Categorie
Economia Tecnologia

‘Ndrangheta, come funziona davvero l’algoritmo per stanarla

Author: Wired

Ed è proprio Bert uno dei componenti del software in via di sviluppo al Viminale, che tra le altre cose permetterà di ricercare termini, nomi, luoghi o date inserendoli nel giusto contesto e fornendo in modo più veloce informazioni che altrimenti resterebbero imprigionate in una mole di dati difficilmente esplorabili. “Nessuno ha mai specificamente applicato modelli di questo genere in un contesto investigativo, peraltro così specifico e peculiare come quello della ‘ndrangheta – prosegue Bui -. Addestrare una rete a conoscere un fenomeno che di per sé è molto complesso significa prima di tutto capire il fenomeno, poi bisogna farlo capire alla rete”.

A quel punto sono sufficienti l’intuito e l’esperienza investigativa per far emergere da un ammasso di dati informi una traccia che può essere seguita per attivare tempestivamente un servizio di osservazione o una intercettazione. “Alcuni eventi possono anche non essere di natura criminosa – aggiunge Bui – Come il movimento di persone di interesse che si spostano per un compleanno o in una specifica data, che ci permette di conoscere eventuali ricorrenze importanti e di inferire cosa potrebbe accadere in futuro al ricorrere di tali date”. 

article imageL’Interpol ha arrestato 75 membri di Black Axe

Si tratta della prima operazione ad hoc contro una delle organizzazioni cyber criminali più rodate al mondo. Coinvolti quattordici paesi tra cui anche l’Italia, con tre arresti a Campobasso

La mappa del potere mafioso

Rizzi spiega a Wired che il progetto di un software a sostegno di I-Can “nasce da due condizioni. La prima è che nel tempo abbiamo assistito a una colonizzazione all’estero della ‘ndrangheta. Sono circa 40 i paesi nel mondo dove la ‘ndrangheta ha una presenza strutturale con personaggi di spessore criminale”. 

La seconda – prosegue il prefetto – è che la sala operativa internazionale, l’hub che raccoglie tutte le informazioni dal mondo, processa 700 messaggi al giorno, contro i 400 dell’Interpol”. 

L’Italia infatti indaga sulle cosche scambiando informazioni sulla base di accordi bilaterali, come quello con il Congo. Da qui l’idea di trasformare “dati molto parcellizzati in dati esplorabili, ricondotti da 3-400 categorie di base ad alcune macro-categorie”, dice Rizzi. E attraverso questi dati tracciare e anticipare l’espansione della ‘ndrangheta. Che sembra per ora inarrestabile.

Secondo l’ultimo rapporto della Dia, “la ‘ndrangheta è presente a Girona e nella provincia di Madrid, a Murcia e in Catalogna. Ed “esponenti della ‘ndrangheta, inizialmente impiantati in Liguria si sono spostati nella Costa Azzurra, vista come naturale continuità lungo la costa del Mar ligure, andando a stabilirsi in città come Nizza, Mentone, Cannes, ove attualmente è presente una seconda generazione di mafiosi calabresi”. E ancora Regno Unito, “attratta dalla facilità di riciclare denaro offerta dal sistema economico-giuridico anglosassone”. 

Il Belgio è utile per il ruolo che il porto di Anversa può giocare nel narcotraffico dal Sudamerica. Così come l’Olanda, dove la ‘ndrangheta “è dedita in prevalenza alle attività legate al narcotraffico e al riciclaggio”. E ancora Germania, Austria, Albania, Slovacchia per restare in Europa. In Canada, “a Toronto, la ’ndrangheta opererebbe attraverso strutture a carattere intermedio con funzioni di coordinamento e supervisione, quali la “commissione” o “camera di controllo”. Tali strutture, nonostante l’indissolubile legame con la provincia di Reggio Calabria, avrebbero una maggiore autonomia rispetto al passato”, poi Messico, Colombia, Argentina, Brasile. E Australia, dove si crede sia presente una struttura locale fotocopia della ‘ndrangheta calabrese.

La ‘ndrangheta non è un problema italiano ma mondiale – osserva Giovanni Bombardieri, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria -. Ha assoldato i migliori professionisti per infiltrare le economie legali attraverso i proventi delle attività illecite, dialoga e fa affari con i più pericolosi cartelli criminali in tutto il mondo”. 

Non a caso I-Can vede seduti al tavolo tutti i Paesi maggiormente colpiti. “Il progetto I-Can è volto a far comprendere la pericolosità della minaccia mafiosa, che l’Italia ha pagato con un costo altissimo – dice Rizzi – perché nelle giurisdizioni di molti paesi manca una previsione specifica contro la mafia”. 

Il prefetto Vittorio Rizzi

Il prefetto Vittorio Rizzi ANDRE PAIN/AFP via Getty Images

Lavoro di squadra

Per Bombardieri, “fino a poco tempo fa la cooperazione internazionale di polizia veniva attuata solo nella fase finale delle indagini, nell’esecuzione degli arresti e nella cattura dei latitanti. Oggi il coordinamento avviene molto prima perché occorre portare avanti le indagini contemporaneamente nei vari Paesi del mondo”.