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C’è chi vuole vietare il consumo della carne dei cavalli

Author: Wired

Uccisi mentre sono ancora coscienti, spesso dopo aver attraversato lunghi viaggi durante i quali le più elementari leggi contro il maltrattamento degli animali vengono ignorate: i cavalli macellati in Italia ogni anno sono oltre 25mila, il dato più alto in Europa, pari a un decimo di quanti ne vengono macellati in tutto il continente. Sono ufficialmente considerati ufficialmente sia animali “da affezione” sia animali “da allevamento”. E oltre 13mila cavalli ogni anno sono importati da Polonia, Francia e Spagna verso i macelli italiani. Tratte lungo le quali vengono ammassati sui camion e lasciati per ore senza bere, esposti al rischio di subire lesioni e sviluppare la pleuropolmonite, meglio nota come “febbre da trasporto”. Una condizione tristemente nota anche per il trasporto di altri animali destinati al consumo alimentare, documentata con report ed immagini da Animal Equality e da altre associazioni animaliste, che chiedono una legge che vieti la macellazione e quindi la commercializzazione di carne equina in Italia. Il team dell’associazione animalista ha indagato sulla macellazione dei cavalli in Spagna, Italia e Messico, documentando in particolare in quest’ultimo paese scene di enorme crudeltà verso gli animali.

Il caso arriva in Parlamento

L’azione si è tradotta per ora in una petizione online – che ha raccolto 100mila firme e portato in piazza Duomo a Milano lo scorso 28 giugno diversi attivisti per sensibilizzare cittadini e turisti sul tema – e in un’interrogazione parlamentare a favore del riconoscimento dello status di animale d’affezione presentata dalla deputata del Movimento 5 Stelle Carmen di Lauro, della Commissione Affari Sociali, rivolta ai ministri dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e della Salute Orazio Schillaci. “A entrambi ho fatto presente che le norme e i controlli che attualmente sussistono nella filiera della macellazione dei cavalli vengono regolarmente aggirate – ha detto Di Laudo a Wired -. Solo il 10-15% di questi animali viene tracciato mentre gli altri provengono da altri contesti di cui sappiamo veramente poco. E lo hanno dimostrato diversi interventi dei carabinieri anche in tempi recenti”.

Secondo la normativa italiana ogni cavallo deve essere dichiarato come destinato alla produzione alimentare (Dpa) oppure no. Ai cavalli non Dpa, ovvero quelli “da compagnia” o utilizzati per lo sport, vengono spesso somministrati – durante la loro vita – farmaci potenzialmente dannosi per le persone che ne dovessero mangiare la carne. Il mercato sommerso della commercializzazione di cavalli non Dpa è reso possibile dalle mancanze nel tracciamento di questi animali da parte delle autorità sanitarie e di controllo: in questo modo anche gli animali da compagnia o usati per le gare sportive finiscono per essere macellati a fini alimentari. Nel gennaio 2021, per esempio, i carabinieri del nucleo anti-sofisticazioni (Nas) di Parma hanno salvato quattro cavalle registrate come “non Dpa” in Francia che, grazie a continui passaggi di proprietà tra allevatori di bestiame, erano finite a Correggio (Reggio Emilia) per essere macellate con passaporti falsificati.

Dati contrastanti

In Italia le regioni in cui si macellano e consumano più equini sono la Puglia con 15.591 (pari al 35% del totale), il Veneto con 9.439 (20%) e l’Emilia Romagna con 6.215 (13%). Molto più bassi i numeri nelle altre zone del Paese. Ma, per via dei dati spesso incerti e disomogenei, resta difficile inquadrare con precisione il sistema di macellazione per la produzione di carne equina nel nostro territorio. Nel 2017, per esempio, l’Istat aveva indicato che i cavalli macellati in Italia erano stati 28.181, mentre il Ministero della Salute, attraverso la banca dati nazionale dell’Anagrafe zootecnica, ne aveva registrati 46.053. “Il problema è che ci sono anche allevamenti non dichiarati – dice a Wired Matteo Cupi, vicepresidente per l’Europa di Animal Equality -. Non esistono impianti di macellazione appositi per i cavalli, quindi si usano quelli per i bovini. Anche i metodi di stordimento non sono progettati per loro, causando ferite e ulteriore dolore inutile. In tutti questi vuoti normativi e zone grigie c’è chi se ne approfitta”.

La soluzione, secondo gli animalisti, sarebbe una legge che risolva il problema alla radice, come accaduto in Grecia, il cui governo nel 2020 ha equiparato questi animali a cani e gatti vietandone “l’allevamento e l’utilizzo per la produzione di pellicce, cuoio, carne o per la fabbricazione di medicinali e altre sostanze”. L’ultima proposta simile in Italia risale al 2013 e fu presentata dall’allora deputata di Forza Italia Michela Vittoria Brambilla: chiedeva lo stop per la macellazione, l’importazione e l’esportazione di “cavalli, asini, muli, il bardotti e pony”.

