorazione, traendo ispirazione dall’industria dell’oil&gas e da quella mineraria. Probabilmente però, se si passerà allo sfruttamento commerciale, sarà necessario sviluppare strumenti ad hoc. L’ipotesi è infatti che macchinari in acciaio utilizzati dalle industrie fossili possano essere rovinati dal contatto con l’idrogeno, e che serva dunque sviluppare tecnologie specifiche. Forse si potrebbe perfino sfruttare l’H2 non ancora prodotto da alcune formazioni rocciose, stimolandole a produrlo. Secondo alcuni esperti, si potrebbero utilizzare iniezioni di acqua calda nelle rocce ricche di ferro, che attualmente non generano idrogeno, per attivare il processo. Si tratterebbe, in questo caso, di un metodo simile alla produzione potenziata di energia geotermica.

Tutto questo lavoro resta in fase sperimentale, ma ci si attende un primo risvolto pratico con la pubblicazione delle stime sulle risorse globali e di una mappa delle risorse potenziali sfruttabili. 

L’idrogeno geologico dietro casa nostra

Nel frattempo, a pochi passi da casa nostra e precisamente nella regione francese della Lorena, il CNRS ha scoperto recentemente un enorme deposito di idrogeno naturale. Potrebbe essere il più grande al mondo ed è stimato in circa 46 milioni di tonnellate. I geologi, inizialmente impegnati nello studio di un giacimento di metano, hanno analizzato le acque tra le rocce a una profondità di 1200 metri e hanno sorprendentemente rilevato elevate percentuali di idrogeno libero, suggerendo concentrazioni superiori al 90% a 3000 metri di profondità. La Lorena, con la sua storia di miniere di carbone, potrebbe quindi scrivere una nuova pagina più verde. Ma prima i geologi devono confermare la distribuzione uniforme e la concentrazione stimata di idrogeno nelle profondità. Il che significa, nella pratica la realizzazione di carotaggi che arrivino a 3000 metri di profondità. Sognare però non costa nulla, tantopiù che le risposte arriveranno in tempo breve. E potrebbero essere davvero incoraggianti.

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