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È morto Ian Wilmut, il “papà” della pecora Dolly

Author: Wired

È morto Ian Wilmut, il biologo a capo del gruppo di ricerca che lavorò alla clonazione della pecora Dolly. Wilmut, morto il 10 settembre all’età di 79 anni, soffriva di Parkinson almeno dal 2018, quando annunciò pubblicamente la sua malattia.

Tra il 1996 e il 1997 venne messo alla guida del gruppo di scienziati del Roslin Institute dell’Università di Edimburgo che furono in grado di realizzare la prima clonazione di un mammifero. Ci riuscirono prelevando una cellula dalla ghiandola mammaria di una pecora Finn Dorset di sei anni e un ovulo da una pecora scozzese Blackface, spiega SkyNews.

Ad annunciare la scomparsa del professore è stato il vicerettore dell’Università di Edimburgo, Peter Mathieson, che ha definito Wilmut “un gigante del pensiero scientifico”.

L’esperimento riuscito portato avanti da Wilmut e dal suo gruppo rappresentò una svolta nell’ambito della ricerca medica. Il successo della ricerca sulla clonazione, infatti, permise al professor Wilmut di studiare la clonazione come metodo utile alla riproduzione delle cellule staminali utilizzabili nella medicina rigenerativa. In particolare, come riportava nel 2006 il portale Molecular Lab, Wilmut si è spinto a proporre i frutti della sua lunga ricerca come terapia ai pazienti terminali, che avrebbero potuto essere curati proprio attraverso le cellule staminali.
In più occasioni il suo operato aprì profondi dibattiti nella società civile.

La pagina a lui dedicata dell’università di Edinburgo, in cui ha insegnato dal 2005, “diventando l’anno successivo il primo direttore del Centro Mrc per la medicina rigenerativa”, spiega come Wilmut, da giovane, si fosse inizialmente iscritto alla facoltà di Agricoltura dell’Università di Nottingham, per poi passare a Scienze animali in un secondo momento.
Chissà come sarebbero andate le cose se non fosse tornato sui suoi passi.

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Questo farmaco potrebbe essere la svolta contro l’Hiv

Author: Wired

Una sesta persona, che è stata ribattezzata il “paziente di Ginevra“, potrebbe essere guarita dall’Hiv dopo aver ricevuto un trapianto di cellule staminali destinato al trattamento di un’altra malattia, il cancro. L’uomo, a cui l’Hiv era stato diagnosticato nel 1990, continua a non avere virus rilevabili nel sangue a 20 mesi dalla sospensione dei farmaci per il controllo dell’infezione.

Finora, sono cinque le persone considerate guarite dall’Hiv dopo un trapianto di cellule staminali per il trattamento di un tumore. In tutti e cinque i casi, i donatori delle cellule staminali presentano una rara mutazione in un gene chiamato Ccr5. Questa alterazione genetica, presente in un numero limitato di individui di origine nordeuropea, si è dimostrata efficace nell’ostacolare la capacità dell’Hiv di entrare nelle cellule.

Ma il caso del paziente di Ginevra, annunciato questa settimana prima della Conferenza della società internazionale sull’Aids in Australia, differisce dagli altri per un aspetto fondamentale. Il donatore infatti non presentava la mutazione e aveva cellule staminali normali. “Tutti i marcatori dell’infezione da Hiv sono diminuiti molto rapidamente fino a diventare non rilevabili con le analisi classiche nel giro di pochi mesi – ha dichiarato Asier Sáez-Cirión, ricercatore sull’Hiv presso l’Institut Pasteur di Parigi, che ha presentato i risultati in un incontro con la stampa prima della conferenza –.** Riteniamo che questa persona sia in remissione dall’infezione**”.

Non sappiamo se questo paziente sia guarito – afferma Jeffrey Laurence, esperto di Hiv della Weill Cornell Medicine che non è stato coinvolto nella ricerca –, ma se è vero, questo dovrebbe aprire una nuova linea di ricerca“.

Nel 2018 il paziente di Ginevra è stato sottoposto a chemioterapia per un tumore, e poi a un trapianto di cellule staminali, che viene utilizzato per sostituire le cellule che formano il sangue e che sono state distrutte dal cancro o dalla chemioterapia. Quando vengono infuse nel ricevente, le cellule staminali del donatore entrano nel flusso sanguigno e raggiungono il midollo osseo, dove formano nuove cellule sanguigne sane.

Nei cinque pazienti precedenti, si ritiene che le cellule del donatore con la mutazione del gene Ccr5 abbiano causato la remissione dell’Hiv impedendo al virus di creare copie di se stesso. Tuttavia, poche persone sono portatrici della mutazione e le cellule staminali dei donatori devono essere abbinate a pazienti con un tipo di tessuto simile. Questo aspetto limita le possibilità di trovare un donatore, soprattutto per i pazienti non bianchi. Per il paziente di Ginevra, infatti, non era disponibile alcun donatore con il gene Ccr5 mutato.