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Salviamo le api, ma non dimentichiamoci delle falene

Author: Wired

Ormai lo sappiamo: le api sono fantastiche. Poiché nei prossimi decenni sempre più persone si riverseranno nelle città, per impollinare gli spazi verdi urbani, avremo bisogno di un numero maggiore di questi insetti, che garantiscono prodotti freschi e la biomassa necessaria a raffreddare le metropoli. Tuttavia, mentre disseminiamo il maggior numero possibile di specie da fiore per attirare le api, le città rischiano di penalizzare una campionessa dell’impollinazione poco apprezzata: la falena. Se negli ultimi tempi queste creature non sono di tendenza non è colpa vostra. Le falene sono per loro natura più difficili da studiare rispetto alle api in quanto sono creature notturne. “Il motivo per cui vengono trascurate è che le prime si vedono di giorno, mentre le seconde si aggirano di notte – spiega Emilie Ellis, studiosa dell’impollinazione presso l’Università di Sheffield –. Credo di poter contare non più di sei pubblicazioni che hanno preso in esame le falene rispetto alle api o qualsiasi altra cosa”.

Specie trascurata

Il problema è che le falene “hanno una pessima fama perché mangiano vestiti e tappeti“, aggiunge Ellis, “ma in realtà hanno caratteristiche molto diverse tra loro”. Per contribuire a colmare le lacune intellettuali nei confronti delle falene, recentemente la studiosa ha pubblicato con alcuni colleghi uno studio sulla rivista Ecology Letters, che dimostra come questi insetti in realtà si diano molto da fare. Il team ha raccolto api e falene a Leeds, in Inghilterra, e poi ha elaborato il dna del polline che si era accumulato sugli insetti. Questo ha permesso di determinare le specie vegetali che ciascuna specie aveva visitato e potenzialmente impollinato.

Il team ha scoperto che le falene trasportavano più polline di quanto gli scienziati avessero intuito in precedenza e rappresentavano un terzo delle visite sulle piante da parte degli impollinatori, molto più di quanto si credesse in passato. “Abbiamo rilevato un’enorme diversità nel polline identificato sulle falene e sulle api“, sostiene la Ellis. Tra questi, pollini di fiori selvatici, colture da giardino, alberi e arbusti. In particolare, i ricercatori hanno scoperto che le falene trasportavano il polline di diverse specie coltivate, come fragole, agrumi e drupacee: questo suggerisce che gli insetti svolgono un ruolo nell’impollinazione del cibo che mangiamo. Studi passati dimostrano che le falene possono impollinare anche mirtilli, lamponi e mele.

Osserviamo sempre più prove, soprattutto negli ultimi cinque anni, che dimostrano come le falene a livello globale siano impollinatori molto importanti per intere comunità vegetali – afferma Christopher Cosma, studioso dell’impollinazione e dei cambiamenti climatici presso l’Università della California di Riverside, che non ha partecipato al nuovo lavoro –. Non sono solo importanti per le comunità di piante selvatiche autoctone, ma contribuiscono direttamente al nostro approvvigionamento alimentare“. La nuova ricerca ha scoperto che, sebbene falene e api visitino in parte le stesse piante – ad esempio le margherite – le loro preferenze differiscono. Le api, ovviamente, sono grandi fan dei fiori selvatici, mentre le falene preferiscono le specie legnose, come alberi e arbusti. Complessivamente, i ricercatori hanno scoperto che il polline dell’8 per cento delle specie vegetali identificate era presente esclusivamente sulle falene.

