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Economia

FTSE Mib conferma l’uscita dalla fase laterale, Poste Italiane in cerca dei 6,50 euro

FTSE MibImmagine anteprima YouTube
Con l’ottava chiusa venerdì è arrivato tanto atteso segnale di rottura della resistenza in area 17mila punti sul Ftse Mib. Se i corsi del paniere si manterranno sopra il livello 17.122 punti ci sono i presupposti per la prosecuzione del rimbalzo con target che si posizionano in area 18.500-19.000 punti. Chiusure sotto detto livello potrebbero riportare alla fase di lateralità che ha caratterizzato i mesi estivi. Peggioramenti del quadro tecnico solo su discese oltre i 16.200 punti e successivamente alla rottura di 16mila punti.

EURO STOXX 50
Anche per l’EURO STOXX 50 il quadro tecnico è impostato positivamente per il breve periodo. I recenti segnali di forza sono stati generarti dall’accelerazione di venerdì che ha provocato la violazione al rialzo della trendline dinamica espressa sul daily chart dai minimi crescenti del 7 aprile e 24 maggio. Ora i corsi si preparano al test dei massimi di area 3.097 punti e successivamente 3.156 punti. Un peggioramento del quadro tecnico si avrebbe solo con ritracciamenti sotto quota 3.064 punti.

Poste Italiane
Poste Italiane avvia l’ottava positiva dando seguito al rimbalzo di venerdì sulla trendline dinamica espressa sul daily chart con i minimi crescenti del 7 luglio e 2 agosto. Se le quotazioni del titolo si dovessero portare sopra i massimi della scorsa settimana a 6,36 euro si aprirebbero nuove prospettive di movimenti rialzisti di medio temrine che potrebbero riportare i corsi a 6,50 euro e poi ad un test dei massimi di agosto a 6,585 euro, con l’obiettivo di andare a chiuder il down gap aperto il 24 giugno a 6,62 euro.

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Autore: Finanza.com Blog Network Posts

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Calcio

Diego Costa: Lo pasé mal, pero sabía que los goles llegarían

El delantero del Chelsea marcó dos goles en la victoria de España por 8-0 ante la modesta Liechtenstein

El jugador del Chelsea Diego Costa antendió a los micrófonos de TVE tras la victoria de España por 8-0 ante la modesta Liechtenstein:

“Tuve el apoyo no solo el mister si no de mis compañeros, que nunca me dejaron y siempre me apoyaron. Ahora las cosas me están saliendo bien”.

“Lo pasas mal y un delantero necesita goles. Creo que ahora estoy participando más en el juego y sabía que los goles iban a llegar”.

“De los compañeros nunca me quejo; les tengo que dar las gracias porque siempre me apoyaron y nunca me dejaron bajar los brazos. Las críticas son normales porque a los jugadores de la Selección se les pide siempre más”.

Por otro lado, el técnico Julen Lopetegui atendió a los medios de comunicación en sala de prensa:

“Estoy contento, son tres puntos y es importante entrar bien. Estamos contentos por el rendimiento del equipo. Hemos hecho muy buena segunda parte, pero también una gran primera parte. Lo que sembramos en la primera parte lo recogimos en la segunda”.

“A veces el nombre del rival puede llevar a engaños, pero el equpo ha estado bien y ha hecho un buen partido. Cuando los equipos mantienen la puerta a cero también es mérito de la defensa, hemos estado”.

 “Al final los jugadores son los dueños de su destino, nosotros tratamos de ayudarles, pero Diego Costa es un gran jugador y lo ha demostrado.  Hemos decidido empezar con Diego y cuando la gente estaba cansada ha salido Álvaro y lo ha hecho bien”.

“Ante Italia son tres puntos importantes. No te la juegas en el segundo partido, pero sí que es cierto que es un partido dónde tenemos ilusión y ganas”.

Autore: Goal.com News – Español – España

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HardwareSoftware

Intel quietly launches Apollo Lake

2nd generation 14nm Celeron / Pentium

Apollo Lake is a second generation 14nm SoC for entry level tablets and computers and it serves the market that used to be known as Atom processors. Nowadays, Intel calls these CPUs Celeron and Pentium and the new generation was made available on Friday. 

Apollo Lake was developed under the Goldmont codename and it  promised that it should end up 30 percent faster than Braswell, the current 14nm SoC for mini PCs, tablets and entry level notebooks.

Apollo Lake comes with the 9th generation Graphics, similar to the one found in Skylake processors, supporting DirectX 12, Open GL 4.4, Open GL ES 3.2 and Open CL 2.0.

