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Boom del solare e “sboom” del carbone negli Stati Uniti


Author: Leonardo Berlen QualEnergia.it

Nei prossimi anni si profila negli Usa una fortissima crescita del fotovoltaico, oltre che dell’eolico. Nonostante i diversi aiuti federali alla generazione da carbone e alle miniere, Trump dovrà incassare la pesante débâcle di questa fonte fossile.

Durante la sua fortunata campagna elettorale del 2016, Donald Trump, oltre a dichiararsi “clima scettico” e annunciare di voler uscire dal trattato di Parigi sul contenimento delle emissioni, si fece spesso riprendere con i minatori di carbone della Virginia o dell’Ohio, a cui promise di fare di tutto per mantenere in piedi il loro declinante settore di attività.

Ebbene, dopo due anni di presidenza, Trump non potrà annunciare il “Mission accomplished” al suo elettorato in questo settore: quella forma di produzione energetica sembra infatti essere sempre più in crisi, mentre si delinea, nei prossimi cinque anni, un incredibile boom di installazioni di centrali solari ed eoliche.

Tutto questo, come ha scoperto l’edizione Usa della rivista PV Magazine, si deduce dall’insieme di domande di installazione di grandi impianti solari presentate in cinque delle otto principali reti in cui sono suddivisi gli Stati Uniti continentali: 139 GW complessivi, a fronte degli attuali 34 GW di impianti su grande scala già installati.

Gran parte di questi sono previsti nell’area del Midwest e in Texas, con quasi 40 GW l’uno, e negli Stati della costa orientale centrale e nella solita California, con 25 e 30 GW rispettivamente.

La ragione di questa frenesia solare non è del tutto chiara. Gran parte probabilmente deriva certo dal fatto che installare entro il 2023, comporterà uno sconto fiscale del 30%, che invece andrà progressivamente a sparire negli anni successivi.

Un’altra fonte di stimolo possono essere i piani per diventare “fossil free” nella produzione elettrica nei prossimi anni, annunciati da diverse città e Stati americani.

Ma probabilmente la ragione principale, è che, anche negli Stati Uniti, generare elettricità con il fotovoltaico, che si installa ormai a circa 1 $ /watt nella grande taglia, è ormai il modo più economico di produrre elettricità, e questo fa sì che chi costruisce questi impianti abbia ottime chance di riuscire a vendere la propria energia con profitto o alla rete, o a società pubbliche e private, tramite contratti di fornitura sul lungo termine.

Ad aggiungere sorpresa a sorpresa, insieme a quei progetti per la produzione, ce ne sono anche un’enorme quantità per l’accumulo elettrico, indispensabile a rendere programmabile l’elettricità solare: una potenza tale di 16 GW (che, se basati su batterie al litio, dovrebbero corrispondere più o meno a 18 GWh di capacità) pari a 133 volte quella del grande impianto di accumulo che Tesla ha costruito in Australia).

Prima di stappare lo champagne per il futuro quintuplicarsi della potenza solare per la rete americana e l’affermarsi dei sistemi massivi di accumulo, però, occorre considerare che non tutti gli impianti per cui è stata fatta domanda vedranno mai la luce: molte di quelle richieste non saranno accettate oppure non saranno portate avanti dai proponenti, una mortalità che spesso arriva al 70% dei progetti iniziali.

D’altra parte, anche se si concretizzasse solo il 30% di quelle domande, si tratterebbe comunque di un più che raddoppio di potenza in soli 4 anni.

Bisogna anche notare che ci sono larghe aree degli Usa, come i soleggiati Stati del Sudovest e del Sudest, di cui mancano ancora i dati sulle richieste di installazione.

Il boom del solare, non è comunque sorprendente, anche nell’ottica della presidenza Trump, in quanto il suo governo, a parte qualche dazio doganale su dispositivi cinesi, non ha fatto molto per ostacolare le rinnovabili. La stessa estensione degli sgravi fiscali per il solare fino al 2023, è arrivata con un voto bipartisan nel 2018, e Trump ha persino previsto di installare pannelli solari lungo il teorico ‘muro anti immigrati’ con il Messico, forse per renderlo meno indigesto ai Democratici.

In fondo si tratta ormai di una fonte importantissima di lavoro, innovazione e profitto per cittadini e imprese americane.

Molto più strano, invece, è il contemporaneo tracollo del carbone.

Non che Trump non ci abbia provato a resuscitare quella fonte: ha ridotto o eliminato i limiti alle emissioni inquinanti e climalteranti previsti dall’amministrazione Obama, e concesso agli Stati carboniferi di legiferare su modifiche alla rete, che soddisfacessero le esigenze della generazione a carbone.

Ha addirittura provato, con la scusa della “sicurezza nazionale”, a introdurre aiuti finanziari per le industrie del carbone e nucleare in difficoltà, se non addirittura incentivi alla produzione dalle miniere e centrali meno convenienti: ma questo è stato troppo anche per il Congresso, che non ha dato seguito alla proposta.

Ma nonostante questi sforzi , la debacle della generazione a carbone sembra essere inarrestabile: il censimento della Federal Energy Regulatory Commission, dei nuovi impianti energetici che entreranno in linea o saranno ritirati entro il 2021 è impietoso.

Sono previsti a quella data, 2130 nuovi impianti solari per un totale di 63 GW oltre a 488 impianti eolici per 89 GW. E il carbone? Un nuovo impianto da 17 MW…

Ma il disastro si delinea ancora meglio per quanto riguardo le dismissioni.

Se eolico e solare praticamente non ne hanno, è prevista la chiusura di 74 centrali a carbone, per un totale di 19 GW di potenza.

Certo, la ritirata del più antico dei combustibili fossili dal mercato staunitense, non è dovuta alle sole rinnovabili: il loro vero nemico sembra essere il gas naturale, spesso prodotto con il fracking, che nei prossimi tre anni aumenterà la potenza in centrali elettriche di 60 GW. Considerato il diverso fattore di capacità di solare, eolico e gas, si può dire che rinnovabili e metano si stanno dividendo alla pari il merito di affondare il carbone.

Questo scenario, per certi versi sorprendente, si profila come una delle più gravi sconfitte dell’amministrazione Trump.

Del resto che il destino del carbone sia segnato, lo indica anche quanto sta accadendo in Europa, dove in Spagna è prevista la chiusura di 20 miniere e 15 centrali a carbone, talvolta sostituite da generazione fotovoltaica; mentre in Germania hanno chiuso le ultime centrali a carbone, anche se per ora restano aperte quelle, ben più grandi e profittevoli, a lignite, mentre il governo sta lavorando a un piano per fuoriuscire del tutto da questa fonte fossile, anche se con molte difficoltà e contrasti.

Una fonte, del resto, che per la prima volta nella storia moderna tedesca, è stata superata dalle rinnovabili: nel 2018 il 40% dell’elettricità in Germania è stata prodotta, nell’ordine, da eolico, solare, biomasse e idroelettrico (pure fortemente ridotto dalla più grave siccità degli ultimi anni), mentre carbone e lignite si sono fermati al 38%.

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