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Coccodrioli

Author: Milan Night

Il ciclo di Pioli al Milan è nato per necessità di normalizzazione.
Nell’estate del 2019 il Milan venne sostanzialmente rifondato da Maldini-Boban, con sei innesti (Theo, Leao, Benna, Krunic, Duarte, Rebic) e un cambio di guida in panchina. Il quinto posto, a 1 punto dalla Champions, non bastò a Gattuso per guadagnarsi la riconferma e subentrò Marco Giampaolo.
Si arrivò dunque al novembre del 2019: la nostra squadra titolare era sostanzialmente per 5/11esimi (6 contando Romagnoli) quella che nel maggio 2022 vincerà lo Scudetto a Reggio Emilia; ma il peggiore allenatore della nostra Storia, e per distacco, la stava guidando al quattordicesimo posto. Arrivò dunque il momento di Pioli: Spalletti non venne liberato dall’Inter, altri candidati convinsero meno e il mister parmense che si diceva indirizzato a Genova (sponda Viperetta) venne intercettato e, dopo un breve casting, messo in fretta e furia sulla panca rossonera. Paolo-Zvone si assunsero le proprie responsabilità, e alla faccia del #pioliout andarono dritti per la (probabilmente) unica strada percorribile in quel momento.
Interista, ex allenatore dell’Inter, dopo l’auto-esonero di Firenze Pioli cercava un improbabile rilancio ad alto livello: la sua traduzione italiana dei massimi trend del calcio anglo-teutonico, quindi gegenpressing, verticalità e imprevedibilità sugli esterni, aveva reso bene alla Lazio, all’Inter e alla Fiorentina solo per brevi periodi, risultando in un arco temporale medio un pasticcio osceno, improduttivo e inguardabile condito da decine di infortuni.

Stefano per il Milan è stato l’uomo giusto al momento giusto, e per lui il Milan un mondo ideale dove atterrare. Arrivato nel momento di massimo attrito fra Gazidis e l’area tecnica, si pose subito a metà convincendo il manager di Elliot a confermarlo nonostante un avvio mediocre. Pioli fece vedere che non serviva un Rangnick: perchè poteva esserlo lui stesso.
Non che i risultati iniziali ispirassero granchè: pronti-via, dopo 1 mese arrivò lo 0-5 di Bergamo. Ma arrivò provvidenziale lo stop per il Covid e nella pausa forzata emersero le capacità gestionali del mister. Il cambio di marcia del team, unito ai tanti sinceri messaggi dei giocatori in questi giorni di saluti, sono testimonianze inoppugnabili del suo lavoro. Gli innesti di Ibra, di Kjaer si, furono fondamentali, come il supporto di Maldini. Ma Pioli le sue fortune se le è costruite anche da solo, sfruttando l’irripetibile occasione offerta dal campionato più posticcio di sempre: con stadi vuoti e il rischio rinvio sempre in agguato, e una situazione sociale pesante, la pressione era minima, e non c’era alcuna aspettativa. Memorabile, iconico, fondante il 4-2 alla juventus del 7 luglio 2020: 0-2 gobbo fino al 60esimo, razionalmente corretto e inoppugnabile, frutto dei valori tecnico-tattici. Poi una squadra letteralmente inesistente, scomparsa anzi mai apparsa, sorse come un’alba infuocata: breve, splendida, inesorabile, a introdurre una giornata magnifica.
Il Milan di Pioli è stato probabilmente questo: una irrazionale vampata, nella Storia.

Lo striscione di risultati utili nel campionato-Covid dette modo al mister di lavorare con calma, rinsaldando la propria posizione. Dopo una breve estate, con l’innesto di Tonali, con Maldini e un Ibrahimovic in stato di grazia sempre al fianco, crescemmo fino a vincere il titolo di inverno 2020-21: effimero, ma significativo. In quei mesi probabilmente il miglior Milan di Pioli: un mix di leggerezza mentale e potenza, di strapotere fisico e coraggio tattico. E una condizione inscalfibile, quale fosse lo scalpo portato a casa (prendemmo quello di Inter, Napoli e Lazio con l’iconico gol di Theo al 92esimo): quella di Underdog. juve, Atalanta, Spezia e Inter ci rimisero in riga; in particolare lo 0-2 subito al Picco fu tremendo, un prodromo inquietante di alcune delle folli, assurde, inspiegabili Caporetto tecnico-tattiche che seguiranno.
10 gol alle torinesi, e il 2-0 di Bergamo permisero a Pioli il primo traguardo: riportare il Milan, con un secondo posto, in Champions.

