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Economia

L’equità e le pensioni

Author: clinguella@finanza Finanza.com Blog Network Posts

La cornucopia delle pensioni è approntata ma non si decide a elargire i suoi frutti. E’ un gran parlare di modifiche, riforme, soppressione di questa o quella norma di questo o quel vincolo. Gli esperti dei talk show ( letteralmente : spettacolo delle chiacchiere) si sprecano a sciorinare questa o quella ricetta miracolosa e la bramosia dell’applauso viene subito soddisfatta quanto più si prospettano scenari  rosei a costi praticamente zero. Ciò mentre   anche i contabili più larghi di maniche, ammettono a denti stretti che l’abolizione della Fornero ( sempre intesa come legge) qualcosina costerà, magari non gli 80 miliardi come afferma il presidente dell’Inps Boeri, ma insomma, non sarebbero noccioline.
Nel sistema pensionistico statale, per quanto concerne l’equità ci sono almeno due aspetti da considerare. Brevemente per Equità  si intende il principio di contemperamento di interessi contrapposti  rilevanti secondo il grado di tutela sociale.Il primo aspetto  è costituito da quanto i pensionati percepiscono in rendita con riferimento all’ ammontare dei l contributi versati durante la loro vita lavorativa e se questi saranno sufficienti a vivere  dal momento del ritiro dal lavoro in poi, quando non potranno  più  beneficiare degli avanzamenti di carriera, rinnovi contrattuali, premi di produzione.
Il secondo aspetto riguarda a che età debba essere effettuato il ritiro e le implicazioni che essa produce sull’equità intergenerazionale a seconda di dove si fissa l’asticella e se troppo in alto o troppo in basso,  non viene più  garantita la neutralità attuariale a causa di limiti di età non equi. Se troppo bassa il montante contributivo  accumulato.non è sufficiente per una rendita adeguata. Se troppo alta la rendita sarà adeguata ma si rischia di non spendere tutto il montante accumulato.
Il sistema attuale come esso si presenta con larghi strati della popolazione che hanno un pezzo di retributivo ( riguarda coloro che hanno cominciato a lavorare prima del 1995) contiene un’iniquità in quanto il sistema è tale da creare differenze nei pagamenti delle pensioni che non sono giustificati in riferimento alle storie contributiveindividuali. Né meglio è il sistema contributivo, perché è “nozionistico” ( NDC, Sistema a contribuzione definita nozionistica ), non a capitalizzazione individuale, bensì sempre a ripartizione.
L’equità intergenerazionale è correlata a questo aspetto. Qualsiasi sistema pensionistico,
sia esso pubblico o privato, deve essere in grado di assorbire l’impatto dell’invecchiamento della popolazione senza divenire finanziariamente instabile. Se il costo strutturale del sistema diventa troppo alto per i pensionati correnti e quelli futuri, il sistema non sopravviverà, almeno nella sua forma attuale. Mentre è possibile mantenerlo con una riduzione dei costi per un determinato periodo di tempo fino a raggiungere ciò che può essere considerato un “punto di svolta” ( la gobba della spesa pensionistica), ma sarebbe ingiusto richiedere all’attuale generazione che è al lavoro di sopportare interamente l’onere della sostenibilità, o aumentare i contributi per finanziare un sistema pensionistico per garantire le prestazioni in atto per gli attuali pensionati, prestazioni che saranno significativamente migliori rispetto a quelle disponibili per i futuri pensionati. Come qualsiasi altra prestazione sociale, la domanda ricorrente è quanto la società dovrebbe puntare per ridistribuire ai suoi pensionati un reddito da considerare adeguato e, successivamente, il modo migliore per sostenere questo livello di adeguatezza in base ai contributi individuali versati.
Il compromesso qui è tra il mantenimento dell’adeguatezza delle prestazioni e garantire che le aliquote di contribuzione / tasse necessarie per pagare questi benefici siano accessibili e non compromettono competitività o flessibilità nel mercato del lavoro. Cioè non possono aumentare.
Poiché molti pensionati generalmente vivono solo di pensione e possono dipendente da questo reddito anche per 20 anni e i nuovi lavoratori pagheranno di più per avere di meno, c’è il problema di garantire una pensione adeguata a tutti in base al surrichiamato principio di equità.
Qui le strade sono impervie. Perché da una parte è giusto garantire ai futuri pensionati pensioni adeguate, dall’altra parte si deve garantire  agli attuali pensionati l’originario potere di acquisto per non farli scivolare, tranne che per i pensionati d’oro, sotto la soglia dell’adeguatezza.
A questo punto le strade sono non solo impervie ma veramente poche, si aumentano i contributi/tasse, si riducono le prestazioni, oppure si punta sulla massiccia diffusione del secondo welfare, cioà la previdenza e la sanità integrativa.
Tralasciando la sanità integrativa che è un fenomeno apparentemente nuovo ma che è in rapida espansione, per rimanere nel campo pensionistico, è alla previdenza complementare che bisogna guardare. L’uso di sistemi “multi-pilastro ” è un modello ampiamente accettato per la progettazione e riforma degli attuali sistemi pensionistici. Istituzioni come la Banca Mondiale, l’Organizzazione per la cooperazione economica e Sviluppo (OCSE) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, sono sostenitrici dei sistemi multi-pilastro. A grandi linee l’approccio multi pillar comporta una gestione di questo tipo:
Primo pilastro”: la pensione statale, un “secondo pilastro” composto da pensioni professionali e un ‘terzo pilastro ‘ costituito da risparmi personali in polizze assicurative private. E’ vero , riferendeosi al secondo pilastro sono  molti che lo  ritengono superato, perché la legge Fornero, con i suoi elevati limiti di età pensionabile innalza il tasso di sostituzione dal 50/60% al 70/80 %. Però dobbiamo chiederci, rispetto a quale stipendio e a quale montante contributivo accumulato si fa riferimento, viste le carriere frammentate e discontinue e stipendi che in molti casi sono di poco superiori alla legge bronzea del salario di ricardiana memonia.

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