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La diretta del secondo palco del Wired Next Fest

Author: Wired

Durante il pomeriggio di domenica si discuterà delle nuove frontiere del giornalismo che devono fare i conti con la sempre minore attenzione riservata oggi ai contenuti online. Sul palco Andrea Girolami, giornalista, content manager, autore della newsletter Scrolling Infinito e Laura Gusmeroli, Client Director, Show Reel Agency. Ma saranno presenti anche Francesco Oggiano, Digital journalist, è uno dei volti di Will Italia e Giulio Pasqui Ceo Webboh, “la Bibbia della GenZ”, e dà voce alle nuove generazioni.

In chiusura del festival, domenica, torneremo sul tema della sicurezza informatica. Le sfide della geopolitica si intrecciano sempre di più con il mondo digitale. Alcuni la considerano un campo di battaglia per condurre conflitti anche nel dominio cibernetico, mentre altri cercano di rafforzare la sicurezza dei sistemi informatici costruendo “muri” difensivi. Yuliana Shemetovets rappresentante politica dei Cyber Partisans bielorussi ci rivela le due facce dell’hacking. Insieme a lei saranno presenti anche i Mhackeroni, un gruppo di hacker etici italiani, che quest’anno ha vinto l’Hack-A-Sat, la competizione indetta dal governo degli Stati uniti e focalizzata sulla sicurezza dei sistemi spaziali.

Dall’Italia a New York e ritorno. In Radio Gotham, il suo disco d’esordio, Rose Villain cita la metropoli dell’uomo pipistrello per raccontare la propria dualità interiore, mettendo a nudo il suo talento, la sua determinazione, la sua sincerità, ma anche i suoi lati più deboli ed oscuri. Una dualità che non è solo dei supereroi, ma nella quale chiunque può rispecchiarsi. Avremo la possibilità di ascoltarla domenica pomeriggio.

La comicità è in grado di superare le barriere linguistiche e culturali? Ci sono temi sui quali non si può ridere? Ascolteremo cosa ne pensano i Be Comedy UK, un collettivo di artisti che ha scelto un palco londinese per far ridere il pubblico. Con Marco Di Pinto, Xhuliano Dule, Sara Flamment, Tiziano La Bella e Antonio Ricatti.

Tra omogenitorialità, famiglie queer, maternità surrogate, oggi la famiglia è tutto meno che tradizionale. Quello che non cambia, sono i legami di affetto che la tengono unita. Ne parleranno Eva Benelli, giornalista, socia dell’agenzia di editoria scientifica Zadig; Maurizio Bonati, senior advisor dell’Istituto di ricerche Mario Negri di Milano e la coppia di creator Papà per scelta.

Compassione, pietismo, paternalismo: sono atteggiamenti che accompagnano il racconto della disabilità. E sono elementi dei quali sarebbe ora di fare a meno. Ne parliamo con Simone Barlaam, nuotatore paralimpico, classe 2000, con 4 medaglie all’attivo. Ma anche con Simone Riflesso, designer dell’informazione specializzato in comunicazione inclusiva e accessibile e con Maria Chiara Paolini e Elena Paolini, alias Witty Wheels, attiviste, formatrici e blogger.

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Nayt: “La società ci fa impazzire, ci spinge all’eccesso”

Author: Wired

“Se un tipo di rap parla di certe cose in un determinato modo, è perché evidentemente descrive un ambiente reale dove quei temi vengono trattati così. Quello che io amo del rap è la cruda sincerità che ti riporta una verità. O anche una verità di come viene raccontato in modo finto la vita delle volte. Per me è entusiasmante essere arrivato a un punto dove certe cose le ho capite, le ho inquadrate e mi ha permesso di parlarne. Ci sono dei ragazzi che sono venuti al firmacopie, mi hanno scritto e mi hanno detto ‘grazie per aver parlato di questo, perché a mia madre è successo, a mia sorella è successo, è successo alla mia ragazza e io mi sono sentito in un certo modo e il fatto che tu mi parli, parli di me e parli di questa cosa qua mi ha fatto sentire… perché io non ne posso parlare con nessuno perché è un tabù’. Quindi avere questo potere, riuscire a ritagliare questo spazio dove le persone possono dialogare di questo, per me è tutt’altro che difficile. Anzi, mi spinge a farlo meglio e di più. E in principio questa è una cosa che ho sentito proprio su di me, il modo in cui vengo trattato, riconosciuto da uomo, dalla società, mi ha creato anche un’idea di me stesso, fasulla o comunque distorta, e di conseguenza l’ha fatto anche nei confronti della donna e nei confronti delle relazioni che un uomo può avere con una donna, o comunque delle relazioni in generale. Sono contento di riuscire, oggi, ad avere gli strumenti per riuscire a parlarne, perché questa sicuramente era una di quelle cose di cui soffrivo prima e che non capivo neanche di soffrirne”.

Questo disco a livello musicale è molto coeso come concept, però mantiene sempre una sua varietà. Come ti trovi con questa parte più cantautorale?

“Benissimo. È ormai da qualche anno che scrivo anche pezzi di questo tipo, anche più particolari, più assurdi. Tutto normale è un pezzo che prende in maniera un po’ ironica ma neanche troppo poi il fatto che ci sono una serie di contraddizioni nella nostra società e io ironizzo dicendo che ‘Tranquillo, è tutto normale’. Finché a un certo punto arriva uno switch anticipato da quelle due barre dove rappo che rappresenta proprio l’anestesia. Quando qualcuno si droga, che sia di droghe leggeri, droghe pesanti, alcol, social, tv spazzatura, intrattenimento vario, e ti sedi dicendo sai che ‘Va tutto bene, tutto normale, dentro, fuori, va tutto normale, tutto ok’. E noi andiamo avanti in questo modo. Cerco di dare sempre un senso poetico alla musica, al mix, alla produzione, oltre che al testo e al cantato. Se ne va parla dell’abbandono che se vissuto fin da piccolo rischia di tornare ogni qualvolta ci si riapre emotivamente con qualcuno, se questo trauma non lo si è affrontato. Ho lavorato tanto sul progetto dell’album”.

In che modo?

“Avevo dei singoli molto forti come Guerra dentro che sta andando bene e che non ho fatto uscire prima dell’album per trainarlo, metaforicamente o letteralmente. Schiacci play e tu trovi quello che c’è dentro. Trovi tutto quel viaggio, te lo ascolti e ha un senso. Cercavo un’esperienza e continuo a cercarla. Quando esce un album è un evento ma se io lo riduco a ‘ho fatto l’album, ora lo pubblico, faccio firma copie, poi faccio i live e poi ti faccio un altro album.’ è uno spreco, è un peccato, soprattutto quando il disco ha delle cose che hanno un peso specifico. Provo ad allargare sempre di più l’esperienza dell’album, con estensioni che siano anche fuori dalla musica o con degli eventi. A me sarebbe sempre piaciuto fare una mostra d’arte che lanciasse l’uscita, perché dietro ai progetti grafici che noi affrontiamo c’è un lavoro di mesi e mesi, e tengo tanto al progetto grafico oltre che a tutto il resto”.