Author: Valerio Pellegrini Tom’s Hardware
L’uomo bicentenario, il robot che volle farsi uomo
Nota del curatore: in origine un robot è una macchina che lavora. Instancabile frutto dell’ingegno, schiavo felice, operatore instancabile. Subito però l’immaginario ha assaltato questa idea e ne ha fatto qualcos’altro. Qualcosa che è rappresentato magistralmente in questo articolo di Valerio Pellegrini.
Il robot, soprattutto quando è umanoide, è specchio dell’umano. E dunque una tra le più potenti risorse a disposizione di un Narratore, a maggior ragione uno abile come Isaac Asimov. Ciò che ci riflette, da sempre, ci obbliga a guardarci, a parlare di noi, ad affrontare il più difficile degli sguardi.
Ha ragione Valerio quando dice che L’uomo bicentenario segna una svolta nel cinema di fantascienza, eppure allo stesso tempo è una storia – come molte di quelle che ci ha donato Asimov- classica, di quelle che scavano nel profondo per obbligarci, con la forza delle emozioni, a giocare con gli archetipi.
Il che è curioso, perché il robot di Asimov è un Mostro noto, un Altro che ci fa riflettere sull’essenza del corpo e sulla natura dell’umano. Eppure questo robot è già obsoleto, è già antico. Oggi la parola non ha solo perso la prima sillaba, ma ha smarrito qualcosa di più. Prima degli umani, i bot hanno già perso il corpo; le IA moderne non hanno certo il cervello positronico di Andy, se non altro. Non ancora.
Valerio Porcu
Trama e ambientazione
L’uomo bicentenario di Chris Columbus (Harry Potter e la Pietra Filosofale, Gremlins) è un film del 1999 che si basa su due racconti di Isaac Asimov: quello omonimo del 1976 e Robot NDR-113 (scritto con Robert Silverbeg) del 1993. I fatti narrati rientrano in un contesto che, tra controversie etiche, uncanny valley e dibattiti filosofici, vede l’umanità sfruttare i robot come forza-lavoro.
![PJ ChrisColumbus 0073 Courtesy of Elizabeth Devereux 1492Pictures[1]](https://www.tomshw.it/data/thumbs/4/3/0/0/pj-chriscolumbus-0073-courtesy-of-elizabeth-devereux-1492pictures-1-20a59ede96530d0440be66d0889ab5a5d.jpg)
In questo contesto si muove (e cresce) Andrew (Andy), un robot molto particolare, che manifesta strane curiosità e improbabili attitudini creative. Finirà con l’ingaggiare un lungo percorso (bicentenario come ricorda il titolo del racconto di Asimov) che lo porterà a diventare più umano dell’umano e a pretendere un riconoscimento ufficiale che sancisca questa sua “umanità”. Quasi una via di mezzo tra un diario personale e un libro di Storia dell’umanità androide, il film segue Andy a partire dalla sua entrata in società come domestico della famiglia Martin fino al sorprendente traguardo finale.
Il film è un evento nella storia della fantascienza perché rappresenta un primo importante incontro tra Asimov e il linguaggio audiovisivo. Fino al 1999 sono infatti rarissime le traduzioni per cinema o televisione delle idee del famoso scrittore di origine russa. C’è solo una manciata di episodi televisivi in serial come Out of the Unknown (1965-1971) e tante strizzatine d’occhio in Star Trek.
Da un certo punto in poi ai produttori hollywoodiani comincia a sembrare più fattibile la possibilità di frequentare quello straordinario giacimento di idee sfruttando l’eloquenza della CGI. Qui in particolare un misto tra computer grafica e prostetica riesce a rendere credibile la fusione tra la faccia-funzione di Robin Williams e l’idea di maggiordomo robotico. Il personaggio viene poi seguito nella sua graduale trasformazione dalla rigidità di un corpo meccanico fino al traguardo di un corpo esternamente indistinguibile da quello umano.
![81wKHDqCkyL SL1500 [1]](https://www.tomshw.it/data/thumbs/4/2/9/9/81wkhdqckyl-sl1500-1-63242d5dd9a584c58b78772a6ef1be400.jpg)
Nel nostro tempo proporre un racconto sull’essere artificiale implica una cornice filosofica sempre più complessa. La scelta di questa sceneggiatura di Nick Kazan è quella di far deflagrare i soliti dubbi su cosa sia l’essere umano in una commedia tragicomica che punta i riflettori sul robot individualizzato.
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