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Microplastiche: negli oceani aumentano vertiginosamente, ma non tutto è perduto

Author: Wired

Se buttate una felpa di poliestere in lavatrice, non uscirà più come prima. Tutto il movimento nel cestello farà staccare le microfibre di plastica, che l’elettrodomestico scaricherà poi in un impianto di trattamento delle acque reflue. Tutte le particelle che non vengono filtrate sono riversate in mare. Come altre forme di microplastiche – bottiglie e sacchetti consumati, scaglie di vernice e le piccole palline di plastica noti come nurdle – l’inquinamento da microfibre negli oceani riflette la crescita esponenziale nella produzione di plastica: l’umanità produce ormai circa 450 miliardi di chili di plastica all’anno. Secondo il World economic forum,  entro il 2050 la produzione potrebbe triplicare rispetto ai livelli del 2016.

Ora una nuova analisi quantifica in modo inedito la quantità di plastica che sta contaminando la superficie degli oceani. Un team internazionale di ricercatori calcola che nel mondo galleggiano tra gli 82mila e i 358mila miliardi di particelle di plastica, per un totale di chili che va dagli 1,08 ai 4,8 miliardi. E tutto questo solo nello strato più superficiale dell’acqua.

Il nuovo studio

L’analisi, inoltre, tiene conto solo dei frammenti lunghi fino a un terzo di millimetro, anche se le microplastiche possono essere molto, molto più piccole, e diventano sempre più numerose (le microplastiche sono definite come particelle di lunghezza inferiore a 5 millimetri). Gli scienziati ora sono in grado di rilevare le nanoplastiche nell’ambiente, le cui dimensioni rientrano nell’ordine dei milionesimi di metro e che sono abbastanza piccole da penetrare nelle cellule, (anche se calcolarne il numero esatto è un processo ancora difficile e costoso). Se il nuovo studio avesse preso in considerazione anche le particelle di plastica più piccole, il computo negli oceani supererebbe le migliaia di miliardi: “Stiamo parlando di quintilioni, probabilmente, se non di più“, dice Scott Coffin, ricercatore presso il California state water resources control board e coautore dello studio, che è stato pubblicato l’8 marzo sulla rivista PLoS One.

È questo l’elefante nella stanza – concorda Marcus Eriksen, cofondatore del 5 Gyres institute e autore principale dello studio –. Se vogliamo parlare del numero di particelle in circolazione, non stiamo nemmeno guardando alle particelle su scala nanometrica”. Nonostante abbiano appena iniziato a studiare le conseguenze il del fenomeno, gli scienziati hanno già scoperto che le microplastiche più piccole sono in grado di muoversi facilmente nel corpo umano, finendo nel sangue, nell’intestino, nei polmoni, nella placenta e persino nelle prime feci dei neonati.

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Plastica, un trattato internazionale per bloccare la piaga

Ecco perché il trattato dovrà comprendere un limite alla produzione di plastica, come ha sottolineato un gruppo internazionale di scienziati sulla rivista Science dopo la pubblicazione della bozza di risoluzione dell’Onu. “Faremo pressioni per un tetto obbligatorio e vincolante alla produzione – dice Jane Patton, responsabile delle campagne su plastica e prodotti petrolchimici del Center for international environmental law, che prenderà parte ai colloqui –, e per cambiare il modo in cui la plastica viene prodotta, per eliminare le sostanze chimiche tossiche dalla produzione e dalla catena di approvvigionamento“.

In effetti, la bozza di risoluzione chiede di intervenire sull'”intero ciclo di vita” della plastica, dalla produzione allo smaltimento. Ma sarà il tempo a dirci se i negoziatori riusciranno a raggiungere un accordo su un tetto massimo. L’ideale sarebbe concordare un limite vincolante internazionale, ma è anche possibile che i singoli paesi decidano di assumersi impegni a livello locale.

Anche l’introduzione di un limite ridotto potrebbe gettare le basi per vincoli sempre più ambiziosi. Melanie Bergmann, ricercatrice sulle microplastiche presso l’Alfred Wegener institute e coautrice dell’articolo pubblicato su Science, sostiene che una diminuzione dell’offerta di plastica potrebbe finalmente rendere il riciclaggio più sostenibile. “Una riduzione della produzione di nuove materie plastiche dovrebbe far aumentare anche il prezzo e la domanda di plastica riciclata, in modo che il riciclo diventi davvero economico – spiega Bergmann, che parteciperà ai colloqui dell’Onu–, perché al momento è più conveniente produrre plastica da materie prime fossili che da fonti riciclate“.

I pericoli per la salute

Altri scienziati chiedono che al centro delle trattative vengano messi i componenti chimici della plastica, allo scopo di negoziare un divieto di alcuni composti o polimeri particolarmente tossici. Secondo uno studio, delle oltre 10mila sostanze chimiche che sono utilizzate in varie forme di plastica, come il pvc o il polistirene, un quarto è costituito da sostanze pericolose, vale a dire agenti tossici già conosciuti o materiali che si accumulano e rimangono negli organismi e nell’ambiente. Dal punto di vista umano, tra gli elementi più nocivi ci sono le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino, o Edc, che sono piuttosto comuni. Anche a dosi molto basse, possono causare gravi problemi di salute e sono stati associati a tumori e problemi ormonali. Uno studio condotto all’inizio di quest’anno riporta che i ftalati, sostanze chimiche contenute nella plastica, sono collegati a 100mila morti precoci all’anno negli Stati Uniti, una stima peraltro molto conservativa.

Source: wired.it