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Al Wired Next Fest di Firenze le nuove sfide dell’intelligenza artificiale

Author: Wired

I consumi energetici troppo elevati, i bias cognitivi che vengono riproposti dagli algoritmi, e la tutela del copyright sono le tre sfide che l’intelligenza artificiale dovrà affrontare. Al Wired Next Fest di Firenze Sasha Luccioni, ricercatrice nell’AI etica e sostenibile presso la startup franco-americana HuggingFace, ha analizzato tutti questi punti nel suo intervento in collegamento al Salone dei Cinquecento. In qualità di membro Fondatore di Climate Change AI e del Consiglio di Women in Machine Learning, ha subito sottolineato come la diversità debba essere presente all’interno dei modelli dell’intelligenza artificiale: “La tecnologia non è neutra, i bias dell’intelligenza artificiale altro non sono che quello che noi vediamo nella società. Qualsiasi stereotipo si applichi viene peggiorato dal sistema, che tende ad amplificare la distorsione. Per questo è importantissimo portare avanti piccole scelte quando si addestra l’intelligenza artificiale, bisogna che si confronti con le minoranze, prendendo più dati possibili anche sulle donne ad esempio, per vederle poi rappresentate e non aver risultati distorti”.

Come riporta Luccioni infatti solo il 12% di chi lavora nell’AI è donna: “C’è un grosso sbilanciamento, e siccome questa tecnologia ha una ricaduta sulla nostra vita è importante che vengano rispettate le diversità. Ad esempio, nella selezione dei cv si è capito che le donne venivano rifiutate solo in quanto donne, perché l’algoritmo si basava sul fatto che il 90% delle persone impiegate nel settore è rappresentato da uomini. Per questo è cruciale fare mentoring, vogliamo aiutare le comunità e le donne a non abbandonare questa industria”. Sempre partendo da questo concetto, secondo l’esperta è fondamentale che questa tecnologia “non sia nelle mani di pochi soggetti, deve essere open, per intervenire su questi aspetti in modo condiviso”.

Per tutelare la proprietà intellettuale e il copyright, per Luccioni bisogna implementare meccanismi per capire quali siano le fonti che sono state utilizzate, analizzare i dataset usati da un’intelligenza artificiale. Si tratta di centinaia di Terabyte da ricercare, un lavoro impossibile da fare a mano, ma gli artisti possono, con degli strumenti, ricercare i loro lavori e capire se siano stati usati per allenare un modello di AI e denunciare l’azienda in questione. È stata fatta una class action per consentire agli artisti di avere il pieno possesso della propria opera, eliminandola dal dataset”. L’impatto ambientale non è poi un parametro trascurabile: “I modelli di IA non sono astratti, sono fatti di molte Cpu, di server e pc, ci serve un potere di calcolo che ha bisogno di molta energia, che senza delle scelte consapevoli crea degli effetti sul clima. Ad esempio, sono state emesse 500 tonnellate di CO2 per la creazione di Gpt-3”.

Nel panel “Focus AI – A come artificiale, I come italiana” tre startup nostrane hanno parlato della loro esperienza nello sviluppo di dati sintetici, ovvero informazioni che non mettono a rischio la privacy di nessuno, e di chatbot. Per Shalini Kurapati, ceo e co-founder di Clearbox AI: “I dati sintetici sono un nuovo paradigma sull’anonimizzazione. Oggi chi ha i dati vincerà e non sempre tutti li hanno a disposizione per allenare i propri modelli”. Dello stesso avviso anche Daniele Panfilo, ceo e cofounder di Aindo: “Nell’ambiente spesso si dice ‘No data no party’, perché senza è difficile allenare i modelli di un’intelligenza artificiale. Bisogna avere accesso ai dati, ma quando si disegna qualcosa vanno calati in un contesto anche normativo. Non dobbiamo per questo fermare l’innovazione, perché rimarremmo indietro, e in questo senso i dati finti, che si comportano come quelli veri, ci vengono incontro per un’innovazione etica”. Secondo Andrea Tangredi co-founder & chief product officer di indigo.ai, le future generazioni che vorranno cimentarsi in questo settore dovranno tenere a mente due fattori: “Come per tutte le tecnologie esiste l’ambito della ricerca e quello della loro applicazione sul campo, io consiglio di non escludere nessuno dei due mondi, provare un po’ entrambi e prendere poi una scelta consapevole in base anche alle proprie inclinazioni”.

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Watch CNBC and get stupid.

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Goldman Sachs non vuole più fare da “banca” ad Apple

Author: Wired

Dopo appena tre anni di attività e l’estensione della partnership fino al 2029, siglata solo lo scorso anno, Apple e Goldman Sachs stanno mettendo fine alla loro collaborazione nel settore delle carte di credito. Il divorzio segna una battuta d’arresto per l’espansione nel settore fintech della compagnia di Cupertino, ora alla ricerca di un nuovo partner.

Da quello che riporta il Financial Times, sarebbe stata la banca a chiedere la separazione, perché in perdita. Apple ha quindi presentato una proposta per rescindere il contratto attuale entro un anno, termine valido solo se la compagnia sarà in grado di trovare un’altra banca per mantenere i due servizi attualmente operativi con Goldman: la carta di credito, lanciata nel 2019, e il conto corrente, lanciato quest’anno.

