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American Infrastructure, Not Ready For The Future? Part 2 of 2


In this final part of our infrastructure special, we once again take another look at the things that allow America to move. From trucking to bridges, we cover it all as we ask ourselves; is America’s infrastructure ready for the future? All this and more on Boom Bust! [1112] Follow us on Twitter:
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Economia

Bnp Paribas lancia serie di certificati Non-Stop Cash Collect

Bnp Paribas ha annunciato l’emissione di una nuova serie di certificati Non-Stop Cash Collect su singole azioni con durata biennale fissa, cioè che non contempla la possibilità di scadenza anticipata. La nuova emissione offre premi potenziali con cadenza trimestrale, pari a un rendimento compreso tra l’1,0% (4,0% annuo) e il 2,7% (10,8% annuo).

Si tratta dei primi Cash Collect Certificate di Bnp Paribas che non scadono anticipatamente e allo stesso tempo offrono possibili rendimenti trimestrali per l’intera durata di vita del certificate. In particolare, i nuovi Non-Stop Cash Collect pagano ogni tre mesi e fino a scadenza un premio – dall’1,0% al 2,7% – se il valore del sottostante è superiore o pari al livello barriera, fissato al 70% e all’80% del valore iniziale.

Una volta che il Certificate giunge a scadenza, fissata al 22 giugno 2020, sono possibili due diversi scenari: se il sottostante quota sopra al livello barriera, il Certificate rimborsa il capitale investito e paga un premio; invece, se il sottostante quota sotto il livello barriera, il Certificate paga un importo commisurato alla performance negativa del sottostante.

Ad esempio, il Non-Stop Cash Collect su Fiat Chrysler Automobiles con barriera all’80% pagherà un premio trimestrale del 2,5% (10,0% annuo) se ad ogni data di valutazione il titolo si troverà al di sopra del prezzo barriera (14,1152 €), e proseguirà la sua vita fino alla data di valutazione successiva. Una volta giunto a scadenza, qualora Fiat Chrysler Automobiles quotasse a un livello superiore o uguale al livello barriera, il Certificate rimborserà il valore nominale (100 € per Certificate) e pagherà un premio. Al contrario, se a scadenza il valore del sottostante Fiat Chrysler Automobiles fosse inferiore al livello barriera, l’investitore riceverà un importo commisurato alla performance negativa del sottostante stesso, con conseguente perdita sul capitale investito.

In particolare Bnp ha lanciato 18 Non-Stop Cash Collect Certificate su azioni di primarie società quotate, italiane e straniere: Azimut (ISIN: NL0012872311), Banco BPM (ISIN: NL0012872329 e NL0012872444), Banco Popolare Emilia Romagna (ISIN: NL0012872337), Enel (ISIN: NL0012872345), ENI (ISIN: NL0012872352), Fiat Chrysler Automobiles (ISIN: NL0012872360 e NL0012872451), Intesa Sanpaolo (ISIN: NL0012872386 e NL0012872469), Saipem (ISIN: NL0012872378 e NL0012872477), Telecom Italia (ISIN: NL0012872394), Terna (ISIN: NL0012872402), Unicredit (ISIN: NL0012872410 e NL0012872485), Air France KLM (ISIN: NL0012872428), ST Microelectronics (ISIN: NL0012872436).

Luca Comunian, head of distribution Marketing & Communication – Gobal Markets di Bnp Paribas Corporate & Institutional Banking, ha così commentato la nuova emissione:

 “I Non-Stop Cash Collect Certificate sono il risultato della nostra capacità di combinare input provenienti dal mercato e ricerca nello sviluppo di prodotti innovativi. Si tratta di strumenti particolarmente adatti a chi è alla ricerca di premi periodici e allo stesso tempo vuole proteggersi dal rischio di moderati ribassi a scadenza. Questa emissione, caratterizzata da potenziali premi se il valore del sottostante è pari o superiore al 70% o all’80% del valore iniziale, presenta l’importante vantaggio dell’esclusione della scadenza anticipata, garantendo otto date di osservazione in cui è possibile riscuotere il premio”.

