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Wired Health 2023, tutto quello di cui abbiamo parlato

Author: Wired

Un settore, quello dell’innovazione nella salute, che ha visto nella pandemia un fattore di accelerazione. “Quanto accaduto ci ha ricordato che la salute è al centro, che la ricerca è importante. Senza startup come Moderna e BioNTech probabilmente oggi non saremmo vaccinati”, ha sottolineato Alessio Beverina, founder e managing partner di Panakès Partners. Certo, occorre un cambiamento di mentalità, almeno in Italia. “In questo paese i ricercatori non sono formati per pensare di creare entità commerciali, occorre strutturare questo rapporto tra ricerca, clinica e investitori. E poi bisogna spingere sull’internazionalizzazione”, ha puntualizzato Alessandro Radaelli, Venture partner di NLC Health.

Quali, però, le aree di ricerca più promettenti per gli investitori? “Noi siamo agnostici sull’indicazione terapeutica, ragioniamo sul clinical need”, la premessa di Ciro Spedaliere, partner di Claris Ventures, “ci stiamo orientando sull’oncologia, in particolare sull’immuno-oncologia, e siamo molto affascinati dall’Rna”. Settori ai quali Daniele Scarinici, Co-founder e managing partner, ha aggiunto quello delle malattie rare, “settore di estremo interesse”. Mentre, sul fronte strettamente tecnologico, “grazie al digitale vediamo i primi frutti della rivoluzione genetica dei primi anni Duemila, con i primi farmaci a mRna e le terapie geniche”.

Terapie geniche che sono tema di interesse anche per le grandi multinazionali. “Abbiamo recentemente presentato una pipeline hce include ben 40 progetti, tra cui 7 che si occupano di cell and gene therapy che si pongono l’obiettivo di portare risultati eclatanti per patologie complesse. Il Parkinson, in questo senso, è l’esempio più impattante”, le parole di Arianna Gregis, Country division head pharmaceuticals di Bayer Italia.

Tornando invece al tema dell’intelligenza artificiale, Andrea Laghi, professore di Radiologia all’Università La Sapienza di Roma, l’ha descritta come “una seconda rivoluzione per la radiologia, dopo quella che negli anni ’80 (del secolo scorso, ndr) ha visto il passaggio dalle immagini analogiche a quelle digitali”.

In un contesto di cambiamento tecnologico, è importante tenere sempre a mente l’aspetto economico, come ha ricordato Fredrik Debong, Co-founder e CSO di Hi.Health. “Un incremento nei costi di un farmaco dell’ordine di 10 dollari”, il suo monito, “riduce del 28% l’aderenza terapeutica e fa crescere del 26% il tasso di mortalità”.

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Endometriosi: perché studiarne la genetica è importante

Author: Wired

La ricerca sulle cause dell’endometriosi si arricchisce di nuovi tasselli. È noto da tempo che tra i vari fattori che possono contribuire allo sviluppo della malattia alcuni abbiano una base genetica. L’endometriosi infatti ha una certa familiarità, e pur rimanendo nel complesso le cause sconosciute, il consenso è che una parte di queste abbia a che fare con i geni. Studiare la genetica della malattia consente non solo di far luce sui possibili meccanismi ma, a partire da questi, di mettere a punto anche nuovi trattamenti. E i risultati che arrivano dalla più grande ricerca sulla genetica dell’endometriosi appena resa nota promettono di portare proprio in questa direzione.

Una patologia che colpisce 3 milioni di donne in Italia

L’endometriosi è una malattia invalidante che si manifesta soprattutto con dolore diffuso – all’addome, all’intestino, alla schiena, alle pelvi – e infertilità. In Italia si stima che colpisca almeno 3 milioni di persone, con un’incidenza di circa il 10% nelle donne in età riproduttiva. Si parla di endometriosi quando il tessuto che riveste l’utero – l’endometrio – comincia a crescere anche a di fuori dell’utero, estendendosi agli organi riproduttivi, come tube di Falloppio e ovaie, ma anche oltre, alla vescica e all’intestino, e più raramente ai polmoni. La presenza di questo tessuto anche lì dove non dovrebbe causa infiammazione, dolore, cisti e aderenze, come vi raccontavamo qualche tempo fa. Con un carico enorme nei confronti di chi ne soffre, sia a livello fisico che psicologico. L’endometriosi è una malattia benigna e diverse sono le opzioni terapeutiche disponibili per le pazienti, sia farmacologiche che chirurgiche (per la rimozione del tessuto endometriotico e in presenza di cisti e aderenze).

