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Forse non abbiamo capito nulla dell’energia oscura

Author: Wired

Fatto certo: dal Big Bang in poi, l’Universo ha cominciato a espandersi, e lo sta facendo tuttora. Fatto certo: la forza di gravità è di tipo attrattivo, ossia tende ad avvicinare corpi dotati di massa. Fatto più o meno certo: l’espansione dell’Universo è accelerata, ossia stelle, galassie e tutto il resto si allontanano gli uni dagli altri sempre più velocemente. E qui sorge il problema, l’apparente contraddizione, uno dei più grandi grattacapi della fisica moderna: l’azione della forza di gravità dovrebbe rallentare l’espansione dell’Universo. Ma l’Universo non lo sa, e continua lo stesso a espandersi in modo accelerato. Per superare l’impasse, i fisici hanno ipotizzato l’esistenza di un tipo di energia “altro”, chiamato energia oscura, che dovrebbe essere il responsabile di questa azione di “contrasto” alla gravità e dunque dell’accelerazione dell’espansione dell’Universo. Il punto, però, è che di questa energia conosciamo poco e niente: non sappiamo come è fatta, non abbiamo idea della sua origine, ignoriamo come agisca. Forse neppure esiste per davvero: forse sono le osservazioni a essere sbagliate, o forse la causa dell’espansione accelerata è da ricercare altrove, o forse la gravità si comporta in modo diverso rispetto a quello che pensiamo. Insomma, un bel ginepraio. A cui, come se non bastasse, si sono appena aggiunte le considerazioni di un’équipe di fisici del Dark Energy Spectroscopic Instrument (Desi), che in una serie di articoli scientifici presentati al congresso annuale della American Physical Society, in California, e ai Rencontres de Moriond, in Italia, hanno messo in discussione tutto quello che (non) sappiamo sull’energia oscura, evidenziando alcune lacune teoriche del modello e cercando di riorientare la ricerca in un’altra direzione. Vediamo di cosa si tratta.

Cosa (non) sappiamo finora

Come accennavamo, l’idea dell’esistenza dell’energia oscura discende direttamente dall’osservazione dell’espansione accelerata dell’Universo. Secondo la teoria della relatività generale formulata oltre un secolo fa da Albert Einstein, e sottoposta con successo a centinaia di verifiche sperimentali nel corso dei decenni successivi, l’espansione dell’Universo dovuta all’effetto del Big Bang dovrebbe rallentare a causa dell’effetto della forza di gravità. Tuttavia, una serie di osservazioni sperimentali risalenti al 1998, relative al comportamento delle supernovae più lontane, ha mostrato che, in verità, l’espansione dell’Universo è ancora in accelerazione – scoperta per la quale i fisici Saul Permuter, Brian Schmidt e Adam G. Riess sono stati insigniti del premio Nobel per la fisica nel 2011. C’è da dire che anche qui sorge un problema nel problema: qualcuno mette in discussione il fatto che l’Universo si stia espandendo a velocità accelerata e che questa osservazione sia in realtà solo dovuta a un’illusione legata al moto relativo della Terra, o che dipenda da fenomeni gravitazionali ancora sconosciuti, ma questa è un’altra storia. Quindi, supponendo che l’accelerazione esista, l’ipotesi più accreditata al momento per giustificarla è proprio quella che coinvolge la materia oscura.

Le osservazioni di Des

Uno dei risultati più promettenti è quello ottenuto dal Dark Energy Survey (Des), un grande progetto di ricerca nato con l’ambizioso obiettivo di esplorare 14 miliardi di anni di storia cosmica”, ossia di spingersi indietro nel tempo fino al Big Bang e di comprendere cosa sia successo dopo: dal 2013 a oggi, gli scienziati del Des hanno mappato centinaia di milioni di galassie e migliaia di supernovae cercando di individuarvi una “struttura cosmica comune” in cui potrebbe essere nascosta l’azione della materia oscura. Nei primi sei anni di vita del progetto, i ricercatori hanno in particolare messo insieme 758 notti di osservazioni del cosmo per ricavarne informazioni su circa 5000 gradi quadrati (il grado quadrato è un’unità di misura della volta celeste) di cielo australe; tali osservazioni, hanno detto gli scienziati, “ci portano più vicini a una più profonda comprensione della materia oscura e ci danno la possibilità di verificare la solidità della cosiddetta costante cosmologica, una grandezza introdotta da Albert Einstein nel 1917 per ‘controbilanciare’ gli effetti della gravità nelle equazioni della relatività generale e ottenere così un modello statico, che non si espandesse né contraesse”. Un attimo. Cosa vuol dire tutto ciò? Non avevamo detto che l’Universo è in espansione? In effetti lo è, e le equazioni originali di Einstein lo prevedevano; ma all’epoca della formulazione della sua teoria della relatività questo ancora non si sapeva, e si dava per certo il fatto che l’Universo fosse statico: per questo, Einstein “corresse” le sue formule introducendo un numerino – la costante cosmologica, per l’appunto – per “fermare” l’Universo. In seguito, nel 1929, le osservazioni dell’astronomo Edwin Hubble mostrarono che in realtà l’Universo si stava espandendo, e quindi Einstein tolse di mezzo la costante cosmologica, definendola “il più grande abbaglio della mia vita”. Ma dopo ancora, quando come abbiamo visto si scoprì che l’Universo non è solo in espansione, ma in espansione accelerata, la costante cosmologica venne in parte riabilitata. E ora si pensa che abbia molto a che fare con l’energia oscura, sempre che esista davvero.

