Categorie
Tecnologia

La storia di Patrick Zaki

Author: Wired

Twitter content

This content can also be viewed on the site it originates from.

Per 27 ore nessuno ha più avuto sue notizie. Quattro anni prima una cosa simile era successa a un altro universitario, un ricercatore italiano, Giulio Regeni. Solo che Regeni scomparve per un mese, poi a essere trovato fu solo il suo corpo senza vita segnato dalle torture. Per Zaki molti hanno temuto la stessa sorte. Ha subito le torture, con l’elettricità, e il carcere.

Il suo impegno da attivista

L’accanimento del regime di Abdel Fattah al-Sisi contro il giovane è dipeso dal suo impegno civile. Studente interessato ai diritti umani, attivista nell’associazione umanitaria Egyptian initiative for personal rights e animatore della campagna elettorale per Khaled Ali, avvocato e attivista che voleva sfidare al-Sisi alle elezioni presidenziali del 2018, poi costretto a ritirarsi per le molte minacce e gli arresti che hanno subito i sui collaboratori. Un membro dell’opposizione, una persona scomoda, ancora di più per i suoi legami con l’Italia.

Zaki è arrivato per la prima volta nel nostro paese nel 2019, per seguire un corso magistrale in Women’s gender studies all’università di Bologna (Unibo). Un percorso interrotto dall’arresto ma coronato ottenendo il massimo dei voti alla laurea, dopo la discussione della sua tesi online dall’Egitto solo lo scorso 5 luglio. E l’Unibo è stata l’istituzione italiana che più si è stretta attorno al giovane, che più ha spinto per la sua liberazione, dandogli la forza di resistere e continuare a lottare.

Il lungo processo

In totale, dal primo arresto a oggi, sono passate 18 udienze e nove slittamenti usati per prolungare la custodia cautelare, durata 22 mesi. Poi poco tempo in libertà prima della condanna definitiva a 3 anni di carcere e, infine, la grazia. Nel mentre, per lui sono proliferate le petizioni online per chiedere di concedergli la cittadinanza italiana, Amnesty International Italia non ha mai smesso di chiedere giustizia e al suo fianco si sono schierati anche i partiti politici come il Movimento 5 stelle e il Partito democratico.

Ma l’appoggio istituzionale, a parte quello incrollabile dell’Unibo, non è sempre stato scontato. Il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione per esortare gli stati membri a imporre sanzioni contro l’Egitto per i casi di Zaki e Regeni, finita in un nulla di fatto e disertata dai rappresentanti della destra. Stesso discorso durante il governo Draghi, quando la mozione per la cittadinanza è stata approvata da Camera e Senato e poi lasciata nel dimenticatoio.

Ora, ciò che si teme, è che la grazia concessa da Al-Sisi, possa essere una sponda al governo Meloni per far cadere le indagini sul rapimento, sulle torture e sull’omicidio di Giulio Regeni. Caso in cui l’Egitto non solo si rifiuta di collaborare, ma si è attivamente impegnato nella diffusione di materiali propagandistico per infangare la sua memoria. Ipotesi non così irreale, vista la poca attenzione data al caso Zaki da Meloni, mentre era all’opposizione, il suo silenzio sul caso Regeni alla Cop27 e il rifiuto di testimoniare durante l’ultima udienza del caso Regeni dato da Meloni al Gip lo scorso 9 marzo, come riporta Repubblica.

Author: Wired

Twitter content

This content can also be viewed on the site it originates from.

Per 27 ore nessuno ha più avuto sue notizie. Quattro anni prima una cosa simile era successa a un altro universitario, un ricercatore italiano, Giulio Regeni. Solo che Regeni scomparve per un mese, poi a essere trovato fu solo il suo corpo senza vita segnato dalle torture. Per Zaki molti hanno temuto la stessa sorte. Ha subito le torture, con l’elettricità, e il carcere.

Il suo impegno da attivista

L’accanimento del regime di Abdel Fattah al-Sisi contro il giovane è dipeso dal suo impegno civile. Studente interessato ai diritti umani, attivista nell’associazione umanitaria Egyptian initiative for personal rights e animatore della campagna elettorale per Khaled Ali, avvocato e attivista che voleva sfidare al-Sisi alle elezioni presidenziali del 2018, poi costretto a ritirarsi per le molte minacce e gli arresti che hanno subito i sui collaboratori. Un membro dell’opposizione, una persona scomoda, ancora di più per i suoi legami con l’Italia.

Zaki è arrivato per la prima volta nel nostro paese nel 2019, per seguire un corso magistrale in Women’s gender studies all’università di Bologna (Unibo). Un percorso interrotto dall’arresto ma coronato ottenendo il massimo dei voti alla laurea, dopo la discussione della sua tesi online dall’Egitto solo lo scorso 5 luglio. E l’Unibo è stata l’istituzione italiana che più si è stretta attorno al giovane, che più ha spinto per la sua liberazione, dandogli la forza di resistere e continuare a lottare.

Il lungo processo

In totale, dal primo arresto a oggi, sono passate 18 udienze e nove slittamenti usati per prolungare la custodia cautelare, durata 22 mesi. Poi poco tempo in libertà prima della condanna definitiva a 3 anni di carcere e, infine, la grazia. Nel mentre, per lui sono proliferate le petizioni online per chiedere di concedergli la cittadinanza italiana, Amnesty International Italia non ha mai smesso di chiedere giustizia e al suo fianco si sono schierati anche i partiti politici come il Movimento 5 stelle e il Partito democratico.

Ma l’appoggio istituzionale, a parte quello incrollabile dell’Unibo, non è sempre stato scontato. Il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione per esortare gli stati membri a imporre sanzioni contro l’Egitto per i casi di Zaki e Regeni, finita in un nulla di fatto e disertata dai rappresentanti della destra. Stesso discorso durante il governo Draghi, quando la mozione per la cittadinanza è stata approvata da Camera e Senato e poi lasciata nel dimenticatoio.

Ora, ciò che si teme, è che la grazia concessa da Al-Sisi, possa essere una sponda al governo Meloni per far cadere le indagini sul rapimento, sulle torture e sull’omicidio di Giulio Regeni. Caso in cui l’Egitto non solo si rifiuta di collaborare, ma si è attivamente impegnato nella diffusione di materiali propagandistico per infangare la sua memoria. Ipotesi non così irreale, vista la poca attenzione data al caso Zaki da Meloni, mentre era all’opposizione, il suo silenzio sul caso Regeni alla Cop27 e il rifiuto di testimoniare durante l’ultima udienza del caso Regeni dato da Meloni al Gip lo scorso 9 marzo, come riporta Repubblica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.