Per sempre

L’estate degli svincoli vide lo sbarco a Milano di Mike Maignan, Oliviero e Ale Florenzi. Turbolenze fino al 23 agosto, poi il fischio di inizio della stagione segnò l’avvio della prima fondamentale sgasata pioliana, un marchio di fabbrica: 12 risultati utili consecutivi,  di cui 10 vittorie e 2 pareggi in rimonta contro juve e Inter. Eppure sul finire di novembre, l’infermeria si riempì, altro marchio di fabbrica: il Milan perse 3 partite delle ultime 7 dell’andata. Dramma, depressione ma anche ritorno nell’habitat ideale del mister parmense, quello degli sfigati sfavoriti.
Il resto è Storia: il derby di Giroud, i 4 pareggi e altrettanti ciapa no dell’Inter, la follia di Radu, in gol di Sandro all’Olimpico. Fiorentina, Verona, Atalanta e Reggio Emilia: Pioli is on fire, con lui tutti noi. Non c’è molto di razionale da aggiungere: dall’alba, alla giornata meravigliosa che abbiamo vissuto è tutto scritto nei nostri cuori e troppe parole non possono altro che rovinare il sentimento.

Le ultime 2 stagioni sono state invece un triste, oscuro tramonto. Il Milan di Pioli, quello che possiamo dire vero, quello a cui è legata la sua legacy e anche molto dell’opinionismo di professione, morì lentamente nell’autunno del 2022. juve e Inter vennero sconfitte, e il girone di Champions passato, dopo ben 10 anni, con doppio 4-0 a Zagabria e Salisburgo. Maldini rinnovò il contratto di Pioli, acclamato ancora dal pubblico e soprattutto dalla proprietà nel frattempo cambiata e lentamente in divenire verso l’ondivaga entità attuale.
Poi un buio sempre più pesto, che è faticoso da scrivere. Chi scrive ha sempre, purtroppo e inevitabilmente, fatto il Cassandro su Pioli e sul piolismo per ragioni personali. A me il buon Stefano non è mai piaciuto (come tecnico), dai tempi di Bologna. Che ci devo fare.
Ma giunto il momento del crack, è giunta in me anche la tristezza e la depressione di chi sa che il Destino è segnato. Lo dico: non ho mai creduto che il Milan potesse ripetere l’impresa di ri-vincere con Pioli in panchina. Non posso descrivere il buio degli ultimi due anni, perché l’ho largamente evitato saltandone interi mesi. Non sono morto sul campo: sono morto prima di voi.
Le classifiche finali, così come la semifinale di Champions, sono l’esempio concreto e tangibile che senza una bella storia, entusiasmo e imprese, e una efficace e coerente narrazione, tutto ciò che si ottiene nel calcio a parte la vittoria è il nulla assoluto. E nessuno è stato capace, né lo sarà, di narrare il Milan 2023-2024 in modo positivo. Pioli ci ha condotti ad essere macellati dall’Inter, in 6 derby che peseranno sul nostro umore per i prossimi 15 anni almeno, e i nostri rimasugli derisi da plebaglia varia a suon di goleade epiche. Di incredibile nel nostro percorso c’è solo la relisilienza con cui il gruppo si è ricompattato attorno al parmense nel momento in cui il collasso sembrava inevitabile; solo per trascinarsi alla deprimente, avvilente, oscena figura contro la Roma in Europa League.

Stefano Pioli è stato un allenatore pronto, utile, vincente e longevo. Tuttavia il mister, divenuto coach, è anche il condottiero sotto la cui guida il Milan che abbiamo conosciuto, ammirato, contestato, e amato in tutte le sue forme, sia quella vincente che perdente, si è snaturato totalmente e fatalmente. Nel corso della gestione Pioli il ‘dna Milan’ è mutato. E’ vero, un tale cambiamento è solo in parte dovuto al lavoro di Stefano. Ma ogni Era ha il suo simbolo, e Pioli lo è di questa.
Tutti abbiamo vissuto debacle e goleade nella nostra storia, ma mai con questa sistematicità, con questa estensione e contro avversari d’ogni tipo; tutti abbiamo le cicatrici di qualche dolorosa uscita europea, ma quelle più deturpanti resteranno le ultime.
Fino al 2019 MILAN ha evocato sogni e immagini di calcio spettacolare unito a pragmatismo difensivo, in Europa  più che in Italia. E sottolineo ‘evocato’, non sempre siamo stati all’altezza, non sempre siamo stati questi.
Al termine del quinquennio di Pioli restano solo i sorrisi dei suoi giocatori e dei dirigenti; ma di sogni non ne abbiamo più, le immagini che restano sono quelle di uno sconcertante 1vs1 di massa, da ripetersi a cazzo di cane in ogni situazione: senza ratio, senza scopo. In Europa il nostro status è quello di un Monaco qualunque. Come scrivevo all’inizio delle precedenti esperienze del parmense: arriviamo alla fine del piolismo come un pasticcio osceno, improduttivo, inguardabile condito da decine di infortuni.

