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Le forme di Alzheimer sono diventate 5

Author: Wired

Esistono almeno cinque varianti di Alzheimer con profili di rischio genetico e caratteristiche proteiche distinte, ognuna delle quali richiede probabilmente un trattamento specifico. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su Nature Aging, in cui un team di neurobiologi ha eseguito un’analisi del liquido cerebrospinale di 419 pazienti affetti dalla malattia, con l’obiettivo di comprendere l’eterogeneità del disturbo e ottenere informazioni utili allo sviluppo di futuri farmaci per il controllo della patologia.

Le varie forme di Alzheimer

Dalla ricerca è emerso che i pazienti che soffrono di Alzheimer presentano cinque serie distinte di proteine e che le varianti sono associate a diversi processi molecolari all’interno dell’organismo. Il sottotipo 1, per esempio, contiene proteine legate all’iper-plasticità neuronale, mentre il sottotipo 2 comporta un’attivazione del sistema immunitario innato e il sottotipo 3 è associato a una compromissione della barriera emato-encefalica.

In passato erano già state individuate tre forme della malattia. Il nuovo studio, guidato dalla scienziata Betty Tijms, ora ne ha identificate altre due. Una è legata all’errata regolazione dell’Rna, mentre la seconda presenta una disfunzione del plesso coroideo (una rete di vasi sanguigni e cellule nei ventricoli).

Ogni sottotipo di Alzheimer presenta geni sensibili a diversi ambienti che producono varie forme di atrofia cerebrale. Mentre una variante causa l’attacco del tessuto cerebrale sano da parte del sistema immunitario, un’altra provoca l’accumulo eccessivo delle proteine amiloidi e Tau, che sono strettamente legate alla patologia. Dalla ricerca emerge che queste firme proteiche erano già presenti nelle fasi pre-cliniche e che sono rimaste stabili con il decorso della malattia. Sono state identificate fino a 3863 proteine, di cui solo 1309 erano presenti in tutti gli individui. La loro distribuzione non sembra essere legata al sesso o all’età.

Trattamenti più mirati

Grazie all’identificazione di questi biomarcatori, i ricercatori ipotizzano che i pazienti debbano essere sottoposti a diversi tipi di trattamenti. Ulteriori ricerche contribuiranno inoltre a determinare gli effetti collaterali dei farmaci a seconda del sottotipo di Alzheimer.

Dati i modelli distinti dei processi molecolari e dei profili di rischio genetico dell’Alzheimer, è probabile che i sottotipi richiedano trattamenti specifici. Per esempio, gli individui che rientrano nel sottotipo 1 possono beneficiare dei trattamenti che attivano il recettore Trem2, il sottotipo 2 degli inibitori del sistema immunitario innato, il sottotipo 3 di oligonucleotidi antisenso che ripristinano l’elaborazione dell’Rna, il sottotipo 4 dell’inibizione dell’infiltrazione dei monociti e il sottotipo 5 di trattamenti cerebrovascolari“, propone lo studio.

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Dal laboratorio alle startup: come Bayer ha messo la ricerca sui tumori sotto lo stesso tetto

Author: Wired

“Solo il 5% delle molecole che elaboriamo diventano farmaci approvati e ci vogliono dai 10 ai 15 anni per passare dal laboratorio al mercato”, sottolinea Dominik Rüttinger, Global Head Research & Early Development, Oncology di Bayer. Inoltre, aggiunge, “in futuro vedremo sempre più diagnosi prima dei 50 anni, pazienti che dovranno convivere più a lungo con la patologia”. Per questo è importante che gli effetti collaterali siano il più ridotti possibile.

La ricerca dentro Bric

Due le linee di ricerca attive all’interno di Bric. La prima, che coinvolge 12 scienziati, riguarda la ricerca di base, ovvero l’individuazione di target sia a livello di cellule che di proteine. Altri 30, invece, sviluppano molecole che siano in grado di andare a colpire questi target. Attività, quest’ultima, che viene svolta in collaborazione con i team di ricerca basati in Germania. Il coordinamento di tutti questi scienziati è affidato a Sybil Williams, Head of Oncology Research and Site Head for Bric, Bayer, basata a Cambridge.

Una sede all’interno della quale si lavora anche utilizzando l’intelligenza artificiale. “Gli algoritmi ci permettono di vedere quello che gli umani non capiscono – spiega Rüttinger -. In particolare, la valutazione degli esami radiologici consente di predire se il paziente possa essere sensibile a un farmaco efficace in presenza di una determinata mutazione. A quel punto, si effettua un test genetico sul paziente per verificare che la mutazione sia presente e, in caso affermativo, si somministra il farmaco”.

Le collaborazioni esterne

Il lavoro di ricerca non rimane confinato all’interno delle mura degli edifici di Bric. Sono infatti diverse le università, le aziende e i centri di ricerca con i quali Bayer ha stretto degli accordi. Uno di questi è il Board Institute, ente non profit nato dalla collaborazione tra le due università che hanno sede a Cambridge, ovvero Harvard e l’Massachusetts Institute of Technology. Una realtà cui fanno riferimento oltre 6.500 ricercatori, con la quale l’azienda tedesca collabora da oltre 10 anni.

In particolare, è qui che viene testata in vitro l’efficacia delle molecole sviluppate per colpire i target individuati nei laboratori di Bric. Il Board Institute ha infatti a disposizione oltre 900 linee cellulari, coltivate a partire da tumori di altrettanti pazienti proprio per scopi di ricerca. Non solo: ha sviluppato Prism, una tecnica che riduce, e di molto, i tempi necessari per la sperimentazione.