Questione di stile di vita

Le discordanti preferenze tra falene e api sono dovute in parte ai loro diversi cicli di vita. Un’ape adulta visita i fiori per berne il nettare, ma anche per ottenere il polline da somministrare alle larve. Una falena adulta, invece, cerca il nettare solo per sé. Non ha bisogno del polline per nutrire la sua prole, perché i piccoli si nutrono di foglie. Questi insetti hanno anche situazioni abitative diverse. La maggior parte delle specie di api è solitaria e non forma colonie come le api da miele. Tendono invece a vivere in tane o cavità all’interno del legno morto o nelle pareti degli edifici, emergendo durante il giorno per far visita ai fiori. Le falene, invece, non costruiscono tane o nidi e si appollaiano su alberi e arbusti durante il giorno. Depongono le uova su una pianta specifica e si nutrono di nettare durante la notte.

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Api e farfalle: stanno scomparendo anche nelle zone più remote

Author: Wired

La progressiva scomparsa degli insetti, in particolare degli impollinatori come api e farfalle, è un grave problema e se non riusciamo a invertire questa rotta, ossia evitare la loro estinzione, le conseguenze potrebbero essere davvero catastrofiche. Sappiamo, infatti, che la distruzione del loro habitat, l’uso di pesticidi e molte altre azioni antropiche sono responsabili dell’enorme diminuzione degli insetti negli ultimi decenni. Ma non solo: secondo una nuova ricerca del servizio forestale del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti e appena pubblicata sulla rivista Current Biology, anche nelle foreste, quelle più remote e quindi meno intaccate dall’essere umano, alcune popolazioni di api e farfalle sarebbero in forte declino.

I numeri

Come vi abbiamo già raccontato, secondo recenti dati del Wwf ben il 40% delle specie di insetti impollinatori al mondo è a rischio estinzione. Un dato davvero preoccupante se si considera che circa il 90% di tutte le piante selvatiche con fiore e circa l’80% delle piante produttrici di cibo e di prodotti per il consumo umano dipendono da questi insetti. In altre parole, dagli insetti impollinatori dipende il 35% della produzione agricola. “Un’estinzione silenziosa che mette a rischio la biodiversità globale, ma anche la nostra capacità di produrre cibo in maniera naturale”, ha affermato il Wwf. Stando ai dati di un’altra ricerca, inoltre, il tasso di estinzione di questi animali è 8 volte superiore a quello di mammiferi, uccelli e rettili.

Il nuovo studio si è focalizzato su tre aree boschive nella foresta nazionale di Oconee, nel nord della Georgia (Stati Uniti), tutti luoghi relativamente indisturbati dagli esseri umani e considerati per questo un rifugio per la biodiversità. Dalle osservazioni e dalle successive analisi è emerso che negli ultimi 15 anni, ossia dal 2007 al 2022, il numero di specie di api è diminuito del 39%, mentre le popolazioni di api sono calate del 62,5% e quelle delle farfalle del 57,6%

Le cause 

Il motivo di questa forte diminuzione, sottolineano i ricercatori, sono ovviamente i cambiamenti climatici che alzerebbero le temperature medie, influenzando la sopravvivenza di questi impollinatori. Tuttavia, la colpa potrebbe essere anche di alcuni insetti invasivi, soprattutto per quanto riguarda il declino delle api carpentiere e tagliafoglie, che nidificano negli steli cavi, sotto la corteccia o all’interno del legno in decomposizione. Queste specie, come sottolinea la ricerca, sono state le più colpite, forse perché altri insetti invasivi possono essere entrati in competizione per i siti di nidificazione, vincendo. “I nostri risultati suggeriscono che il forte calo degli impollinatori potrebbe non essere limitato alle aree che subiscono disturbi antropogenici diretti”, si legge nello studio. “Le possibili cause includono l’aumento delle temperature minime medie annuali vicino ai siti di studio, nonché una formica invasiva che nidifica nel legno e che è diventata sempre più diffusa e abbondante nella regione nel corso di questo studio”.

