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Cosa ci può insegnare l’emergenza dengue in America Latina

Author: Wired

Il Sudamerica è alle prese con un’estesa epidemia di dengue, senza precedenti. L’emergenza in America Latina ha fatto registrare infatti un record di decessi in Brasile e il 2024 si candida a essere un anno da ricordare nella storia delle epidemie di dengue. Perché se è vero che la malattia è endemica nell’area, e che l’incidenza è aumentata negli ultimi decenni, il 2024 è già da record. I casi registrati quest’anno hanno superato quelli notificati in tutto il 2023, con oltre 4,5 milioni di infezioni (i dati si riferiscono a tutte la regione americana, ma sono trainati da Brasile, Argentina, Paraguay e Perù, qui i dettagli). E la situazione, seppur con qualche segno di miglioramento, si appresta a rimanere critica per le settimane a venire.

In Argentina mancano i repellenti

Se infatti in alcune aree del Brasile le infezioni stanno rallentando, la situazione in altre rimane critica. È il caso dell’Argentina, mediamente meno colpita del Brasile (che conta casi quasi venti volte superiori), ma interessata da un’ondata che aveva portato il ministro della salute a dichiarare lo stato di emergenza sanitaria alla fine dello scorso anno. Nei giorni scorsi proprio qui, da più parti, si sono susseguiti una serie di allarmi riguardo la mancanza di repellenti nel paese: introvabili e con prezzi schizzati alle stelle. E se mancano i repellenti viene meno uno dei capisaldi nella lotta alla dengue, malattia che, lo ricordiamo, si trasmette attraverso la puntura di zanzare infettate dal virus (di quattro tipi diversi).

La prevenzione contro la dengue è prima di tutto non farmacologica

“La prevenzione contro la malattia è prima di tutta una prevenzione non farmacologica, non vaccinale”, spiega a Wired Italia Emanuele Nicastri, primario della divisione malattie infettive ad Alta Intensità di Cura dello Spallanzani di Roma. Non che i vaccini non possano avere un ruolo nella lotta alla dengue, ma considerate le dimensioni dell’epidemia oggi il loro non può che essere un ruolo marginale. “Abbiamo milioni di casi, centinaia di milioni di persone esposte, la migliore delle strategie di prevenzione è quella non farmacologica”. Lo sanno bene le autorità locali, che da tempo puntano su campagne di comunicazioni e pubblicità che invitano alla protezione dalla puntura di zanzare e che, pur riconoscendo l’importanza di adeguati sistemi di immunizzazione, rimarcano l’importanza del controllo delle zanzare come “prima linea di difesa contro la dengue, come ha ricordato nei giorni scorsi il ministero della salute argentino.

“Questo è un compito che deve essere portato avanti con continuità, non solo nel contesto attuale ma anche per fare in modo che la prossima stagione arrivi con una popolazione inferiore di zanzare”, si legge sui canali istituzionali argentini, puntando il dito verso la mancata prevenzione – come il mancato acquisto di larvicidi – degli scorsi anni. “Il concetto fondamentale a livello di comunicazione – ricorda Nicastri – è spostare l’attenzione dalla prevenzione delle punture di zanzare, fastidiose ma innocue, a quello della prevenzione delle infezioni trasmesse da zanzare, come appunto la dengue ma anche la malaria, ad esempio”.

Una condizione anomala

Se è innegabile che un’adeguata e continua prevenzione aiuti il controllo delle zanzare, e quindi dei focolai, quanto avvenuto negli ultimi due anni in Sudamerica ha lasciato anche gli addetti ai lavori alquanto sorpresi, confida Nicastri. “Solitamente la dengue mostra andamenti ciclici, con epidemie ogni 4-5 anni. Oggi invece ci troviamo di fronte a un’epidemia che perdura dal 2023 al 2024 in America Latina. Una condizione insolita, in cui un ruolo chiave potrebbe averlo giocato il riscaldamento della costa sul Pacifico Occidentale favorito dal El Niño. Ma questo riscaldamento, anche se importante, da solo non può spiegare l’aumento della trasmissione della dengue”.

