DISCLAIMER: Le indicazioni di finanza, macroeconomia, politica economica e di qualsiasi altra natura, presenti in questo articolo, benché frutto di analisi scrupolose, possono essere errate e non rappresentano in alcun modo un invito all’investimento. Chi segue questi consigli lo fa cosciente di tutti i rischi e se ne assume la totale responsabilità. Inoltre si tiene a sottolineare che questo non è un blog di consulenza economico-finanziaria in quanto non vengono fornite delle raccomandazioni personalizzate, senza poi dimenticare che è impossibile effettuare delle considerazioni d’investimento personalizzate, quindi basate sulle caratteristiche e sul profilo dell’utente/lettore, in mancanza di elementi che ne individuino, appunto, il profilo di rischio e le caratteristiche. Si ricorda che ogni raccomandazione non è personalizzata (e quindi non si tratta di consulenza) quando viene diffusa al pubblico e viene espressa in modo generico.
Gli analisti finanziari, i gestori di fondi comuni e i consulenti finanziari di tutto il mondo sarebbero felicissimi di poter disporre di un indicatore che sintetizzi e anticipi l’andamento futuro dei mercati azionari: una sorta di pietra filosofale della finanza che possa anticipare i mercati e, quindi, far salve le performance nei momenti di ribasso (o incrementarle).
La realtà è che non esiste un indicatore del genere, né mai esisterà. Tuttavia, esistono degli indicatore che potrebbero (forse) contribuire ad offrire una lettura degli eventi più interessante rispetto ad altri e che si sommano ad una gamma di altri indicatori (e dati macro) comunque robusti e sostenibili dal punto di vista logico e scientifico, e che quindi dovrebbero essere osservati.
E’ un grafico, a mio avviso, molto interessante che confronta l’andamento dell’indice Dow Jones (in scala logaritmica) e il differenziale dei rendimenti tra il decennale Usa e quello tedesco.
McClellan evidenzia come il restringimento del differenziale di rendimento tra i due titoli benchmark, negli ultimi 20 anni, abbia anticipato di 6/20 mesi la caduta dell’indice azionario.
Ritenendo questo grafico meritevole di attenzione e quindi di essere osservato periodicamente, ho ritenuto utile rielaborarlo con gli strumenti di analisi che utilizzo ritualmente, in modo di averlo sempre aggiornato e confrontarlo anche con altri indicatori che già utilizzo.
Ne è venuto fuori questo.
Pur avendo utilizzato l’indice S&P 500 (anziché il Dow Jones) il risultato è del tutto analogo al grafico proposto da McClellen.
Si osserva che la riduzione del differenziale di rendimento tra i due benchmark (linea blu, scala sinistra) tende ad anticipare di 6/20 mesi l’inizio della caduta dell’indice azionario, ma non prima che quest’ultimo, nel frattempo, abbia toccato nuovi massimi. Almeno così è stato nelle crisi degli ultimi 20 anni sui mercati azionari.
Ad esempio, a giugno del 1999 il differenziale di rendimento toccò il massimo e da lì iniziò la discesa. Il quella occasione l’indice S&P 500 continuò la salita e raggiunse il massimo di periodo a settembre del 2000, quando partì la caduta dell’indice. Discorso analogo può esser fatto per la crisi del 2007/2008 e quella del 2011. Ma in questi due casi la riduzione del differenziale dei rendimenti anticipo’ la caduta dell’indice rispettivamente di 20 mesi e di 18 mesi circa.
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Autore: Paolo Cardenà Finanza.com Blog Network Posts