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La crisi climatica sta prosciugando il Rio delle Amazzoni

Author: Wired

La crisi globale del clima sta colpendo anche il Rio delle Amazzoni, sceso al livello più basso mai raggiunto in 121 anni. La causa è la siccità estrema che sta prosciugando tutti i suoi affluenti e aumentato la temperatura delle acque, causando la morte di decine di delfini fluviali in via di estinzione. A patire questa situazione sono anche gli abitanti dell’Amazzonia, che non possono più navigare i fiumi e quindi si trovano a corto di rifornimenti di medicine, cibo e acqua potabile.

Nel porto di Manaus, la più grande e popolosa città dell’Amazzonia, il Rio delle Amazzoni è sceso a soli 13,59 metri, rispetto ai 17,60 di un anno fa. Si tratta del livello più basso mai raggiunto dal 1902, quando sono iniziate le rilevazioni, più basso anche del precedente record registrato nel 2010, si legge sul sito della prefettura di Manaus.

Secondo la Protezione civile brasiliana, la siccità che sta colpendo l’area dura ormai da 3 mesi, senza nemmeno una goccia di pioggia, colpendo 481mila persone. Oltre ad aver lasciato le imbarcazione a secca e inutilizzabili, bloccando commercio e il trasporto degli aiuti umanitari nei villaggi più remoti, la siccità estrema ha anche peggiorato gravemente la qualità dell’acqua potabile e dell’aria nella zona, aggravando i problemi respiratori e malattie.

In questi giorni di ottobre, cieli azzurri di Manaus sono coperti da una torbida e marrone foschia, che ricorda le immagini delle grandi metropoli della Cina nei momenti di maggiore inquinamento. I delfini che nuotavano sulle sue spiagge sono scomparsi, il porto e i vari attracchi per le imbarcazioni sono desolati e sostituiti da pianure di fango coperte di rifiuti. La città sembra uscita ormai da uno scenario post apocalittico causato da una catastrofe climatica.

Traghetti in secca e foschia dovuta agli incendi a Manaus in Brasile

Traghetti in secca e foschia dovuta agli incendi a Manaus, in Brasile (Foto: Michael Dantas/Getty Images)

MICHAEL DANTAS/Getty Images

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I nuovi 6 Paesi nei Brics

Author: Wired

Dal primo gennaio 2024 Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati arabi uniti e Arabia saudita entreranno a far parte dei Brics, il gruppo di economie emergenti formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Lo ha annunciato su X, l’ex Twitter, Cyril Ramaphosa, presidente sudafricano e attuale presidente dei Brics, a conclusione del quindicesimo vertice dell’organizzazione, tenutosi nella capitale del suo paese, Johannesburg.

L’espansione del gruppo è stato il punto focale del vertice e principale richiesta sostenuta dalla Cina. Obiettivo dell’allargamento, oltre a incrementare le relazioni economiche con alcuni dei maggiori produttori di materie prime mondiali, è il tentativo cinese e russo di creare un’unione commerciale in grado di sostituire il dollaro con un’altra valuta per gli scambi internazionali, preferibilmente il renminbi cinese, la cui unità base è lo yuan, la valuta della Republica popolare cinese.

Il presidente della Cina Xi Jinping arriva al vertice dei Brics a Johannesburg, in SudafricaCosa sono i Brics e cosa vogliono ottenere

La sigla rappresenta le economie emergenti mondiali negli anni 2000: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Oggi Pechino vorrebbe aumentare i posti del club per frenare gli Stati Uniti

E infatti, come riporta la Cnbc, il presidente brasiliano, Inacio Lula da Silva, ha fatto sapere che il gruppo sta continuando a studiare la possibilità di creare una valuta nuova uguale in tutto il gruppo, per “aumentare le nostre opzioni per i pagamenti internazionali, così da ridurre le nostre vulnerabilità”. In questo modo, il peso del dollaro, e quindi degli Stati Uniti, nell’economia mondiale crollerebbe come mai prima.

Piano di ampliamento

Mentre il presidente cinese, Xi Jinping, ha accolto l’allargamento definendolo un “nuovo punto di partenza” che “porterà vigore al meccanismo di cooperazione dei Brics, rafforzando ulteriormente una forza per la pace e lo sviluppo mondiale”. Forza che, tralasciando la pace, a oggi pesa 3,5 miliardi di persone, quasi metà dell’intera popolazione mondiale, e con i nuovi acquisti arriverà ai 4 miliardi raggiungendo così l’equivalente del 37% del pil mondiale.