Infine il trattamento fiscale dei certificate, considerati redditi diversi di natura finanziaria (con aliquota pari al 26%), a differenza di altre classi di investimento quali fondi ed ETF, permette di utilizzare le eventuali plusvalenze per compensare perdite pregresse.

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10 years ago… Dall’inferno Trichet al “paradiso” Draghi

Mamma mia come passa il tempo. E se ci pensate bene, in questi ultimi 10 anni ne sono successe veramente di tutti i colori.10 anni fa… Ma voi vi ricordate cosa è successo 10 anni fa? “Whatever it takes”?Ma assolutamente no, 10 anni fa è successo esattamente l’opposto.Un incommentabile (secondo me) Trichet annunciava un aumento dei tassi di interesse, dal 4% al 4,25%. Ecco le motivazioni.

On the basis of our regular economic and monetary analyses, we decided at today’s meeting to increase the key ECB interest rates by 25 basis points. This decision was taken to prevent broadly based second-round effects and to counteract the increasing upside risks to price stability over the medium term. HICP inflation rates have continued to rise significantly since the autumn of last year. (…) On the basis of our current assessment, the monetary policy stance following today’s decision will contribute to achieving our objective. We will continue to monitor very closely all developments over the period ahead. [ECB

E fu l’ultimo rialzo dei tassi, seguito poco dopo da un vero e proprio “capitombolo” dei rendimenti, complice anche la crisi subprime che da li a breve avrebbe imperversato sui mercati.Eccovi il grafico esplicativo.

10 anni fa, chi già allora mi seguiva, è testimone del fatto che fummo in assoluto tra i primi a parlarvi della crisi subprime e dei rischi abnormi che si vedevano soprattutto sul tessuto economico USA. E di li a poco, Lehman Brothers sarebbe saltata.E in quel periodo la BCE ebbe il coraggio di alzare prima i tassi per poi cambiare repentinamente direzione.Oggi i tassi sono di esattamente 425 punti base sotto ai livelli di allora (ovviamente) e il bilancio della BCE, causa QE Europeo, si ritrova oggi con in pancia titoli per 3 mila miliardi di Euro in di più di allora.Da allora, le banche centrali hanno fatto l’impossibile per tenere in piedi la baracca, per salvare il sistema, per fare tutto il possibile (eccolo in “whatever it takes”) per salvare capra e cavoli.Oggi ci troviamo in una situazione MOLTO diversa rispetto ad allora. Ma temo che, in caso di necessità, le banche centrali sarebbero un po’ più in difficoltà rispetto ad allora. Ed il paradiso potrebbe tramutarsi in un inferno dove le leggi naturali tornano a prendere il sopravvento, portando i mercati ad una violenta normalizzazione.Occhio, non vi sto dicendo che OGGI stiamo per vivere questo incubo. Dico solo che non sarà facile poter continuare serenamente il sogno….

STAY TUNED!

Danilo DT

(Clicca qui per ulteriori dettagli)
Questo post non è da considerare come un’offerta o una sollecitazione all’acquisto. Informati presso il tuo consulente di fiducia.NB: Attenzione! Leggi il disclaimer (a scanso di equivoci!)

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La Relazione annuale dell’Inps scontenta tutti

Ieri 4 luglio 2018 nella sala della Regina della Camera dei Deputati è stato presentato il XVII rapporto dell’Inps presente anche il ministro del lavoro Di Maio. Nella sua relazione annuale, il presidente dell’Inps a fianco della rendicontazione dell’attività dell’Istituto delle quotidiane difficoltà nell’erogazione dei servizi ai cittadini, non ha rinunciato alle solite invasioni di campo assumendo ruoli diversi dall’amministratore dell’ente. L’Inps è un maxistituto che per le masse monetarie che gestisce e per le prestazioni che ne  fanno capo , è in assoluto il più rilevante istituto della sicurezza sociale europeo, specie dopo la incorporazione dell’Ipost, l’Enpals ed l’Inpdap.

