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Gli astronauti potrebbero sopravvivere a un viaggio di andata e ritorno per Marte?

Author: Wired

Fantasticando attorno all’idea che l’essere umano possa un giorno mettere piede su Marte viene spontaneo fermarsi a ragionare sulle difficoltà tecniche che un viaggio del genere implicherebbe. Ma cosa sappiamo invece dell’impatto che una spedizione sul pianeta rosso avrebbe sulla salute di astronauti e astronaute? Secondo un ampio studio appena pubblicato su Nature Communication, la funzionalità dei reni potrebbe essere gravemente compromessa sia per effetto della microgravità che per l’esposizione agli alti livelli di radiazioni presenti nello Spazio. Insomma, non sarebbe proprio una passeggiata.

Lo studio

La ricerca ha visto la partecipazione di un enorme numero di scienziati e scienziate di oltre 40 istituzioni sparse per tutto il globo, coordinati da Keith Siew e Stephen Walsh del dipartimento di medicina renale della Ucl (University College London, Regno Unito). Il gruppo di ricercatori ha condotto una serie di esperimenti e analisi biomolecolari, fisiologiche e anatomiche su diverse coorti (o gruppi) che hanno incluso sia esseri umani che topi e ratti. In particolare, sono stati utilizzati i dati relativi ad astronauti e astronaute che hanno partecipato a missioni spaziali in orbita terrestre bassa e quelli provenienti da simulazioni condotte su topi e ratti. In alcune di queste simulazioni i topi sono stati esposti ad alti livelli di radiazioni, paragonabili a quelle a cui ci si esporrebbe durante missioni di un anno e mezzo o due anni e mezzo su Marte.

I risultati

Complessivamente, i risultati mostrano che sia i reni degli esseri umani che quelli di topi e ratti subiscono dei cambiamenti durante i viaggi (o le simulazioni di viaggio) nello Spazio. In sostanza, la capacità dei reni di processare le sostanze saline viene fortemente alterata, con la conseguente formazione di calcoli renali. Il meccanismo alla base di quest’alterazione dovrà essere ulteriormente chiarito, ma il dato che sorprende è che i topi esposti al livello più alto di radiazioni (paragonabile a quelle che riceveremmo in due anni e mezzo di viaggio su Marte) hanno subito danni permanenti ai reni.

Sappiamo cosa è successo agli astronauti durante le missioni spaziali relativamente brevi condotte finora, in termini di aumento di problemi di salute come i calcoli renali. Quello che non sappiamo è perché questi problemi si verificano, né cosa succederà agli astronauti durante voli più lunghi, come la missione proposta per Marte”, spiega Siew. “Se non sviluppiamo nuovi modi per proteggere i reni – prosegue -, direi che anche se un astronauta potrebbe farcela ad arrivare su Marte, al ritorno potrebbe aver bisogno della dialisi”.

Secondo Walsh, un’idea potrebbe essere quella di sviluppare dei farmaci in grado in qualche modo di proteggere i reni schermandoli dall’elevata quantità di radiazioni presenti nello Spazio: “I farmaci sviluppati per gli astronauti potrebbero essere utili anche qui sulla Terra – conclude -, ad esempio consentendo ai reni dei pazienti oncologici di tollerare dosi più elevate di radioterapia, essendo i reni uno dei fattori limitanti in questo senso”.

Author: Wired

Fantasticando attorno all’idea che l’essere umano possa un giorno mettere piede su Marte viene spontaneo fermarsi a ragionare sulle difficoltà tecniche che un viaggio del genere implicherebbe. Ma cosa sappiamo invece dell’impatto che una spedizione sul pianeta rosso avrebbe sulla salute di astronauti e astronaute? Secondo un ampio studio appena pubblicato su Nature Communication, la funzionalità dei reni potrebbe essere gravemente compromessa sia per effetto della microgravità che per l’esposizione agli alti livelli di radiazioni presenti nello Spazio. Insomma, non sarebbe proprio una passeggiata.

Lo studio

La ricerca ha visto la partecipazione di un enorme numero di scienziati e scienziate di oltre 40 istituzioni sparse per tutto il globo, coordinati da Keith Siew e Stephen Walsh del dipartimento di medicina renale della Ucl (University College London, Regno Unito). Il gruppo di ricercatori ha condotto una serie di esperimenti e analisi biomolecolari, fisiologiche e anatomiche su diverse coorti (o gruppi) che hanno incluso sia esseri umani che topi e ratti. In particolare, sono stati utilizzati i dati relativi ad astronauti e astronaute che hanno partecipato a missioni spaziali in orbita terrestre bassa e quelli provenienti da simulazioni condotte su topi e ratti. In alcune di queste simulazioni i topi sono stati esposti ad alti livelli di radiazioni, paragonabili a quelle a cui ci si esporrebbe durante missioni di un anno e mezzo o due anni e mezzo su Marte.

I risultati

Complessivamente, i risultati mostrano che sia i reni degli esseri umani che quelli di topi e ratti subiscono dei cambiamenti durante i viaggi (o le simulazioni di viaggio) nello Spazio. In sostanza, la capacità dei reni di processare le sostanze saline viene fortemente alterata, con la conseguente formazione di calcoli renali. Il meccanismo alla base di quest’alterazione dovrà essere ulteriormente chiarito, ma il dato che sorprende è che i topi esposti al livello più alto di radiazioni (paragonabile a quelle che riceveremmo in due anni e mezzo di viaggio su Marte) hanno subito danni permanenti ai reni.

Sappiamo cosa è successo agli astronauti durante le missioni spaziali relativamente brevi condotte finora, in termini di aumento di problemi di salute come i calcoli renali. Quello che non sappiamo è perché questi problemi si verificano, né cosa succederà agli astronauti durante voli più lunghi, come la missione proposta per Marte”, spiega Siew. “Se non sviluppiamo nuovi modi per proteggere i reni – prosegue -, direi che anche se un astronauta potrebbe farcela ad arrivare su Marte, al ritorno potrebbe aver bisogno della dialisi”.

Secondo Walsh, un’idea potrebbe essere quella di sviluppare dei farmaci in grado in qualche modo di proteggere i reni schermandoli dall’elevata quantità di radiazioni presenti nello Spazio: “I farmaci sviluppati per gli astronauti potrebbero essere utili anche qui sulla Terra – conclude -, ad esempio consentendo ai reni dei pazienti oncologici di tollerare dosi più elevate di radioterapia, essendo i reni uno dei fattori limitanti in questo senso”.

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