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Con Talking Hands la lingua dei segni si trasforma in voce

Author: Gianluca Dotti Wired

Un’iniziativa di imprenditoria sociale pensata per dare un aiuto alla comunità dei sordomuti: il progetto Talking Hands è stato selezionato tra i New Heroes di RedBull.com. Ecco come si può comunicare con le mani grazie a un guanto e a uno smartphone

Almeno 70mila, forse 100mila: è questa la stima più attendibile oggi a disposizione sul numero di persone sordomute che vivono in Italia. A livello globale, invece, la comunità sorda conta circa 70 milioni di individui. Sono dunque milioni i potenziali fruitori di Talking Hands, un’invenzione tutta italiana che punta a migliorare la qualità della vita di chi non può comunicare oralmente e si affida alla lingua dei segni.

L’iniziativa, che rientra a pieno titolo nell’ambito dell’imprenditoria sociale, è stata selezionata per entrare a far parte di New Heroes, il progetto editoriale a cura di Oscar di Montigny e realizzato in collaborazione con RedBull.com per raccontare le storie dei nuovi eroi del mondo del lavoro. A spiegare cos’è Talking Hands è Francesco Pezzuoli, fondatore e Ceo della startup LiMiX sviluppatrice il progetto, in un video prodotto da Francesco Maddaloni e Valerio Mammone.

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Letteralmente il nome del dispositivo significa mani che parlano, e più didascalico di così non poteva essere: Talking Hands traduce la lingua dei segni in voce grazie a un guanto indossabile. Il guanto funziona attraverso dei sensori inerziali da applicare sulla mano (sia sulle dita sia sul dorso) e sull’avambraccio: i sensori riconoscono i movimenti della mano nello spazio, la flessione delle dita e l’orientamento dell’avambraccio, poi i dati raccolti vengono elaborati da un algoritmo di riconoscimento gestuale. Il software interpreta i movimenti e invia allo smartphone le informazioni elaborate, così che possano essere poi tradotte in suoni attraverso un sintetizzatore vocale.

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La fase iniziale dello sviluppo è stata svolta in collaborazione – come spinoff – con l’università di Camerino, mentre è del marzo 2015 la fondazione della startup LiMiX.

Il guanto non ha un linguaggio pre-installato, ma deve essere addestrato direttamente dall’utente. Come ha spiegato Pezzuoli, “tradurre la lingua dei segni in tutta la sua complessità sarebbe stato impossibile, perché è un tipo di comunicazione che non prevede solo la gestualità delle mani, ma anche mimiche facciali e movimenti del corpo. E a questo si aggiunge un’altra peculiarità che complica le cose, ossia le possibili varianti comunicative: “solo a Roma ci sono 10 dialetti diversi, e nel mondo esistono centinaia di linguaggi dei segni”, racconta Pezzuoli, “per questo abbiamo semplificato al massimo”.

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Nella pratica, dunque, per insegnare le parole al dispositivo è sufficiente collegare il guanto al cellulare attraverso la connessione bluetooth, eseguire fisicamente il movimento e associare una parola o una lettera. Da quel momento, ogni volta che viene eseguito quel movimento si ottiene la traduzione vocale. Ognuno può dunque personalizzare il proprio vocabolario e, se è necessario cambiare lingua, la traduzione può essere impostata in automatico, riutilizzando i gesti già in memoria.

Pezzuoli, che a 26 anni ha già una laurea in ingegneria informatica e un dottorato in matematica, ha ideato Talking Hands facendo tesoro della formazione personale e di quella del suo team, ma ha anche sviluppato il progetto attraverso una collaborazione diretta con la comunità sordomuta.

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Il desiderio di aiutare gli altri, e la sensibilità verso le persone con fragilità, derivano probabilmente dalle esperienze adolescenziali, quando Pezzuoli fu vittima di atti di bullismo. L’obiettivo del dispositivo Talking Hands non è solo quello di migliorare la qualità della vita, ma anche di aiutare le persone sordomute a trovare un impiego e quindi a diventare economicamente indipendenti e autonome. “A lungo termine”, spiega Pezzuoli, “speriamo che il progetto possa anche ridurre il numero di casi di depressione e suicidio, oltre che agevolare la comunicazione con i medici e con il personale delle strutture sanitarie”.

Dopo che l’idea del dispositivo iniziava a frullare in testa già dal 2011, il primo finanziamento al progetto (da 35mila euro) arriva nel 2015 grazie a StartCup Marche ed Ecapital. L’anno successivo altri 100mila euro arrivano grazie al Rome Prize della Maker Faire. Nel frattempo sono arrivati il brevetto e i primi prototipi, che insieme ai test con la comunità sorda concludono la fase pre-industriale. Il lancio commerciale è previsto tra il 2019 e il 2020, a un prezzo indicativo di 600 euro. In attesa di un’azienda che possa affiancare LiMiX per la commercializzazione, quest’anno la startup è stata la vincitrice italiana di Chivas Venture, un concorso che premia le realtà più innovative e interessanti in ambito sociale.

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