Da 120 anni a questa parte l’Inps è quotidianamente al centro di un crocevia. A tutte le età, direttamente o indirettamente, si guarda all’Istituto per avere le prestazioni che eroga.L’assicurazione sociale quando da volontaria è diventata obbligatoria ha fatto perdere di vista a molti lavoratori la natura assicurativa dei contributi, facendoli apparire come tasse anziché come risparmio obbligatorio.Quest’anno il rapporto annuale analizza, nella prima Parte, gli andamenti del mercato del lavoro, mettendo in evidenza gli effetti dei recenti interventi normativi, a partire dal JobsAct e offre poi, nella seconda Parte, una fotografia dei nuovi lavori che si collocano a cavallo fra lavoro autonomo e alle dipendenze, nella cosiddetta gig economy, l’economia dei lavoretti. Nella terza Parte viene analizzata l’efficacia degli ammortizzatori sociali presenti nel nostro Paese, alla luce delle norme, varate nella scorsa legislatura, per estenderne il grado di copertura. La quarta Parte, infine, presenta un’analisi approfondita delle proprietà distributive intra e intergenerazionali della spesa pensionistica negli ultimi venti anni. Ci si sofferma in particolare sull’Ape sociale e sulle misure per i lavoratoriprecoci. L’ultima Parte, infine, come di consueto offre un rendiconto del lavorosvolto dall’istituto negli ultimi 12 mesi, soffermandosi in particolare sull’attuazionedi misure complesse ma di forte impatto sociale come il ReI ( Reddito di inclusione). Vengono anche documentati i progressi compiuti nel dare attuazione al Polo Unico della Medicina Fiscale, nell’avviare il processo di dismissione degli immobili non strumentali enell’ottenere ulteriori economie nei processi di approvvigionamento, a partire dalsettore informatico. L’Istituto si prepara ora ad accogliere nuove leve qualificate, perchè c’è un forte bisogno di nuovi e motivati professionisti della protezione sociale.Il numero complessivo degli assicurati all’Inps  è risultato nel 2017 pari a 25,138 milioni di lavoratori.Per quanto riguarda le classi di età, si sono assottigliate tutte quelle fino ai 49 anni mentre in crescita risultano tutte quelle con oltre 50 anni. Sia per le classi in calo sia per quelle in crescita le variazioni più intense interessano la componente femminile..Nel complesso l’occupazione dipendente (non considerando il settore agricolo) risulta così in rialzo del 3,5% (da 17.774.866 a 18.391.228).Gli italiani sottostimano la quota di popolazione sopra i 65 anni e sovrastimano quella di immigrati e di persone con meno di 14 anni. La deviazione fra percezione e realtà è molto più accentuata che altrove. Non sono solo pregiudizi. Si tratta di vera e propria disinformazione. Il nostro Paese ha bisogno di aumentare l’immigrazione regolare. Sono tanti i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere. Nel lavoro manuale non qualificato ci sono il 36% dei lavoratori stranieri in Italia e l’8% degli italiani.Secondo Boeri “Quota 100” costa fino a 20 miliardi all’anno, quota 100 con 64 anni minimi di età costa fino a 18 che si riducono a 16 alzando il requisito anagrafico a 65 anni, quota 100 con 64 anni minimi di età e il mantenimento della legislazione vigente per quanto riguarda i requisiti di anzianità contributiva indipendenti dall’età costa fino a 8 miliardi ‘Ripristinando le pensioni di anzianità con quota 100 (o 41 anni di contributi) si avrebbero subito circa 750.000 pensionati in più’. Secondo Ghiselli della Cgil, sulla tenuta del sistema previdenziale e sull’impatto economico di eventuali riforme, il presidente dell’Inps, , “cita dati e stime che solo lui conosce, alcuni palesemente inattendibili, come quelle relative quota 100. Come si fanno a prevedere maggiori costi per 18-20 miliardi all’anno quando le stime di minori spese dell’insieme delle misure previste con la legge Fornero erano di 80 dal 2012 al 2021? Perché Boeri non chiarisce mai come arriva a determinare le sue stime e non consente a tutti di accedere alle banche dati dell’Inps?”La storia recente dei giovani nel nostro Paese è una storia di inesorabili revisioni al ribasso delle loro aspettative. Fra queste delusioni anche quella di ritrovarsi sempre, quale che sia l’esito del voto, con governi che propongono interventi a favore dei pensionati, dice Boeri.Sul tema dei giovani, poi non si possono evidenziare i rischi sociali per un’intera generazione e contrapporsi a qualunque modifica alle attuali regole del mercato del lavoro e del sistema previdenziale che, se rimangono tali, condannano le nuove generazioni ad un presente di precarietà sul lavoro e ad un futuro di anziani poveri”.