The new chip supports DDR3L/LPDDR3 at 1866 MT/s or LPDDR4 up to 2400 MT/s, and the fastest,  called Pentium J4205, works between 1.5GHz and 2.6GHz as the maximal clock. It has 2MB cache, four cores and four threads, 10W TDP and Intel HD graphics 505.  This is the desktop version and it will sell for $ 161.

The next is the Intel Celeron Processor J3455 with 2MB cache and four cores up to 2.3GHz and this  will sell for $ 107. Last on the Apollo Lake desktop list is the Intel Celeron Processor J3355, a dual core with 2MB cache and clock speeds up to 2.5GHz. it will sell for $ 107 and has the same 10 W TDP.

apollolake fudzilla

The fastest mobile Apollo Lake is Pentium N4200. It runs at 1.1GHz to 2.5Ghz, has 2MB RAM, four cores and four threads, Intel HD 505 graphics and 6W TDP. This sells for $ 161 and that sounds kind of expensive to us.

Next is is the Celeron Processor N3350 with 2MB cache and clock speeds up to 2.4GHz, two cores and 6W TDP, selling for $ 107. The last Apollo Lake  is the Celeron Processor N3450 with 2MB cache and 2.2 GHz and this is another quad core with 6W TDP selling for $ 107.00.

This should not be seen or confused with Cherry Trail Atom, also known as the Atom X7 and the Atom X5 branded processors. The successor to Cherry Trail was codenamed Willow Trail and the company also had a Broxton smartphone chip and SoFIA MID.

Intel told us back in April that both of these were cancelled. It remains to be seen how the manufacturers fill in the void in the mini PC market now that Intel has halted  tablet chip manufacturing.   

Autore: Fudzilla.com – Home

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HardwareSoftware

L’Irlanda non vuole 13 miliardi da Apple

Si apre un nuovo capitolo della vicenda Apple che vede come protagonisti l’azienda di Cupertino, la Commissione Europea e l’Irlanda.
Quest’ultima ha deciso di presentare appello contro la decisione della Commissione Europea che aveva stabilito che Apple dovrà versare 13 miliardi di dollari per gli “aiuti di stato” non dovuti.

Secondo la Commissione Europea, Apple ha beneficiato in Irlanda di un “trattamento speciale” (vedere questo articolo per approfondire: Apple dovrà versare al fisco irlandese fino a 13 miliardi) che ha consentito alla società guidata da Tim Cook di pagare nel 2013, appena l’1% di tasse. Questo importo si è ulteriormente assottigliato fino ad un ridicolo 0,005% del 2014.

L'Irlanda non vuole 13 miliardi da Apple

La somma che il fisco irlandese, su ordine della Commissione Europea, dovrà recuperare ammonta a 13 miliardi di dollari più 4,8 miliardi di interessi per un totale che sfiora i 18 miliardi di dollari.

Venerdì scorso, il governo irlandese aveva annunciato che avrebbe presentato ricorso contro la decisione della Commissione Europea anche se al suo interno si sono registrate molte divisioni e perplessità. E nel parlamento irlandese, che mercoledì prossimo dovrebbe dare il via libero definitivo all’iniziativa governativa, il partito dello Sinn Féin, ha presentato un emendamento con lo scopo di reindirizzare i 13 miliardi di dollari di tasse ai servizi essenziali.

Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea, ha definito come “storica” questa sentenza che è stata presa “senza discriminazioni e senza pregiudizi” aggiungendo poi dal G20 che si sta tenendo in Cina che “le autorità nazionali non possono fare benefici fiscali ad alcune società e ad altre no.”

Come finirà questa vicenda? A tarallucci e vino? O questo precedente minerà, fino a comprometterli seriamente, i rapporti commerciali tra un colosso come Apple e l’Europa che oggi come non mai ha bisogno di investimenti esteri?

Il numero dei dipendenti della fabbrica Apple di Cork è passato dai 60 del 1980 ai 6.000 di oggi con evidenti benefici che sono ricaduti sul territorio.
Leggendo la tra le righe, insomma, la l’idea è quella di non lasciarsi scappare Apple, un’azienda che ha creato numerosi posti di lavoro e un indotto davvero notevole.
Se Apple dovesse sborsare la colossale cifra stabilita dalla Commissione Europea, il piano dei suoi investimenti in Irlanda ed in Europa subirebbe sicuramente una notevole sforbiciata al ribasso.
Ed, evidentemente, si creerebbe un precedente che l’Irlanda, divenuta “paradiso fiscale” per molte aziende, non solo “over the top“, vuole fortissimamente evitare.