Oggi siamo questa roba qua

Pioli ha raccattato un’armata Brancaleone di reduci della banter era (tifosi inclusi), di Leggende non in grado di incidere nel presente, di dirigenti poco italiani e poco sportivi, di neo-idoli, di giovani e meno giovani pressati e stressati dai ricordi, dal passato, dal confronto con l’Epica ma anche con l’Odissea di un club arrivato ad eguagliare il Real Madrid nella Leggenda, e poi gestito per diversi anni come il Monza. E li ha messi tutti insieme con mestiere e con furbizia, entrando sottopelle soprattutto ai più giovani, cogliendo l’assist irripetibile del “reset” di una stagione tragicomica, dovuto al Covid, e sfruttandolo per segnare un gol memorabile.
Il prezzo da pagare: la perdita totale di un’identità. Il Milan esce dal quinquennio del parmense totalmente disconnesso, vuoto e privo di Anima. Pioli è stato l’incredibile trait d’union fra un Milan perdente e mediocre, un Milan affamato e vincente, e un Milan frivolo e non competitivo.
Fu vera, storica, indimenticabile, bellissima vittoria. La Gloria invece, profusa e sbandierata anche nel comunicato societario di saluti, scemerà purtroppo rapidamente.
D’altronde a certificare lo status tutto sommato non eccezionale di Pioli non siamo noi ma ahimè i suoi stessi alleati, ammiratori, amanti: sostituendolo con Fonseca.

Larry

Author: Milan Night

Il ciclo di Pioli al Milan è nato per necessità di normalizzazione.
Nell’estate del 2019 il Milan venne sostanzialmente rifondato da Maldini-Boban, con sei innesti (Theo, Leao, Benna, Krunic, Duarte, Rebic) e un cambio di guida in panchina. Il quinto posto, a 1 punto dalla Champions, non bastò a Gattuso per guadagnarsi la riconferma e subentrò Marco Giampaolo.
Si arrivò dunque al novembre del 2019: la nostra squadra titolare era sostanzialmente per 5/11esimi (6 contando Romagnoli) quella che nel maggio 2022 vincerà lo Scudetto a Reggio Emilia; ma il peggiore allenatore della nostra Storia, e per distacco, la stava guidando al quattordicesimo posto. Arrivò dunque il momento di Pioli: Spalletti non venne liberato dall’Inter, altri candidati convinsero meno e il mister parmense che si diceva indirizzato a Genova (sponda Viperetta) venne intercettato e, dopo un breve casting, messo in fretta e furia sulla panca rossonera. Paolo-Zvone si assunsero le proprie responsabilità, e alla faccia del #pioliout andarono dritti per la (probabilmente) unica strada percorribile in quel momento.
Interista, ex allenatore dell’Inter, dopo l’auto-esonero di Firenze Pioli cercava un improbabile rilancio ad alto livello: la sua traduzione italiana dei massimi trend del calcio anglo-teutonico, quindi gegenpressing, verticalità e imprevedibilità sugli esterni, aveva reso bene alla Lazio, all’Inter e alla Fiorentina solo per brevi periodi, risultando in un arco temporale medio un pasticcio osceno, improduttivo e inguardabile condito da decine di infortuni.