Le opzioni farmacologiche sono terapie ormonali – somministrate con modalità diverse, dalla pillola alla spirale, all’anello vaginale, ai cerotti, estroprogestiniche o progestiniche – e mirano a bloccare la crescita di nuovo tessuto uterino. In alcuni casi sono prescritti anche analoghi del GnRH (ormone di rilascio delle gonadotropine) che bloccano il ciclo mestruale portando le donne in menopausa, con tutti gli effetti collaterali noti, ricorda il Ministero della salute.

La genetica come possibilità per una diagnosi più veloce

Nel tentativo di comprendere qualcosa di più sulle basi biologiche della malattia, e magari di identificare nuovi bersagli terapeutici per nuovi trattamenti, con minori effetti collaterali un team di ricercatori internazionali ha messo insieme i dati genetici di oltre 60 mila donne con la malattia, e circa 700 mila come controlli. Si tratta della più grande metanalisi di studi di genome-wide association, ovvero studi che mirano a identificare varianti genetiche associate con determinate malattie, in questo caso con l’endometriosi. Dallo studio ne sono emerse una quarantina, in gran parte nuove e mai identificate.

Le varianti che appaiono come fattori di rischio per l’endometriosi sono associate a geni plausibilmente coinvolti nella malattia, e che regolano processi come l’angiogenesi, l’infiammazione, lo sviluppo uterino, le vie di segnalazione ormonale, raccontano gli autori dalle pagine di Nature Genetics. Curiosamente, quando sono andate a cercarle, i ricercatori hanno anche osservato correlazioni tra le varianti genetiche associate all’endometriosi ed altre malattie dolorose o infiammatorie, come emicrania, dolore cronico alla schiena, asma e osteoartrite, lasciando immaginare meccanismi condivisi, si legge nel paper.

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Abbuffate, il motivo svelato dalla genetica

Author: Wired

Le abbuffate, non solo natalizie. Che siano patatine, panettoni o fritti poco importa, basta che siano ipercaloriche. Sappiamo, infatti, che i cibi ricchi di grassi e zucchero hanno un buonissimo sapore, ma al tempo stesso ci portano a consumarne in eccesso, causando obesità e altri problemi di salute, anche gravi, come il diabete. Ma cosa c’è alla base del cosiddetto “overeating”, ovvero delle abbuffate? A rispondere è stato uno studio pubblicato su The Faseb Journal, che ha indagato i meccanismi genetici che stimolano il nostro cervello a “mangiare troppo”.

Sappiamo già che un gene chiamato Creb-Regulated Transcription Coactivator 1 (Crtc1) è associato all’obesità. Studi recenti, infatti, hanno dimostrato che quando il gene viene soppresso nei modelli murini, i topi diventano obesi, e ciò suggerisce quindi che l’attivazione di Crtc1 sopprime l’obesità. Finora, tuttavia, dato che Crtc1 è espresso in tutti i neuroni del cervello, quelli specifici responsabili della soppressione dell’obesità e il loro meccanismo d’azione sono rimasti un mistero.

Come funziona Crtc1

Per fare luce sul meccanismo con cui Crtc1 sopprime l’obesità, il team di ricercatori della Graduate School of Human Life and Ecology presso l’Osaka Metropolitan University si è concentrato sui neuroni che esprimono il recettore della melanocortina-4 (Mc4r). Da qui, hanno ipotizzato che l’espressione di Crtc1 nei neuroni che esprimono Mc4r sopprima l’obesità, visto che è noto che le mutazioni associate al gene Mc4r causano questo problema di salute. Di conseguenza, hanno analizzato un gruppo di topi che esprime Crtc1 normalmente tranne nei neuroni che esprimono Mc4r, dove è stato bloccato per osservare appunto l’effetto che la perdita di Crtc1 in quei neuroni ha sull’obesità e sul diabete.

Dalle analisi, i ricercatori hanno osservato che quando i topi sono stati nutriti con una dieta standard, quelli privati del gene Crtc1 nei neuroni che esprimono Mc4r non hanno mostrato cambiamenti nel peso corporeo rispetto ai topi di controllo. Tuttavia, quando gli stessi i topi sono stati alimentati con una dieta ipercalorica e, quindi, ricca di grassi, hanno mangiato in eccesso, e sono di conseguenza diventati più obesi rispetto al gruppo di controllo e hanno sviluppato il diabete. “Questo studio ha rivelato il ruolo svolto dal gene Crtc1 nel cervello e parte del meccanismo che ci impedisce di mangiare in eccesso cibi ipercalorici, grassi e zuccherati”, ha spiegato l’autore della ricerca Shigenobu Matsumura. “Speriamo che questi risultati portino a una migliore comprensione di ciò che spinge le persone a mangiare troppo”.