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Farina di grillo, arriva a Milano un’azienda che produce crakcer

Author: Wired

Sbarca in Italia la società pioniera degli alimenti a base di insetti: Small Giants ha trasferito la sua sede societaria a Milano. Il via libera dell’Unione europea alla farina di grillo e del buffalo worm hanno aperto grandi opportunità di mercato e hanno spinto la società a spostare la sede in Italia: prima dell’approvazione, infatti, non era possibile per la società commercializzare cibi a base di insetti

Le recenti approvazioni a livello europeo, la sempre più urgente necessità di fornire prodotti alimentari che siano sicuri, nutrienti, gustosi ma anche sostenibili, e la convinzione con cui la comunità scientifica sostiene questa fonte alternativa di proteine, ci fanno guardare al prossimo futuro con grande ottimismo – afferma Edoardo Imparato, amministratore delegato e cofondatore di Small Giants -. Lo spostamento della sede in Italia, dove è cominciata la nostra esperienza nel mondo degli alimenti a base di insetti, è solo l’inizio, abbiamo infatti intenzione di trasferire presto anche la produzione e la logistica in Italia, dove il mercato si sta dimostrando molto ricettivo”. 

Gli oltre 600mila euro di investimento raccolti tra il 2020 e il 2021 hanno permesso alla
Small Giants di sviluppare i suoi primi prodotti, oggi acquistabili in ecommerce e presenti in store fisici in 10 paesi. Inoltre, in Polonia è stata selezionata da Żabka – la più grande catena di supermercati del paese – come marchio che entrerà nei suoi negozi. In Italia ha iniziato a lavorare, tra gli altri, con Vitamin Center e, a breve, verranno annunciate delle partnership con altri supermercati.

La prima linea di prodotti messi in vendita da Small Giants è quella dei Cracker Bites, con farina di grillo, ma presto ne arriveranno altri. Con la crescente consapevolezza delle conseguenze ambientali causate dal consumo di carne, gli alimenti a base di insetti possono costituire una fonte di proteine alternative e sostenibili. Alcune specie di insetti, tra cui i grilli, richiedono, infatti, pochissime risorse per l’allevamento ma sono anche nutrienti.

Anni fa il paese europeo più all’avanguardia sulla ricerca e lo sviluppo dei prodotti alimentari a base di insetti era il Regno Unito – ricorda Francesco Majino, e cofondatore dell’azienda -. Le cose sono cambiate, l’Unione europea ha deciso col tempo di aprirsi a questa grande opportunità e noi siamo entusiasti di poter finalmente portare la società, la filiera, l’expertise e il team in Italia. Non ce ne saremmo mai voluti andare, però le normative non ci permettevano di dare una forma concreta alle nostre idee. Mentre adesso, sì”.

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Insetti nel cibo: ci sono già, anche se non lo sapete

Author: Wired

Vi scandalizza l’idea degli insetti nel cibo? L’idea di sgranocchiare le chips alle larve vi fa una certa impressione (noi l’abbiamo fatto)? Sappiate che nelle patatine che normalmente comprate al supermercato e mangiate davanti alla tv c’è, da sempre, un colorante derivato proprio da un insetto. La cocciniglia (o più tecnicamente Dactylopius) è infatti un insetto bianco che vive soprattutto sui cactus, specie in Centro e Sud America, da cui si può estrarre un colorante naturale rosso acceso. Basta macinare l’esoscheletro degli insetti, renderlo una polvere e unirlo ad acqua calda per ottenere la tinta rossa, che viene usata sia nell’alimentazione (con la sigla E120) sia nella lavorazione dei tessuti.

Nei giorni in cui l’Unione Europea ha dato il via libera definitivo alla distribuzione della farina di grillo e delle larve del verme della farina scatenando discussioni sul futuro del cibo, abbiamo cercato di capire quanto sia diffuso l’E120 negli alimenti che normalmente consumiamo senza battere ciglio. Gli esempi sono decisamente tanti, dalle caramelle gommose agli yogurt per i bambini, e abbiamo verificato che tutti siano effettivamente in vendita in Italia.