Il nostro sistema pensionistico è in grado di reggere alla sfida della longevità, almeno sin quando si manterrà l’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita e la revisione dei coefficienti di trasformazione. Ma non ha al suo interno meccanismi correttivi che gli permettano di compensare un calo delle coorti in ingresso nel nostro mercato del lavoro.In sintesi, Boeri dipinge un futuro a rischio per il sistema pensionistico italiano: troppi pochi giovani a lavoro e troppi anziani in pensione.I contributi dei primi non saranno in grado di pagare le pensione dei secondi. Ma l’equilibrio, ribadisce il presidente sulla scia dei dati rilevati, potrebbe essere raggiunto proprio attraverso il contributo del lavoro degli immigrati.

A chi gli faceva notare che vive su un altro mondo, Boeri ha risposto lapidario che i dati sono dati, piacciono o no.

c.l.

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Le pensioni pubbliche in Italia: una storia infinita e la complementare langue

Mentre non si è ancora spento l’eco delle polemiche a seguito della relazione dell’Inps sullo stato dell’arte delle pensioni italiane, ognuno affila le sue armi per le prossime battaglie, in parlamento, nel sindacato e nelle piazze quando sarà varata la finanziaria del 2019 che dovrebbe contenere finalmente nero su bianco quello che effettivamente si vuole fare sulle pensioni presenti e su quelle future. Nel frattempo ci potrebbe essere il varo del provvedimento taglia vitalizi per gli ex parlamentari come antipasto.La riforma Fornero prevedeva un risparmio di 80 miliardi in 10 anni ma da qui al 2022 i risparmi saranno inferiori alle previsioni, anche se essa ha avuto il merito di stabilizzare la spesa pensionistica a lungo termine, che attualmente è di circa il 16% del PIL. Questo è il più alto rapporto in Europa, esclusa la Grecia anche se l’Italia è tra i pochi paesi dell’UE che sembra destinata a vedere una riduzione della spesa a lungo termine. Alcuni sostengono, tuttavia, che queste proiezioni assumono percentuali di occupazione, produttività e crescita piuttosto ottimistiche.