Author: Wired

Uccisi mentre sono ancora coscienti, spesso dopo aver attraversato lunghi viaggi durante i quali le più elementari leggi contro il maltrattamento degli animali vengono ignorate: i cavalli macellati in Italia ogni anno sono oltre 25mila, il dato più alto in Europa, pari a un decimo di quanti ne vengono macellati in tutto il continente. Sono ufficialmente considerati ufficialmente sia animali “da affezione” sia animali “da allevamento”. E oltre 13mila cavalli ogni anno sono importati da Polonia, Francia e Spagna verso i macelli italiani. Tratte lungo le quali vengono ammassati sui camion e lasciati per ore senza bere, esposti al rischio di subire lesioni e sviluppare la pleuropolmonite, meglio nota come “febbre da trasporto”. Una condizione tristemente nota anche per il trasporto di altri animali destinati al consumo alimentare, documentata con report ed immagini da Animal Equality e da altre associazioni animaliste, che chiedono una legge che vieti la macellazione e quindi la commercializzazione di carne equina in Italia. Il team dell’associazione animalista ha indagato sulla macellazione dei cavalli in Spagna, Italia e Messico, documentando in particolare in quest’ultimo paese scene di enorme crudeltà verso gli animali.

Il caso arriva in Parlamento

L’azione si è tradotta per ora in una petizione online – che ha raccolto 100mila firme e portato in piazza Duomo a Milano lo scorso 28 giugno diversi attivisti per sensibilizzare cittadini e turisti sul tema – e in un’interrogazione parlamentare a favore del riconoscimento dello status di animale d’affezione presentata dalla deputata del Movimento 5 Stelle Carmen di Lauro, della Commissione Affari Sociali, rivolta ai ministri dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e della Salute Orazio Schillaci. “A entrambi ho fatto presente che le norme e i controlli che attualmente sussistono nella filiera della macellazione dei cavalli vengono regolarmente aggirate – ha detto Di Laudo a Wired -. Solo il 10-15% di questi animali viene tracciato mentre gli altri provengono da altri contesti di cui sappiamo veramente poco. E lo hanno dimostrato diversi interventi dei carabinieri anche in tempi recenti”.

Secondo la normativa italiana ogni cavallo deve essere dichiarato come destinato alla produzione alimentare (Dpa) oppure no. Ai cavalli non Dpa, ovvero quelli “da compagnia” o utilizzati per lo sport, vengono spesso somministrati – durante la loro vita – farmaci potenzialmente dannosi per le persone che ne dovessero mangiare la carne. Il mercato sommerso della commercializzazione di cavalli non Dpa è reso possibile dalle mancanze nel tracciamento di questi animali da parte delle autorità sanitarie e di controllo: in questo modo anche gli animali da compagnia o usati per le gare sportive finiscono per essere macellati a fini alimentari. Nel gennaio 2021, per esempio, i carabinieri del nucleo anti-sofisticazioni (Nas) di Parma hanno salvato quattro cavalle registrate come “non Dpa” in Francia che, grazie a continui passaggi di proprietà tra allevatori di bestiame, erano finite a Correggio (Reggio Emilia) per essere macellate con passaporti falsificati.

Dati contrastanti

In Italia le regioni in cui si macellano e consumano più equini sono la Puglia con 15.591 (pari al 35% del totale), il Veneto con 9.439 (20%) e l’Emilia Romagna con 6.215 (13%). Molto più bassi i numeri nelle altre zone del Paese. Ma, per via dei dati spesso incerti e disomogenei, resta difficile inquadrare con precisione il sistema di macellazione per la produzione di carne equina nel nostro territorio. Nel 2017, per esempio, l’Istat aveva indicato che i cavalli macellati in Italia erano stati 28.181, mentre il Ministero della Salute, attraverso la banca dati nazionale dell’Anagrafe zootecnica, ne aveva registrati 46.053. “Il problema è che ci sono anche allevamenti non dichiarati – dice a Wired Matteo Cupi, vicepresidente per l’Europa di Animal Equality -. Non esistono impianti di macellazione appositi per i cavalli, quindi si usano quelli per i bovini. Anche i metodi di stordimento non sono progettati per loro, causando ferite e ulteriore dolore inutile. In tutti questi vuoti normativi e zone grigie c’è chi se ne approfitta”.

La soluzione, secondo gli animalisti, sarebbe una legge che risolva il problema alla radice, come accaduto in Grecia, il cui governo nel 2020 ha equiparato questi animali a cani e gatti vietandone “l’allevamento e l’utilizzo per la produzione di pellicce, cuoio, carne o per la fabbricazione di medicinali e altre sostanze”. L’ultima proposta simile in Italia risale al 2013 e fu presentata dall’allora deputata di Forza Italia Michela Vittoria Brambilla: chiedeva lo stop per la macellazione, l’importazione e l’esportazione di “cavalli, asini, muli, il bardotti e pony”.

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