Secondo Nicastri, l’anomalia è legata anche a grosse epidemie sono state segnalate nei due emisferi negli scorsi anni: “Abbiamo osservato la presenza di una sorta di fenomeno di risonanza tra i casi di dengue dell’emisfero australe e quello boreale, con l’epidemia in Bangladesh per esempio, e questo, pur in condizioni climatiche diverse, potrebbe in qualche modo aver favorito l’autosostenersi della malattia. Complici anche la ripresa massiccia degli spostamenti osservata dopo la pandemia da Covid”. La pandemia, aggiunge l’Oms, potrebbe anche aver favorito la creazione di popolazioni più suscettibili al virus, senza immunità nei confronti di alcuni sierotipi. Del virus dengue esistono infatti quattro diversi: essere infettati con uno dei virus conferisce immunità a vita solo nei confronti di quel sierotipo.

Oggi in Italia il rischio è basso

Quando osservato per l’America Latina dovrebbe essere da monito anche dalle nostre parti per ricordarci l’importanza della prevenzione. “Dobbiamo essere pronti a eventi simili, anche in un paese come il nostro”, continua Nicastri. Il riferimento non è a un rischio imminente di epidemie di dengue come risposta ai casi americani, quando piuttosto a quello che potrebbe accadere in futuro, con la comparsa di focolai epidemici di limitata estensione, come già accaduto: lo scorso anno in Italia sono stati 82 i casi di dengue autoctoni. La stessa vaccinazione, nel nostro paese, va considerata utile solo per chi si reca in aree endemiche per lungo tempo, specie se hanno già avuto un’infezione pregressa. “La raccomandazione per chi si muove per turismo per brevi periodi è molto meno forte – continua Nicastri – Alcuni paesi europei non la raccomandano proprio per brevi soggiorni di piacere”.

Author: Wired

Il Sudamerica è alle prese con un’estesa epidemia di dengue, senza precedenti. L’emergenza in America Latina ha fatto registrare infatti un record di decessi in Brasile e il 2024 si candida a essere un anno da ricordare nella storia delle epidemie di dengue. Perché se è vero che la malattia è endemica nell’area, e che l’incidenza è aumentata negli ultimi decenni, il 2024 è già da record. I casi registrati quest’anno hanno superato quelli notificati in tutto il 2023, con oltre 4,5 milioni di infezioni (i dati si riferiscono a tutte la regione americana, ma sono trainati da Brasile, Argentina, Paraguay e Perù, qui i dettagli). E la situazione, seppur con qualche segno di miglioramento, si appresta a rimanere critica per le settimane a venire.

In Argentina mancano i repellenti

Se infatti in alcune aree del Brasile le infezioni stanno rallentando, la situazione in altre rimane critica. È il caso dell’Argentina, mediamente meno colpita del Brasile (che conta casi quasi venti volte superiori), ma interessata da un’ondata che aveva portato il ministro della salute a dichiarare lo stato di emergenza sanitaria alla fine dello scorso anno. Nei giorni scorsi proprio qui, da più parti, si sono susseguiti una serie di allarmi riguardo la mancanza di repellenti nel paese: introvabili e con prezzi schizzati alle stelle. E se mancano i repellenti viene meno uno dei capisaldi nella lotta alla dengue, malattia che, lo ricordiamo, si trasmette attraverso la puntura di zanzare infettate dal virus (di quattro tipi diversi).