A quanto si apprende, Goldman avrebbe già sondato il terreno con American Express, gigante mondiale delle carte di credito, ma la compagnia si sarebbe dimostrata titubante a impegnarsi, dati i tassi di perdita del programma. In alternativa, avrebbe mostrato interesse anche Synchrony Financial, maggiore fornitore di carte di credito per attività commerciali negli Stati Uniti.

L’azienda aveva mostrato interesse nel progetto fin dal suo lancio, presentando un’offerta alternativa a Goldman per strappare la partnership con Apple. A seguito della sconfitta non ha abbandonato le aziende tecnologiche, contando Amazon e PayPal tra i suoi partner più importanti, e ora sembra poter essere la candidata favorita a prendere il posto di Goldman.

Ancora però, Apple non ha confermato la notizia, dichiarando solo che continueranno “a innovare e offrire ai consumatori i migliori strumenti e servizi”, mentre Goldman ha rifiutato di rilasciare qualunque dichiarazione. Contestualmente, sempre a novembre 2023, la banca ha annunciato la fine di un’altra partnership nel settore delle carte di credito, quella con General Motors, il ché confermerebbe le voci sul non ottimo stato di salute dei conti di Goldman, si legge su Reuters.

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Perché nessuna professionista vuole entrare nel cda di OpenAI

Author: Wired

O’Mara vede il consiglio di amministrazione esclusivamente maschile di OpenAI come il segno di un cambiamento culturale. Proprio nel momento in cui alcune aziende tech della Silicon Valley si impegnano a correggere i loro pessimi risultati in termini di diversità e a considerare la loro impronta ambientale, altre si stanno ribellando alla cosidetta “ideologia woke” in varie forme, sposando invece le convinzioni più rigide in materia di cultura del lavoro.

Stando alle indiscrezioni, OpenAI ha in programma di allargare presto il suo consiglio di amministrazione, e le speculazioni su chi ne farà parte si moltiplicano. Il fatto che il board sia interamente composto da uomini bianchi non è certo passato inosservato e la società sta già valutando candidati che potrebbero placare alcuni critici. Secondo Bloomberg, la filantropa Laurene Powell Jobs, l’ex ad di Yahoo Marissa Mayer e l’ex Segretario di stato americano Condoleezza Rice sarebbero state tutte prese in considerazione (ma non selezionate) per il cda. Al momento della pubblicazione di questo articolo, OpenAI non ha risposto alle ripetute richieste di commento da parte di Wired US.

Per molti osservatori, è fondamentale scegliere una persona che sostenga la necessità di bilanciare l’ambizione con la sicurezza e la responsabilità: un profilo che potrebbe corrispondere a quello di Toner, per esempio. “Il tipo di persone che il consiglio di amministrazione dovrebbe riportare sono quelle che pensano a una tecnologia responsabile o affidabile e alla sicurezza – spiega Kay Firth-Butterfield, direttrice esecutiva del Centre for trustworthy technology –. Ci sono molte donne esperte in questo particolare campo“.

Nella ricerca di nuovi membri per il suo consiglio di amministrazione, OpenAI potrebbe incontrare resistenze da parte di potenziali candidati che guardano con diffidenza alle dinamiche di potere all’interno dell’azienda. “Ho la sensazione che la persona che entrerà a far parte del consiglio di amministrazione sarà in una situazione terribile, perché si troverà costantemente di fronte a una strada in salita – dice Gebru –. Verrà usata come pedina e non sarà in grado di fare davvero la differenza“.

La ricercatrice ex Google non è l’unica figura nel mondo dell’etica dell’AI ad avere il sospetto che i nuovi membri del board potrebbero venire emarginati: “Non toccherei quel consiglio nemmeno con un palo di tre metri“, dice Luccioni, che aggiunge che consiglierebbe mai a un’amica di accettare una posizione del genere.

Meredith Whittaker, presidente della fondazione che gestisce l’app di messaggistica Signal, riconosce che portare nel cda di OpenAI persone diverse dai soliti fondatori di startup sarebbe utile, ma dubita che basti aggiungere una donna o una persona di per operare un cambiamento significativo. A meno che il consiglio allargato non sia in grado di sfidare realmente Altman e i suoi sodali, riempirlo di persone che spuntano delle caselle demografiche per soddisfare gli appelli alla diversità potrebbe equivalere a poco più di un’operazione di facciata.

Non risolveremo il problema – ovvero che attualmente l’intelligenza artificiale è nelle mani di un capitale concentrato – semplicemente con più diversity nelle assunzioni“, commenta Whittaker. “Mi preoccupa un dibattito che si concentra sulla diversità e poi mette le persona in stanza con Larry Summers senza dar loro molto potere“, continua la presidente della Signal Foundation.

Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.

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Giulia Zacchia (@SapienzaRoma) focuses on the dynamics of power and gender in the labor market, revealing how sexual harassment not only impacts individual women but also perpetuates broader societal inequalities. From exploring the challenges in defining and quantifying sexual harassment to examining its multifaceted impact on wages and career trajectories, Zacchia offers a nuanced understanding of this pervasive issue.

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