Le considerazioni del Desi

Gli studi appena presentati rappresentano un’ulteriore svolta in questo percorso così accidentato e tortuoso. E potrebbe trattarsi di una svolta molto importante: “Questi risultati – ha commentato Reiss, che come abbiamo visto è il Nobel dell’energia oscura – sono probabilmente i più significativi degli ultimi venticinque anni”. Di cosa si tratta? Gli scienziati del Desi hanno recentemente avviato un progetto di ricerca quinquennale per mettere a punto una mappa tridimensionale della posizione e della velocità di 40 milioni di galassie in un arco di tempo di 11 miliardi di anni, e i dati appena presentati sono quelli relativi al primo anno di osservazione, in cui sono stati mappati 6 milioni di galassie. “I dati raccoltiha spiegato Michael Levi, direttore del Desi – sono in parte in accordo con i modelli dell’energia oscura, ma c’è anche qualcosa che non torna: sembrano suggerire infatti che l’energia oscura sta cambiando nel tempo”. L’ipotesi finora più accreditata, invece, prevede che l’energia oscura sia costante, e non è una differenza da poco: dal valore dell’energia oscura, e dal suo comportamento nel tempo, è legato il destino dell’intero Universo – che proprio a seconda di questo valore potrebbe espandersi all’infinito, contrarsi nuovamente fino alle dimensioni di un punto o diventare statico.

“Non ci aspettavamo di ottenere dei risultati così interessanti in così breve tempo – ha aggiunto Nathalie Palaque-Delabrouille, astrofisica del Lawrence Berkeley e portavoce del progetto – Il primo anno di osservazioni doveva servire soltanto a confermare quello che già sapevamo, e invece è saltato fuori questo nuovo ‘suggerimento’. Senza scendere in dettagli troppo tecnici, gli scienziati si sono sostanzialmente resi conto che l’ipotesi “classica” di energia oscura costante nel tempo non giustificava la posizione e la velocità di alcune delle galassie osservate: in particolare, quelle più recenti apparivano più vicine di quanto avrebbero dovuto essere. È bene comunque sottolineare che al momento si tratta solo di indizi, che potrebbero essere smentiti dalle prossime osservazioni: ma certamente dall’entusiasmo con cui sono stati accolti i dati è chiaro che abbiamo a che fare con qualcosa di molto interessante e promettente, che forse un giorno potrebbe portare alla soluzione di questo affascinante e intricatissimo mistero cosmico. Speriamo di saperlo a breve.

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Le 10 eclissi solari più famose della storia

Author: Wired

Quando la Luna si allinea con il Sole in cielo, avviene un’eclissi solare. A volte parziale, a volte totale, a volte anulare, a seconda del moto reciproco tra la Terra e la Luna e a seconda del luogo della superficie terrestre da cui stiamo osservando l’evento. In ogni luogo della Terra le eclissi totali avvengono una volta ogni 400 anni circa, ma da qualche parte del pianeta ne avviene una ogni circa 18 mesi. Spesso gli eventi di eclissi sono divenuti famosi poiché la visione astrologica del cielo portava gli antichi a cercare dei legami tra gli eventi astronomici e quelli terrestri, come la nascita o la morte di re o profeti. Inutile dire che questi legami non esistono e si tratta solo di correlazioni temporali interpretate tramite gli occhi della superstizione, ma è la ragione per cui molte di queste eclissi solari sono passate alla storia.

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Abbiamo ripreso per la prima volta una rara turbolenza solare

Author: Wired

Per la prima volta nella sua lunga traiettoria verso il Sole, la sonda Parker della Nasa è riuscita a immortalare una particolare turbolenza all’interno di un’espulsione di massa coronale, una fuoriuscita di materiale proveniente dalla corona della principale stella nel nostro sistema planetario.