La prevenzione contro la dengue è prima di tutto non farmacologica

“La prevenzione contro la malattia è prima di tutta una prevenzione non farmacologica, non vaccinale”, spiega a Wired Italia Emanuele Nicastri, primario della divisione malattie infettive ad Alta Intensità di Cura dello Spallanzani di Roma. Non che i vaccini non possano avere un ruolo nella lotta alla dengue, ma considerate le dimensioni dell’epidemia oggi il loro non può che essere un ruolo marginale. “Abbiamo milioni di casi, centinaia di milioni di persone esposte, la migliore delle strategie di prevenzione è quella non farmacologica”. Lo sanno bene le autorità locali, che da tempo puntano su campagne di comunicazioni e pubblicità che invitano alla protezione dalla puntura di zanzare e che, pur riconoscendo l’importanza di adeguati sistemi di immunizzazione, rimarcano l’importanza del controllo delle zanzare come “prima linea di difesa contro la dengue, come ha ricordato nei giorni scorsi il ministero della salute argentino.

“Questo è un compito che deve essere portato avanti con continuità, non solo nel contesto attuale ma anche per fare in modo che la prossima stagione arrivi con una popolazione inferiore di zanzare”, si legge sui canali istituzionali argentini, puntando il dito verso la mancata prevenzione – come il mancato acquisto di larvicidi – degli scorsi anni. “Il concetto fondamentale a livello di comunicazione – ricorda Nicastri – è spostare l’attenzione dalla prevenzione delle punture di zanzare, fastidiose ma innocue, a quello della prevenzione delle infezioni trasmesse da zanzare, come appunto la dengue ma anche la malaria, ad esempio”.

Una condizione anomala

Se è innegabile che un’adeguata e continua prevenzione aiuti il controllo delle zanzare, e quindi dei focolai, quanto avvenuto negli ultimi due anni in Sudamerica ha lasciato anche gli addetti ai lavori alquanto sorpresi, confida Nicastri. “Solitamente la dengue mostra andamenti ciclici, con epidemie ogni 4-5 anni. Oggi invece ci troviamo di fronte a un’epidemia che perdura dal 2023 al 2024 in America Latina. Una condizione insolita, in cui un ruolo chiave potrebbe averlo giocato il riscaldamento della costa sul Pacifico Occidentale favorito dal El Niño. Ma questo riscaldamento, anche se importante, da solo non può spiegare l’aumento della trasmissione della dengue”.

Secondo Nicastri, l’anomalia è legata anche a grosse epidemie sono state segnalate nei due emisferi negli scorsi anni: “Abbiamo osservato la presenza di una sorta di fenomeno di risonanza tra i casi di dengue dell’emisfero australe e quello boreale, con l’epidemia in Bangladesh per esempio, e questo, pur in condizioni climatiche diverse, potrebbe in qualche modo aver favorito l’autosostenersi della malattia. Complici anche la ripresa massiccia degli spostamenti osservata dopo la pandemia da Covid”. La pandemia, aggiunge l’Oms, potrebbe anche aver favorito la creazione di popolazioni più suscettibili al virus, senza immunità nei confronti di alcuni sierotipi. Del virus dengue esistono infatti quattro diversi: essere infettati con uno dei virus conferisce immunità a vita solo nei confronti di quel sierotipo.

Oggi in Italia il rischio è basso

Quando osservato per l’America Latina dovrebbe essere da monito anche dalle nostre parti per ricordarci l’importanza della prevenzione. “Dobbiamo essere pronti a eventi simili, anche in un paese come il nostro”, continua Nicastri. Il riferimento non è a un rischio imminente di epidemie di dengue come risposta ai casi americani, quando piuttosto a quello che potrebbe accadere in futuro, con la comparsa di focolai epidemici di limitata estensione, come già accaduto: lo scorso anno in Italia sono stati 82 i casi di dengue autoctoni. La stessa vaccinazione, nel nostro paese, va considerata utile solo per chi si reca in aree endemiche per lungo tempo, specie se hanno già avuto un’infezione pregressa. “La raccomandazione per chi si muove per turismo per brevi periodi è molto meno forte – continua Nicastri – Alcuni paesi europei non la raccomandano proprio per brevi soggiorni di piacere”.

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