I paesi che avevano chiesto di aderire ai Brics prima del vertice erano 23, di cui la gran parte provenienti dal continente Africano, come Nigeria e Ghana. Ma alla fine il club iniziale ha deciso di accogliere solo i paesi più ricchi e, a parte l’Argentina, più autoritari, in linea con i governi di Cina e Russia, che ora hanno messo le democrazie all’interno dei Brics in minoranza.

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Il piano per salvare l’Amazzonia

Author: Wired

La prima fase del suo Piano d’azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione in Amazzonia era cominciata 20 anni fa, durante il primo mandato da presidente del Brasile: adesso che è tornato al Palácio do Planalto, Luiz InácioLula da Silva è chiamato a dar conto alle centinaia di associazioni ambientaliste del paese che hanno esultato quando il 31 ottobre 2022 la sua vittoria elettorale al ballottaggio contro Jair Bolsonaro era stata dichiarata ufficialmente.

Lo ha fatto con un nuovo pacchetto di misure varate nei primi giorni di giugno, una strategia studiata per raggiungere l’ambizioso obiettivo di fermare la deforestazione illegale entro il 2030. È la quinta riforma a tutela dell’Amazzonia sotto il suo governo, estensione di un progetto ambientalista che tra il 2004 e il 2012 ha permesso la riduzione della deforestazione dell’83%.

Tra i provvedimenti sottoscritti da Lula c’è l’impegno a raggiungere la “deforestazione a netto zero, vale a dire il reimpianto di tutti gli alberi abbattuti, ripristinando gli stock di vegetazione autoctona come compensazione a medio termine per la rimozione legale della vegetazione.

Le misure in difesa di flora e fauna

Il governo ha esteso di 1.800 ettari un’unità di conservazione della foresta, spazi soggetti a tutela diretta, disponendone la creazione di nuove e assegnando 57 milioni di ettari di terreno pubblico attualmente senza protezione speciale, un’area approssimativamente equivalente alla dimensione della Francia. L’allevamento del bestiame, tra le principali cause della deforestazione, è stato disincentivato a vantaggio della produzione di bacche di açai, tra i frutti più nutrienti di tutta l’Amazzonia.

Oltre alla protezione della preziosa flora locale, le misure tutelano anche direttamente la fauna, ad esempio ponendo limitazioni alla pesca del pirarucú, il pesce più grande dell’area, da poco tornato a popolare i laghi del Medio Jurua. In un piano allargato di tutela del verde nazionale, Lula ha anche posto il veto alla legislazione approvata dal Congresso che avrebbe consentito il taglio delle restanti aree della Foresta Atlantica, nel sud-est del paese. Secondo Suely Araújo, consulente politico dell’Osservatorio climatico del Brasile, il piano d’azione è fondamentale per la ricostruzione della governance ambientale, dopo un quadriennio che da questo punto di vista si è rivelato il più distruttivo della storia dell’Amazzonia.

L’eredità di Bolsonaro

Un nuovo rapporto di MapBiomas, rete collaborativa brasiliana formata da ong, università e startup tecnologiche, evidenzia come soltanto nel 2022 Bolsonaro abbia portato a termine una carneficina ambientale, deforestando un’area di 18mila chilometri quadrati, quasi un quarto in più rispetto al 2021, già segnato da un record in questo senso. Con l’estrema destra al potere, nella foresta Amazzonica sono stati abbattuti 21 alberi al secondo: un totale di oltre 300mila interventi di deforestazione, con il dato peggiore registrato il 25 luglio scorso, quando in 24 ore fu raso al suolo l’equivalente di 8.400 campi da calcio.

Ma questo sembra essere il passato. Le nuove politiche di Lula vanno anche nella direzione di un ripristino dei rapporti tra la capitale Brasilia e le comunità indigene che abitano l’Amazzonia, costrette a ritirarsi sempre più nella foresta per colpa del land grabbing massivo degli ultimi anni.

Il nuovo corso di Lula

Il nuovo governo ha riconosciuto sei nuovi territori indigeni per un’estensione complessiva di poco meno di 1.200 chilometri quadrati, aree in cui le estrazioni minerarie sono vietate e l’agricoltura su scala commerciale, così come il disboscamento, sono consentite soltanto attraverso autorizzazioni specifiche. Il chiaro messaggio sull’inversione di marcia arriva anche dalla scelta della città che ospiterà la trentesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop30, che si terrà a Belem, in piena foresta Amazzonica. “Ho già partecipato alle Cop in Francia e in Egitto – ha dichiarato Lula – e tutti parlavano incessantemente dell’Amazzonia. Per questo mi sono detto che ospitare la conferenza lì possa rappresentare un modo per far conoscere davvero la foresta a tutti”.