Il Naval research Llaboratory (Nrl) statunitense ha confermato che la pionieristica sonda ha osservato il fenomeno nel momento in cui un’espulsione di massa coronale (Cme, dall’inglese coronal mass ejection) ha interagito con il vento solare attorno alla stella. I risultati del Wide-field imager a (Wispr), uno degli strumenti a bordo di Parker, sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal e documentano la presenza di vortici all’interno del Cme. Si tratta dell’instabilità di Kelvin–Helmholtz, un evento generato dall’interazione di due fluidi in rapido movimento.

Una turbolenza che non era visibile

I ricercatori si sono detti sorpresi dall’impresa di Parker. Questi “vortici spaziali” di solito si verificano su scale troppo piccole per poter essere fotografati. L’alta sensibilità di Wispr e la vicinanza della sonda Parker al Sole ci ha però regalato le prime immagini dell’instabilità.

Con grande sorpresa del team Wispr, le immagini di uno dei telescopi hanno mostrato quelli che sembrano vortici turbolenti, le cosiddette instabilità di Kelvin-Helmholtz. Queste strutture sono state già fotografate nell’atmosfera terrestre sotto forma di serie di nuvole a forma di onda e sono il risultato di un forte wind shear [una variazione improvvisa nell’intensità e nella direzione del vento, Ndr] tra gli strati superiori delle nuvole e quelli inferiori“, spiega il rapporto dell’Nrl.

Le instabilità di Kelvin–Helmholtz riprese dalla sonda Parker

Le instabilità di Kelvin-Helmholtz sono un fenomeno raro da riprendere e secondo il team responsabile della sonda Parker potrebbero offrire nuove opportunità di ricerca a scopi di difesa planetaria. La comprensione delle dinamiche di queste turbolenze solari consentirebbe infatti di mettere a punto dei protocolli per rispondere alle tempeste geomagnetiche e prevenire un possibile blackout delle telecomunicazioni. La relazione dell’Nrl sottolinea che Wispr potrebbe essere l’unico mezzo attualmente disponibile in grado di fotografare il fenomeno, grazie alla sua posizione privilegiata rispetto al Sole.

L’impresa della sonda Parker

La sonda Parker viaggia nello spazio dal 2018 con l’obiettivo di per avvicinarsi il più possibile al Sole, arrivando a 6,2 milioni di chilometri dalla fotosfera. I suoi strumenti sono stati progettati per resistere all’intensa traversata e alle condizioni estreme che sono destinati a incontrare. La missione di Parker non ha precedenti nella storia: la sonda dovrà determinare la struttura e le dinamiche del campo magnetico della corona solare, oltre a studiare il vento solare.

Nell’ottobre 2023 Parker è diventato ufficialmente lo strumento più veloce mai costruito dall’uomo, dopo aver infranto la barriera dei 600mila chilometri orari sfruttando l’attrazione gravitazionale del Sole. Ma non si tratta del suo unico record: la sonda può infatti vantare anche il titolo di oggetto più vicino al Sole, a 7,26 milioni di chilometri dalla superficie della stella.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired en español.

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Il pesce d’aprile di Patrick Moore, l’astronomo che ha preso in giro il mondo intero

Author: Wired

Il pesce d'aprile di Patrick Moore l'astronomo che ha preso in giro il mondo intero

Historical/Getty Images

L’allineamento planetario

Il segreto di una buona bugia è nei dettagli. Il 1 aprile del 1976, Moore annunciò agli ascoltatori della radio della BBC un imminente fenomeno astronomico senza pari. Alle 9:47 di quella mattina, Giove e Plutone sarebbero stati in congiunzione, ossia molto vicini in cielo, in prospettiva possiamo dire quasi allineati. Giove avrebbe quindi esercitato la sua gravità sulla Terra, e lo stesso avrebbe fatto Plutone, e la gravità combinata dei due corpi planetari (all’epoca entrambi pianeti veri e propri in effetti) si sarebbe fatta sentire sul nostro pianeta. Così tanto che, disse Moore, se gli ascoltatori avessero provato a saltare sul posto in quel momento, avrebbero fluttuato per via della ridotta gravità.

Le chiamate

Arrivarono così le 9:47, Moore disse “Saltate ora!” passò il fatidico momento della congiunzione planetaria. Cominciarono ad arrivare telefonate agli studi della BBC, centinaia di telefonate degli ascoltatori di Moore che riportavano di avere sentito davvero quella riduzione di gravità. Una donna disse addirittura che lei e 11 suoi amici avevano iniziato a fluttuare nella stanza in cui si trovavano. Un’altra donna raccontò un’esperienza simile per lei e suo marito. Insomma, uno splendido esempio che ci mostra quanto le nostre menti possano giocarci brutti scherzi, quando ci fidiamo di chi ci sta parlando. Le chiamate si placarono solo quando, quella mattina, la BBC rivelò che si era trattato di un semplice pesce d’aprile. Moore lo aveva fatto anche per screditare le teorie pseudoscientifiche raccontate in un libro pubblicato in quel periodo intitolato The Jupiter Effect: secondo quanto riferito dagli autori del libro, nel 1982 ci sarebbe stato un allineamento di tutti i pianeti da uno stesso lato del Sole e questo avrebbe innescato una serie di terremoti tremendi sul nostro pianeta. Qualcosa che, neanche a dirlo, non ha alcuna base scientifica.

