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Le leggende metropolitane sulla peste

Author: Stefano Dalla Casa Wired

Non solo la peste non è mai scomparsa, ma le sue epidemie hanno lasciato tracce permanenti nella nostra cultura. Tra queste ci sono anche le leggende metropolitane

Illustrazione di Yersinia pestis sulla base di un’immagine al microscopio (1000x) (foto: BSIP/UIG Via Getty Images)

Che la peste non fosse mai scomparsa lo sapevamo. Le notizie del nuovo focolaio in Mongolia sembrano la copia carbone di quello di un anno fa. Due morti, collegati al contatto con marmotte, su cui vivono le pulci vettore di Yersinia pestis, il batterio responsabile della malattia. Poco dopo è arrivata anche la notizia del focolaio nella Mongolia interna, senza contare quelli segnalati in Congo nei mesi scorsi. Prima però non c’era la Covid-19. David Quammen ha spiegato che la peste la conosciamo bene, ed esistono trattamenti efficaci, ma è chiaro che la notizia sembra aggiungersi all’elenco di sciagure che stanno segnando il 2020.

Del resto basta la parola peste per evocare scenari apocalittici. Le epidemie e le pandemie che ha causato hanno segnato la storia, l’arte e la letteratura, creando un legame che arriva fino a noi. Un esempio: la pratica della quarantena si è sviluppata per la prima volta nel 1300 in Europa contro la peste. La sperimentò per prima la città Stato di Ragusa (oggi Dubrovnik), ma la durata era trenta giorni. In seguito la repubblica di Venezia seguì l’esempio e allungò il tempo di isolamento a 40 giorni.

Altro esempio: le descrizioni di Alessandro Manzoni sulla peste a Milano in questi mesi sono state letteralmente saccheggiate per trovare parallelismi (non sempre giustificati) con la situazione attuale. La parola untore, fin troppo usata, viene da quel contesto. Gli untori sono un esempio classico di leggenda metropolitana che si ripete di epidemia in epidemia. Ma nella sua storia secolare, la peste ce ne ha donate molte altre.

Giro giro tondo: una filastrocca macabra?

Le strofe della canzoncina sono impresse nella nostra memoria, ma che cosa significano? Un’interpretazione molto popolare è che, in particolare nella versione originale inglese, descrivano i sintomi della peste. E poi, naturalmente, tutti giù per terra. Una teoria di cui sicuramente erano consapevoli gli sviluppatori del videogioco Plague Inc. Se ci giocate, a un certo punto si sentirete Ring a Ring o’ Roses (il titolo originale) cantata da bambini.

Ma è una storia forse troppo perfetta per essere vera. Come ha riassunto il Ceravolc, la filastrocca appare verso la fine del Settecento. Le epidemie di peste a cui dovrebbe riferirsi sono di un secolo prima. Ci sono anche molte versioni delle strofe. Nessuna descrive particolarmente bene i sintomi della peste, e molte non parlano proprio di sintomi.

Il presunto collegamento con la peste è una speculazione apparsa nel secondo dopoguerra. Ci piace perché trasforma una innocente filastrocca in un macabro memento mori, ma non ha basi nella realtà.

Il costume del medico della peste

A proposito di memento mori: grazie a Covid, il costume del medico della peste sta spopolando. Basta guardare la maschera a becco per richiamare alla memoria quel medioevo immaginario dove bruciavano streghe, infliggevano la cintura di castità, e praticavano lo ius primae noctis. Ma anche quel costume è, in gran parte, immaginario.

Non è medievale per cominciare, se ne comincia a parlare a partire dal Seicento. Non è vero quindi che era in uso durante la Peste nera. Probabilmente non era nemmeno così comune, cioè non era un abbigliamento standard per il personale medico o paramedico in Europa. Sappiamo che fu usato in particolare in Italia, dove è stato poi trasfigurato in una maschera della commedia dell’arte, e in Francia.

Già all’epoca, inoltre, il costume cominciò a diventare un simbolo da utilizzare. In una delle incisioni più celebri che abbiamo il dottore ha in mano un bastone con in cima una clessidra alata, ma si tratta di un’interpretazione satirica, non storica. I costumi odierni si ispirano in gran parte a queste rappresentazioni, più che ai reali costumi (di cui abbiamo pochi reperti).