Andamento della spesa pensionistica e dei tassi di sostituzione

La riforma di Fornero è una ferita aperta, ha lasciato un segno indelebile e duraturo sulla società italiana. Molti sentono di essere stati ingiustamente obbligati a sacrificare anni di lavoro per salvaguardare gli interessi di coloro che detenevano il debito sovrano italiano. La stessa Fornero è oggetto di aspre critiche e attacchi verbali. Secondo un sondaggio di Ipsos pubblicato lo scorso mese sul Corriere della Sera, quasi un terzo degli italiani afferma che cambiare il sistema pensionistico è una delle priorità irrinunciabili per il nuovo governo, anche se un paese che spende già il 16% del PIL per le pensioni dovrebbe essere estremamente attento a incrementare le spese.Va anche notato, che il sistema è in deficit – per circa € 22 miliardi, secondo quando afferma Itinerari Previdenziali, un think thank del superamento della Fornero fra l’altro. Ciò significa che già oggi le pensioni sono parzialmente finanziate dall’irpef di tutti quelli che pagano le tasse. Poiché si prevede che il deficit aumenterà, anche senza la proposta di riforma, l’onere per il sistema fiscale è destinato a salire ulteriormente. Le prospettive si deteriorerebbero ulteriormente se si dovesse aumentare la spesa pensionistica.Allo stesso tempo, la pressione sui salari in termini di contributi obbligatori al sistema pensionistico pubblico è già enorme, i contributi sono circa il 33%, con i lavoratori che contribuiscono per il 10% circa. Aumentare ulteriormente i contributi ridurrebbe ulteriormente la competitività italiana, finché la situazione non diventerebbe insostenibile, oltre a scatenare reazioni non ipotizzabili da parte di chi semplicemente vuole pagare meno contributi ed avere più pensioni (andare in pensione prima questo significa).A parte i cambiamenti nelle prospettive demografiche e nei mercati del lavoro, il sistema pensionistico è stato visto da molti come troppo generoso, almeno fino al 2011. Fino a non molto tempo fa, era consuetudine per le aziende negoziare la pensione con lavoratori relativamente giovani al posto dei licenziamenti con la politica dei prepensionamenti.Una via d’uscita da questa situazione è chiara ma di complicata attuazione creare posti di lavoro e incentivare il lavoro, perché le pensioni sono pagate principalmente dai lavoratori. Tra gli obiettivi dovrebbe esserci un aumento dell’occupazione femminile e delle persone sopra i 55 anni, senza dimenticare i giovani naturalmente. Il governo, su questo, forse pensa che consentire ai lavoratori più anziani di andare in pensione contribuirà alla creazione di posti di lavoro, o se non altro sblocca il turn over.Una coperta corta cui non sembra concorrere adeguatamente la complementare ad allungarla..Senza ulteriori misure per aumentare le adesioni, le  pensioni del secondo pilastro italiane continueranno a rappresentare solo una quota relativamente piccola dell’economia complessivaLa presentazione dell rapporto annuale del regolatore di fondi pensione italiano, COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), è sempre un momento di riflessione, e mai di celebrazione.Ogni anno, il presidente della COVIP usa il suo discorso di accompagnamento per sottolineare la necessità di una migliore copertura per il sistema pensionistico del secondo pilastro. Quest’anno Mario Padula, alla guida dell’Autorità dal 2016, ha chiesto più “inclusione” nel sistema del secondo pilastro.Tuttavia, il tono quest’anno è stato probabilmente molto più morbido rispetto agli anni precedenti. C’è la sensazione che, nonostante alcune debolezze la complementare abbia raggiunto la maggiore età ( Per Padula naturalmente)..Perché ci sono ancora molti punti deboli. Il secondo pilastro copre meno di un terzo della popolazione attiva. Le attività sono pari al 9,5% del PIL, un rapporto che fa sembrare l’Italia un nano rispetto a paesi di dimensioni simili. Nel Regno Unito, per esempio, la cifra è appena inferiore al 100%.Vi sono inoltre differenze marcate a livello regionale. Nelle regioni più ricche, la copertura è significativamente più alta, raggiungendo il 50% nelle aree coperte dai fondi pensione territoriali regionali. In queste aree, i membri contribuiscono in media più del doppio all’anno dei membri delle regioni meridionali.Secondo Carlo Svaluto Moreolo di Ipe pensions molti lavoratori  hanno rinunciato ai fondi pensionistici per mantenere il Tfr. Ma se in passato questa era un’argomentazione valida, ora non più. Rimane una diffidenza di fondo acuita in questa fase dal fatto che i lavoratori vogliono vedere come va a finire la nuova riforma pensionistica, nella quale una parte rilevante dovrebbe avere la cosiddetta pensione di garanzia che renderebbe nei fatti inutile la pensione complementare.

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