La cocciniglia è l’unico esempio di insetti nel cibo in senso stretto ed è collegata anche a un’altra sostanza: la gommalacca (indicata nelle etichette come E904). Si tratta di una secrezione resinosa che viene prodotta dalla cocciniglia della lacca o Kerria lacca che viene usata per lucidare la frutta o come agente di rivestimento, come spiega Francesco Fenga, presidente dell’ordine dei tecnologi alimentari dell’Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria. Non solo, ricorda Sara Savoldelli (professore associato in entomologia all’Università degli Studi di Milano): per il miele di melata le api usano non il nettare dei fiori (come per il miele classico, che è a sua volta un prodotto degli insetti che siamo abituati a mangiare) ma una secrezione zuccherina detta melata che viene emessa da insetti fitomizi e deposta sugli alberi.

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Cancro: le formiche possono riconoscerlo con l’olfatto

Author: Wired

Non smettiamo mai di imparare dagli insetti. In questo caso dalle formiche, nella veste di “detective” del cancro. Sono infatti protagoniste di uno studio pubblicato il 25 gennaio sulla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B: secondo i risultati sarebbero in grado di percepire la presenza di certe sostanze volatili – prodotte a causa dell’alterato metabolismo cellulare che i tumori inducono – nell’urina di topi ammalati di cancro

Lo studio

Gli autori hanno trapiantato nei topi un tipo particolarmente aggressivo di tumore umano che colpisce il seno e hanno lasciato che crescesse. Dopodiché hanno “chiesto” alle formiche di distinguere campioni di urina prelevata da topi sani (come controllo negativo) da quella derivante dai topi affetti da cancro. Ma come si addestrano le formiche ad “annusare” le sostanze, o meglio, a distinguerne l’odore e poi a comunicarcelo? Semplice, con acqua e zucchero. I ricercatori hanno infatti posizionato delle goccioline di acqua e zucchero in corrispondenza dei campioni di urina dei topi malati in modo che le formiche li associassero a questa piccola ricompensa. In gergo tecnico si chiamano prove di condizionamento e sono delle vere e proprie sessioni di training, che sono state riproposte per tre volte ad ogni animale coinvolto nell’esperimento. Successivamente, gli scienziati hanno esposto le stesse formiche ai due diversi campioni di urina (quello di controllo e quello “alterato” dal tumore), questa volta senza aggiungere l’acqua zuccherata. Le formiche avrebbero sostato in media circa il 20% in più del tempo di fronte al campione derivante dal topo ammalato, in cerca della ricompensa. Grazie a specifiche analisi chimiche, gli scienziati hanno poi confermato la presenza delle sostanze che conferiscono l’odore caratteristico nei campioni che le formiche hanno (inconsapevolmente) riconosciuto come positivi al tumore.

Cosa sapevamo fino a oggi

Già nel 2022 lo stesso gruppo di ricerca aveva dimostrato che le formiche fossero in grado di distinguere, sempre dall’odore, cellule tumorali da cellule sane. In quel caso si trattava però di cellule cresciute in vitro, e non di campioni derivanti da animali vivi, ammalati di cancro, come nel presente studio. Questo è il modo in cui la scienza avanza, a “piccoli”, instancabili passi, un po’ come le protagoniste di questa storia. E, ricordano gli autori nelle conclusioni del loro articolo, ne saranno necessari altri – di passi – prima di poter utilizzare questo metodo nella pratica clinica: nelle vita reale, infatti, ci sono molte più variabili da tenere in considerazione, rispetto a quelle di cui si è tenuto conto in questo studio. Primo fra tutti, sarà necessario validare questo tipo di screening utilizzando campioni di origine umana derivanti da pazienti di età diverse, affetti da diversi tipi di tumore, che conducano diversi stili di vita, eccetera. Allo stesso tempo, a detta degli autori, questi insetti sembrano avere il potenziale per diventare un utile ed economico strumento di screening non invasivo. Sono infatti relativamente semplici da mantenere e imparano anche in fretta: circa 10 minuti sarebbero stati sufficienti per allenare ciascuna formica a diventare un efficiente “detective”.