È anche altrettanto difficile pensare che Apple delocalizzi altrove per fare un dispetto all’Europa. Dove? Altri scenari sembrano impossibili.

Difficilissimo, d’altra parte, che uno Stato membro dell’Unione possa opporsi con risultato favorevole a provvedimenti definitivi decisi dalla Commissione Europea.
L’Europa, sulla carta unita, potrebbe – ancora una volta – dimostrarsi fragile e vulnerabile; pericolosamente divisa anche sulle questioni economiche.
Difficile, anche, che un’unione politica ed economica di carattere sovranazionale possa continuare ad accettare privilegi e politiche fiscali sbilanciate a favore di singoli soggetti in alcuni dei Paesi membri (vedere anche L’Irlanda non sarà più paradiso fiscale: si cambia).

Autore: IlSoftware.it

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Energia

Gli annunci rassicuranti di Cina e Usa sulla CO2, mentre puntano alla crescita globale

I due maggiori emittitori di gas serra ratificheranno l’accordo di Parigi. Gli attuali piani nazionali di tutti i firmatari però sarebbero oggi sicuramente inefficaci per limitare l’aumento della temperatura a 2 °C. Serve cambiare un modello economico che ha fallito, ma al G20 si punta sulla “salvifica” crescita.

I due maggiori produttori di emissioni di gas serra, Usa e Cina, hanno annunciato sabato 3 settembre che ratificheranno formalmente l’accordo di Parigi sul clima che, per entrare in vigore, richiede la ratifica di 55 paesi che rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali.

Con l’adesione dei due colossi e maggiori inquinatori del pianeta, che insieme fanno il 38% delle emissioni, si ritiene che l’accordo possa essere ratificato in via definitiva già entro fine anno.

Se entrerà in vigore, vorrà dire che tutti i 180 paesi sottoscrittori dovranno tagliare le loro emissioni come indicato dai loro attuali piani nazionali (Intended Nationally Determined Contributions), che però la comunità scientifica ritiene assolutamente inadeguati, visto che porterebbero (ammesso che vengano rispettati) a un aumento della temperatura media globale di 2,7 °C, forse di 3 °C, rispetto ai livelli preindustriali.  

Si andrebbe dunque, molto al di là della cosiddetta soglia di sicurezza, che è uno dei pochi punti fermi dell’accordo di Parigi: il target di aumento di 2 °C, tralasciando quello “auspicato” degli 1,5 °C, che è una vera e propria presa in giro. Sarebbe stato più incisivo indicare la necessaria riduzione delle emissioni; puntando alla sola temperatura non si è voluto dare più forza all’obiettivo.

Prima dell’annuncio di Obama e Xi Jinping, avevano ratificato l’accordo solo 24 paesi in “rappresentanza” dell’1% delle emissioni di CO2 (dai World Resources Institute). Vedremo come si muoveranno politicamente altri paesi importanti in termini di CO2, come Russia, India, Giappone e Unione Europea.

Il mondo ambientalista e diplomatico si divide, con parecchie sfumature al suo interno, su bontà e importanza storica di questo annuncio Usa-Cina, come aveva fatto dopo l’accordo di dicembre. Questa adesione formale dei due grandi tuttavia alla fine dei negoziati di dicembre 2015 era comunque data quasi per acquisita.

Con la ratifica dei due paesi, possiamo accettare che vi sia un segnale per l’economia mondiale, anche se davvero trascurabile visti gli interessi in gioco, e condividere il fatto che sia un inizio diplomatico del processo. Ma tutto qui. Parlare di successo o ritenere che questa sia la pietra miliare di una lunga fase di decarbonizzazione dell’economia credo sia fuorviante e prematuro.

Fuori luogo sono anche le dichiarazioni del Presidente americano, peraltro uscente, che disse: “l’accordo è il punto di svolta per salvare il pianeta” (altro aspetto del linguaggio che dimostra scarsa umiltà: non sarebbe meglio parlare di umanità, piuttosto che pianeta?).

Obama ha poi peggiorato il suo approccio di marketing affermando sabato che “se Paesi come Cina e Stati Uniti sono pronti a prendere la leadership, attraverso l’esempio è possibile creare un mondo migliore”. Stiamo parlando dei due paesi che hanno aumentato di più negli ultimi anni le spese per gli armamenti e continuano ad essere fattori di destabilizzazione più che di soluzione dei conflitti globali.

Vediamo di ribadire qui alcuni concetti basici, che sicuramente non verranno graditi dai più accaniti fan dei negoziati internazionali.