Stefano per il Milan è stato l’uomo giusto al momento giusto, e per lui il Milan un mondo ideale dove atterrare. Arrivato nel momento di massimo attrito fra Gazidis e l’area tecnica, si pose subito a metà convincendo il manager di Elliot a confermarlo nonostante un avvio mediocre. Pioli fece vedere che non serviva un Rangnick: perchè poteva esserlo lui stesso.
Non che i risultati iniziali ispirassero granchè: pronti-via, dopo 1 mese arrivò lo 0-5 di Bergamo. Ma arrivò provvidenziale lo stop per il Covid e nella pausa forzata emersero le capacità gestionali del mister. Il cambio di marcia del team, unito ai tanti sinceri messaggi dei giocatori in questi giorni di saluti, sono testimonianze inoppugnabili del suo lavoro. Gli innesti di Ibra, di Kjaer si, furono fondamentali, come il supporto di Maldini. Ma Pioli le sue fortune se le è costruite anche da solo, sfruttando l’irripetibile occasione offerta dal campionato più posticcio di sempre: con stadi vuoti e il rischio rinvio sempre in agguato, e una situazione sociale pesante, la pressione era minima, e non c’era alcuna aspettativa. Memorabile, iconico, fondante il 4-2 alla juventus del 7 luglio 2020: 0-2 gobbo fino al 60esimo, razionalmente corretto e inoppugnabile, frutto dei valori tecnico-tattici. Poi una squadra letteralmente inesistente, scomparsa anzi mai apparsa, sorse come un’alba infuocata: breve, splendida, inesorabile, a introdurre una giornata magnifica.
Il Milan di Pioli è stato probabilmente questo: una irrazionale vampata, nella Storia.

Lo striscione di risultati utili nel campionato-Covid dette modo al mister di lavorare con calma, rinsaldando la propria posizione. Dopo una breve estate, con l’innesto di Tonali, con Maldini e un Ibrahimovic in stato di grazia sempre al fianco, crescemmo fino a vincere il titolo di inverno 2020-21: effimero, ma significativo. In quei mesi probabilmente il miglior Milan di Pioli: un mix di leggerezza mentale e potenza, di strapotere fisico e coraggio tattico. E una condizione inscalfibile, quale fosse lo scalpo portato a casa (prendemmo quello di Inter, Napoli e Lazio con l’iconico gol di Theo al 92esimo): quella di Underdog. juve, Atalanta, Spezia e Inter ci rimisero in riga; in particolare lo 0-2 subito al Picco fu tremendo, un prodromo inquietante di alcune delle folli, assurde, inspiegabili Caporetto tecnico-tattiche che seguiranno.
10 gol alle torinesi, e il 2-0 di Bergamo permisero a Pioli il primo traguardo: riportare il Milan, con un secondo posto, in Champions.

Per sempre

L’estate degli svincoli vide lo sbarco a Milano di Mike Maignan, Oliviero e Ale Florenzi. Turbolenze fino al 23 agosto, poi il fischio di inizio della stagione segnò l’avvio della prima fondamentale sgasata pioliana, un marchio di fabbrica: 12 risultati utili consecutivi,  di cui 10 vittorie e 2 pareggi in rimonta contro juve e Inter. Eppure sul finire di novembre, l’infermeria si riempì, altro marchio di fabbrica: il Milan perse 3 partite delle ultime 7 dell’andata. Dramma, depressione ma anche ritorno nell’habitat ideale del mister parmense, quello degli sfigati sfavoriti.
Il resto è Storia: il derby di Giroud, i 4 pareggi e altrettanti ciapa no dell’Inter, la follia di Radu, in gol di Sandro all’Olimpico. Fiorentina, Verona, Atalanta e Reggio Emilia: Pioli is on fire, con lui tutti noi. Non c’è molto di razionale da aggiungere: dall’alba, alla giornata meravigliosa che abbiamo vissuto è tutto scritto nei nostri cuori e troppe parole non possono altro che rovinare il sentimento.

Le ultime 2 stagioni sono state invece un triste, oscuro tramonto. Il Milan di Pioli, quello che possiamo dire vero, quello a cui è legata la sua legacy e anche molto dell’opinionismo di professione, morì lentamente nell’autunno del 2022. juve e Inter vennero sconfitte, e il girone di Champions passato, dopo ben 10 anni, con doppio 4-0 a Zagabria e Salisburgo. Maldini rinnovò il contratto di Pioli, acclamato ancora dal pubblico e soprattutto dalla proprietà nel frattempo cambiata e lentamente in divenire verso l’ondivaga entità attuale.
Poi un buio sempre più pesto, che è faticoso da scrivere. Chi scrive ha sempre, purtroppo e inevitabilmente, fatto il Cassandro su Pioli e sul piolismo per ragioni personali. A me il buon Stefano non è mai piaciuto (come tecnico), dai tempi di Bologna. Che ci devo fare.
Ma giunto il momento del crack, è giunta in me anche la tristezza e la depressione di chi sa che il Destino è segnato. Lo dico: non ho mai creduto che il Milan potesse ripetere l’impresa di ri-vincere con Pioli in panchina. Non posso descrivere il buio degli ultimi due anni, perché l’ho largamente evitato saltandone interi mesi. Non sono morto sul campo: sono morto prima di voi.
Le classifiche finali, così come la semifinale di Champions, sono l’esempio concreto e tangibile che senza una bella storia, entusiasmo e imprese, e una efficace e coerente narrazione, tutto ciò che si ottiene nel calcio a parte la vittoria è il nulla assoluto. E nessuno è stato capace, né lo sarà, di narrare il Milan 2023-2024 in modo positivo. Pioli ci ha condotti ad essere macellati dall’Inter, in 6 derby che peseranno sul nostro umore per i prossimi 15 anni almeno, e i nostri rimasugli derisi da plebaglia varia a suon di goleade epiche. Di incredibile nel nostro percorso c’è solo la relisilienza con cui il gruppo si è ricompattato attorno al parmense nel momento in cui il collasso sembrava inevitabile; solo per trascinarsi alla deprimente, avvilente, oscena figura contro la Roma in Europa League.

Stefano Pioli è stato un allenatore pronto, utile, vincente e longevo. Tuttavia il mister, divenuto coach, è anche il condottiero sotto la cui guida il Milan che abbiamo conosciuto, ammirato, contestato, e amato in tutte le sue forme, sia quella vincente che perdente, si è snaturato totalmente e fatalmente. Nel corso della gestione Pioli il ‘dna Milan’ è mutato. E’ vero, un tale cambiamento è solo in parte dovuto al lavoro di Stefano. Ma ogni Era ha il suo simbolo, e Pioli lo è di questa.
Tutti abbiamo vissuto debacle e goleade nella nostra storia, ma mai con questa sistematicità, con questa estensione e contro avversari d’ogni tipo; tutti abbiamo le cicatrici di qualche dolorosa uscita europea, ma quelle più deturpanti resteranno le ultime.
Fino al 2019 MILAN ha evocato sogni e immagini di calcio spettacolare unito a pragmatismo difensivo, in Europa  più che in Italia. E sottolineo ‘evocato’, non sempre siamo stati all’altezza, non sempre siamo stati questi.
Al termine del quinquennio di Pioli restano solo i sorrisi dei suoi giocatori e dei dirigenti; ma di sogni non ne abbiamo più, le immagini che restano sono quelle di uno sconcertante 1vs1 di massa, da ripetersi a cazzo di cane in ogni situazione: senza ratio, senza scopo. In Europa il nostro status è quello di un Monaco qualunque. Come scrivevo all’inizio delle precedenti esperienze del parmense: arriviamo alla fine del piolismo come un pasticcio osceno, improduttivo, inguardabile condito da decine di infortuni.

Oggi siamo questa roba qua

Pioli ha raccattato un’armata Brancaleone di reduci della banter era (tifosi inclusi), di Leggende non in grado di incidere nel presente, di dirigenti poco italiani e poco sportivi, di neo-idoli, di giovani e meno giovani pressati e stressati dai ricordi, dal passato, dal confronto con l’Epica ma anche con l’Odissea di un club arrivato ad eguagliare il Real Madrid nella Leggenda, e poi gestito per diversi anni come il Monza. E li ha messi tutti insieme con mestiere e con furbizia, entrando sottopelle soprattutto ai più giovani, cogliendo l’assist irripetibile del “reset” di una stagione tragicomica, dovuto al Covid, e sfruttandolo per segnare un gol memorabile.
Il prezzo da pagare: la perdita totale di un’identità. Il Milan esce dal quinquennio del parmense totalmente disconnesso, vuoto e privo di Anima. Pioli è stato l’incredibile trait d’union fra un Milan perdente e mediocre, un Milan affamato e vincente, e un Milan frivolo e non competitivo.
Fu vera, storica, indimenticabile, bellissima vittoria. La Gloria invece, profusa e sbandierata anche nel comunicato societario di saluti, scemerà purtroppo rapidamente.
D’altronde a certificare lo status tutto sommato non eccezionale di Pioli non siamo noi ma ahimè i suoi stessi alleati, ammiratori, amanti: sostituendolo con Fonseca.

Larry

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