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A caccia delle origini dell’Universo nel deserto di Atacama

Author: Wired

Come ha avuto inizio l’Universo? Di cosa è fatto? Come è evoluto dai suoi momenti iniziali fino ad assumere la forma attuale? Domande fondamentali, a cui i cosmologi sperano di rispondere studiando la radiazione cosmica di fondo, quel “tappeto” di microonde che permea l’Universo in modo omogeneo, anche nel vasto vuoto tra stelle, pianeti e galassie. Rappresenta un’eco del Big Bang, un residuo della tumultuosa espansione da cui tutto ha avuto origine, e nei prossimi mesi la comunità scientifica avrà modo di osservarla, e studiarla, con precisione mai raggiunta in passato. Sulle montagne del Cile, ad un’altitudine di 5.300 metri, sta infatti per entrare in funzione il più potente radio-osservatorio del pianeta: il Simons Observatory, una struttura di osservazione scientifica 10 volte più sensibile del precedente detentore del titolo, il telescopio spaziale Planck dell’Esa.

Il telescopio

La costruzione dell’osservatorio è iniziata nel 2019, ed ha richiesto oltre 100milioni di dollari per essere completata. È frutto di una sostanziale donazione da parte della Simons Foundation, una charity dedicata al finanziamento della ricerca scientifica, e del contributo di diverse università americane. La location scelta per la struttura si trova sulle pendici del Cerro Toco, nel deserto di Atacama, un sito perfetto per i radiotelescopi con cui si studia la radiazione cosmica di fondo, tanto che ospita già l’Atacama Cosmology Telescope e l’osservatorio James Ax, attivi proprio nelle ricerche cosmologiche sull’origine dell’Universo.

L’osservatorio Simons sarà dotato di due strumenti principali. Il più grande, il Large Aperture Telescope (Lat), ha un diametro di sei metri e sarà impegnato nella mappatura del 40% del cielo ad altissima risoluzione, registrando le variazioni di temperatura nella radiazione cosmica di fondo, e la sua polarizzazione, una misura che indica la direzione in cui oscilla il campo elettromagnetico mentre si propaga nello spazio. Lat è progettato per risultare sei volte più sensibile ai pattern di polarizzazione misurati rispetto a qualunque altro strumento mai realizzato, e questo dovrebbe renderlo capace di identificare i segnali della cosiddetta inflazione cosmica (cioè la velocissima espansione dell’Universo che si ipotizza essere avvenuta nei primissimi istanti dopo il Big Bang), lavorando di concerto con l’altro telescopio, o meglio telescopi: gli Small Aperture Telescopes (Sat), tre radiotelescopi identici da 0,4 metri, che saranno impegnati in misurazioni simili, ma a minor risoluzione.

Gli obiettivi scientifici

Le scoperte che gli scienziati del Simons Observatory sperano di fare con i nuovi telescopi sono relative, in primo luogo, alla nascita dell’Universo. Una delle più attese è la già citata prova dell’inflazione cosmica, un’ipotesi necessaria per risolvere alcuni problemi del modello del Big Bang, che però fino ad oggi è sfuggita a tutti i tentativi di dimostrazione. La radiazione cosmica di fondo potrebbe nascondere traccia delle onde gravitazionali primordiali che ebbero origine dallo stesso Big Bang, e queste a loro volta potrebbero fornire ai cosmologi una prova irrefutabile dell’inflazione cosmica, che aiuterebbe a spiegare la successiva evoluzione delle strutture cosmiche che popolano l’Universo al giorno d’oggi.

È una delle scoperte più attese nel campo, e si ritiene che le specifiche tecniche dei quattro telescopi ospitati al Simons Observatory dovrebbero renderla possibile, sempre che (ovviamente) ci sia effettivamente qualcosa da scoprire in questo senso, nascosto nella radiazione cosmica di fondo. Nel 2014 era stato annunciato qualcosa di simile dai ricercatori dell’esperimento BICEP2, operato dalla base permanente Amundsen–Scott del Polo sud. Ma in seguito ad ulteriori approfondimenti gli stessi autori della scoperta hanno dovuto ritrattare, ammettendo di non aver individuato altro che polvere cosmica. Per questo, le aspettative per questa seconda possibilità offerta da Simons sono più o meno alle stelle.