Il profeta Manzoni

Dal Boccaccio a Camus, in questi mesi siamo andati a cercare quello che aveva da dire la letteratura sulle epidemie. Ma è stato naturalmente il Manzoni ad attirare di più l’attenzione. Nel romanzo storico I Promessi Sposi è descritta la peste del 1630, mentre in Storia della colonna infame l’autore racconterà in dettaglio il processo a due presunti untori.

Lapide della Colonna infame, con la descrizione delle pene inflitte agli untori, oggi al Castello Sforzesco (M.casanova / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)

Il materiale da commentare non manca, e i libri sono a disposizione di tutti. Ma anche in questo caso non abbiamo potuto fare a meno di massaggiare un po’ la realtà.

 “Sono partiti prima della mezzanotte. Nonostante le gride che proibivano di lasciare la città e minacciavano le solite pene severissime, come la confisca delle case e di tutti i patrimoni, furono molti i nobili che fuggirono da Milano per andarsi a rifugiare nei loro possedimenti in campagna”. A. Manzoni

Questo testo è stati ripetuto su giornali e social media quando la Lombardia divenne zona rossa (7 marzo) e le persone tentarono di lasciare la regione. Non è molto chiaro come centinaia di persone spaventate possano essere paragonate a nobili, ma soprattutto Manzoni non ha mai scritto niente del genere.

Per la folklorista Sofia Lincos è una delle numerosi false citazioni dotte che hanno colorato la pandemia. Non appare né nei Promessi sposi, né nella Colonna infame, ma solo in un testo divulgativo sui Promessi sposi (compare tra i primi risultati cercando promessi sposi + peste). La fonte principale di Manzoni è poi Giuseppe Ripamonti: Lincos sottolinea che Ripamonti stesso si rifugiò in campagna, come fecero altre personalità. A maggior ragione Manzoni, e la storia della peste a Milano, non giustificano il tentativo di biasimare a colpi di letteratura il comportamento osservato di recente.

Lo sterminio dei gatti

Pandemie ed epidemie fanno parte della natura, ma gli esseri umani possono dar loro una mano, anche se in involontariamente. Sulla peste gira a questo proposito una strana storia. Nel medioevo la Chiesa Cattolica avrebbe ordinato lo sterminio dei gatti, perché erano animali associati al demonio. La purga dei felini, però, ebbe una conseguenza inattesa. In assenza dei predatori, i ratti si sarebbero moltiplicati in modo incontrollato, rendendo possibile le epidemie di peste, tra cui la famosa Peste nera a metà del 300.

Quando si legge questa storia, ci viene detto che esiste la prova documentale: la bolla Vox in Rama di Gregorio IX. La bolla esiste, e riguarda le presunte pratiche eretiche. In un passaggio viene nominato un gatto nero che farebbe parte del rituale. Ma questo è tutto: non è ordinato nessuno sterminio felino.

(via reddit)

Questa ipotesi pseudostorica non ha comunque molto senso. Da una parte, i gatti non sono eccezionali cacciatori di ratti, dall’altra il ruolo dei ratti nella Peste nera è dibattuto. Secondo alcuni ricercatori la diffusione del contagio è stata troppo rapida, facendo sospettare il contagio da uomo a uomo mediato dai suoi parassiti (pulci e pidocchi che vivono sugli umani).

L’aceto dei quattro ladroni

Sulle false cure della peste si potrebbero scrivere enciclopedie, ma vale la pena ricordare questo presunto rimedio profilattico perché è ancora ricordato. E anche perché al suo uso è associata una storia leggendaria.

Il rimedio era costituito da aceto, a cui si aggiungevano aglio e diverse erbe, in base alla ricetta. Andava spalmato sulle mani e sul viso, e questo avrebbe protetto dal contagio. Se ne comincia a parlare dal Settecento, ma spesso si fa risalire il suo uso al medioevo.

La storia, con molte variazioni, è che il rimedio sia stato inventato da quattro ladri a Marsiglia, anche se a volte i ladri diventano sette. Catturati per aver derubato i morti e moribondi di peste, rivelarono la pozione segreta che usano per essere rilasciati. L’aceto è ancora famoso, e nonostante la storia evidentemente leggendaria c’è chi tenta di razionalizzare: probabilmente il forte odore scoraggiava le pulci, evitando il contagio. Quello che si dimentica è che non esiste alcuna prova che funzionasse.

Ancora oggi non è difficile trovare in vendita misture chiamate aceto dei quattro ladroni, sia come condimento che come tonico con generiche proprietà benefiche. La leggenda dei ladri e della peste è sempre presente.

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