Primo, i successi della politica e della diplomazia non sono risultati ma dichiarazioni di intenti, benché in parte vincolanti, tutti da dimostrare coi fatti e con futuri personaggi politici diversi da quelli che oggi si proclamo i salvatori (resta possibile la vittoria di Trump negli Usa).

Secondo, i risultati diplomatici come l’accordo di Parigi (che ci sono) non hanno niente a che fare con l’evoluzione fisica del clima, che ha ben altri tempi e dinamiche: siamo già a un livello di concentrazione atmosferica della CO2 di 403 ppm (parti per milione), cioè del 37% superiore al picco raggiunto prima dell’era industriale, vicino a quei 450 ppm, considerati dalla comunità scientifica il limite oltre il quale il cambiamento climatico potrebbe diventare incontrollabile. Stiamo inoltre assistendo ad una escalation impressionante nell’aumento delle temperature.

Terzo aspetto, continuano gli investimenti nel settore dei combustibili fossili, in particolare nel carbone, e al momento l’accordo parigino va a modificare pochissimo il business as usual delle politiche energetiche di tanti paesi, soprattutto quelli emergenti (si veda anche il report di CAN Europe che abbiamo pubblicato stamattina, che mostra come l’UE continui a puntare molto sulle fossili, ndr).

Solo l’India, quarto paese per emissioni di gas serra, sta pianificando la costruzione di oltre 400 centrali a carbone, tanto che si stima che le sue emissioni aumenteranno di tre volte entro il 2030.

La stessa Cina ha pianificato che la sua prevedibile crescita economica porterà ad un aumento della CO2 del 50% entro il 2030; cioè a quella data avremo solo dal colosso asiatico un aumento delle emissioni totali pari a quasi il 30% di quelle globali. Consideriamo anche che l’attuale obiettivo cinese è di tagliare la CO2 per unità di Pil e non in termini assoluti, se non dal 2030.

Anche gli Usa non brillano per linearità, visto che i loro tagli li rapportano al 2005, anno con il picco delle emissioni, anziché al 1990 come l’UE che, nel frattempo, vive un momento di tentennamenti e crisi su tutti i fronti, che la renderà probabilmente incapace di tirare la carretta delle politiche climatico-energetiche. E poi miliardi di persone, oggi esclusi dal commercio internazionale, dall’industrializzazione, alcuni dei quali senza accesso all’energia e mal nutriti, agognano un modello di vita occidentale.

Il compito che ci si aspetta è di cambiare un modello economico strutturato e orientato solo per la crescita che non potrà che far aumentare le emissioni. Ed è, guarda caso, proprio quella che vogliono all’unanimità i G20 riunitisi in questi giorni in Cina: “un nuovo patto per la crescita globale”, anche se addolcito dall’auspicio che questa deve essere “innovativa, inclusiva e sostenibile”.

Ma le conosciamo le altisonanti relazioni finali di questi vertici. Il mantra della crescita è nel Dna delle classi dirigenti mondiali e l’economia capitalistica la richiede. E, lo sappiamo, gli economisti non contemplano il collasso del sistemi economici e sociali: la crescita per loro è non solo possibile, ma pressoché infinita.

Un dato importante però lo ha fornito di recente un economista inglese, Paul Ekins: ogni anno sono investiti nel settore delle energie low carbon circa 330 miliardi di dollari (dato BNEF). Eskin dice che dovremmo passare almeno a 3mila miliardi di $ in rinnovabili ed efficienza. Oggi stiamo sotto quell’obiettivo di dieci volte. E che dire della produzione di CO2 causata dall’agricoltura e dagli allevamenti industriali e dal fenomeno della deforestazione?

Abbiamo davanti una corsa contro il tempo e ci stiamo baloccando con bizantinismi ed entusiasmi che potrebbero rasserenare le classi politiche mondiali e, di conseguenza, l’opinione pubblica dei paesi più industrializzati che dovrebbero al contrario esigere sostenibilità ed equità, due aspetti indivisibili.

Avremmo bisogno di mettere in campo tutte le nostre idee e risorse, anche su scala locale, attivare sistemi e processi di adattamento. E il tutto con grande rapidità. Il fattore tempo è essenziale: tra 10, 15 o 20 anni potrebbe essere troppo tardi.

Intanto le popolazioni più povere sono quelle che stanno vivendo sulla loro pelle gli effetti del global warming. Ma qualche contraccolpo sta arrivando anche dentro i confini nazionali dei più ricchi, capaci solo di alzare barriere. È vero, siamo solo all’inizio.

Autore: QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari