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In Cina c’è un enorme laboratorio sotterraneo che studia la materia oscura

Author: Wired

Isolato dal mondo, a 2,4 chilometri di profondità e con una montagna sopra la testa, un team di scienziati cinesi si è imbarcato in una missione per comprendere la materia oscura. Dopo 13 anni di lavori, il China Jinping Underground Laboratory (Cjpl) è stato finalmente inaugurato, e l’obiettivo è quello di approfondire uno dei principali enigmi della cosmologia contemporanea.

Cos’è il Cjpl

Con 330mila metri cubi di spazio, il nuovo centro di ricerca è il più grande laboratorio del suo genere, superando così i Laboratori nazionali del Gran Sasso (Lngs) dell’Aquila. Il Cjpl è stato costruito in collaborazione con l’Università Tsinghua di Pechino e lo Yalong River Hydropower Development, una società di energia idroelettrica cinese.

A fronte della difficoltà di quantificare la materia oscura, gli astrofisici e i cosmologi hanno bisogno di strutture di ricerca prive di rumore e interferenze cosmiche. Per questo motivo, le pareti del Cjpl – che si trova a 2400 metri di profondità – sono ricoperte da una pellicola protettiva in gomma e cemento dello spessore di 10 centimetri, che fa in modo che il laboratorio sia raggiunto da solo lo 0,000001% dei raggi cosmici che colpiscono la Terra ogni giorno.

All’interno del laboratorio sotterraneo, spiccano lo Xenon Particle and Astrophysics Experiment (PandaX) e il China Dark Matter Experiment (Cdex). Il primo è un sistema progettato per rilevare la collisione tra eventuali particelle di materia oscura e atomi di gas xenon, mentre il secondo utilizza un rivelatore al germanio da 10 chilogrammi per individuare la materia oscura in grado di generare segnali elettrici.

Sotto la guida dello scienziato Cheng Jianping, il Cjpl ospita vari dipartimenti, nello specifico Fisica e scienza, Ingegneria e tecnologia, Integrazione e gestione, nonché Servizio e supporto. Il sito ufficiale del laboratorio riporta che la struttura punta a essere una piattaforma aperta per la ricerca ed è pronta a collaborare con accademici di tutto il mondo; attualmente, il team che si occupa del Cdex comprende già ricercatori provenienti dall’India e dalla Turchia.

Che cos’è la materia oscura?

La materia oscura è un’ipotetica compone che formerebbe circa il 70% dell’universo e sarebbe alla base del movimento, del tasso di espansione e del raggruppamento delle strutture a livello cosmologico. Sebbene la scienza non sia stata in grado di rilevarla direttamente, la sua esistenza è stata teorizzata a partire da altri fenomeni astronomici, come la rotazione delle galassie e le lenti gravitazionali.

In realtà, il nome di questo elemento non ha nessuna relazione con il suo colore. L’aggettivo “oscura” si riferisce infatti al comportamento dell’elusivo componente a cospetto degli attuali strumenti di osservazione basati sullo spettro elettromagnetico: al momento, questo tipo di materia non è rilevabile, e quindi “oscura”.

La materia oscura, inoltre, non va confusa con l’energia oscura, un’ipotetica forma energetica teorizzata per spiegare l’espansione dell’universo dopo il Big Bang. La differenza principale è che la materia oscura funge da “colla invisibile” tra le stelle, mentre l’energia oscura respinge i corpi giganti nel cosmo. Entrambe confluiscono nel concetto di “universo oscuro“, che oggi rappresenta una delle sfide maggiori per gli scienziati nel settore.

La corsa alla comprensione della materia oscura ha già portato a progressi significativi nel campo dell’osservazione cosmica. Uno degli esempio più recenti è quella della missione Euclid, un telescopio spaziale lanciato dell’Agenzia spaziale europea per comprendere queste particelle attraverso una mappatura tridimensionale di parte dell’Universo, che ci ha già regalato straordinari scatti a colori del cosmo.

Questo articolo è apparso originariamente su Wired en español.

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La costruzione del telescopio più grande del mondo entra nel vivo

Author: Wired

Tra i tanti pacchi spediti quest’anno per Natale ce ne sono stati 18 che stanno rendendo felici molti scienziati (e non solo). Sono partiti dalla Francia e hanno viaggiato per oltre 10 mila chilometri tra terra e mare. Destinazione: Cerro Amazones, deserto di Atacama, Cile. Niente pluriball, bustine di gel di silice e corriere espresso, ma container a temperatura controllata, con cuscini ad aria, sistemi anti-urto e custodie con azoto secco per evitare la minima formazione di condensa. Il contenuto? Specchi esagonali di 1,4 metri di diametro. Un trasporto più che speciale, visto che sono i primi 18 pezzi – di 798 – che andranno a comporre un mosaico eccezionale: lo specchio principale (M1) da ben 39 metri di diametro di quello che, una volta costruito, sarà il più grande telescopio ottico del mondo. Che non a caso è stato chiamato Extremely Large Telescope (Elt).

Completamento previsto: 2028

Per comprendere la portata di questo nuovo giocattolo dello European Southern Observatory (Eso) basti pensare che il suo fratellino, cioè il Very Large Telescope – l’altro Polifemo dell’Eso che è ad oggi il telescopio ottico più avanzato in assoluto – è composto da 4 specchi primari di “appena” 8,2 metri di diametro l’uno. E che il più grande telescopio mai costruito, il Gran Telescopio Canarias (a La Palma), ha uno specchio primario di 10,4 metri. Se questi numeri dicono poco, eccone altri che potranno aiutare a capire di cosa parliamo: la capacità di captare la luce dell’Extremely Large Telescope sarà 100 milioni di volte maggiore di quella dell’occhio umano e 20 volte superiore a quella di una unità del Very Large Telescope. Ecco spiegato perché l’arrivo in Cile di questi 18 pacchi fa notizia. L’occhio del nuovo super-telescopio sarà puntato verso il cielo entro la fine di questo decennio – nel 2028 se tutto va secondo i piani – per carpire nuove informazioni su esopianeti, galassie remote, buchi neri, materia oscura, tra i progetti fondamentali dell’astronomia del futuro (qui il trailer).

Un design ottico pionieristico

Il campo visivo sarà di 10 minuti d’arco: la luce sarà raccolta da una superficie pari a 978 metri quadrati, e verrà riflessa in altri 4 specchi secondari prima di raggiungere gli strumenti che aiuteranno gli scienziati a dare un senso ai fotoni. Come spiega l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), l’Elt dell’Eso avrà infatti un design ottico pionieristico a cinque specchi. In particolare “M4 sarà uno specchio adattivo e flessibile che regolerà la propria forma mille volte al secondo per correggere le distorsioni causate dalla turbolenza dell’aria”. E questa è solo una parte dell’avventura tecnologica che vede in prima linea anche l’Italia.

La storia

Dal concepimento del nuovo gigante europeo sono già passati quasi 18 anni. L’idea risale infatti al 2006. Ne sono serviti 4 per arrivare alla scelta del luogo in cui costruirlo, il Cerro Amazones, un monte arido delle Ande cilene di oltre 3mila metri, nella parte centrale del deserto dove il cielo è sempre limpido, a circa 23 chilometri dal Cerro Paranal, casa del Very Large Telescope. La preparazione del sito è cominciata 10 anni fa, nel 2014, e la costruzione della struttura esterna nel 2018, quando è stato forgiato anche il primo tassello esagonale dello specchio principale, in Germania. Gli specchi sono poi stati inviati in Francia, per la sofisticata e lunga fase della lucidatura, iniziata nel 2023. Le irregolarità della superficie dello specchio – spiega infatti l’ESO – devono essere inferiori a 10 nanometri (meno di un millesimo della larghezza di un capello): un livello di precisione che si raggiunge spazzando la superficie con un fascio di ioni, atomo per atomo.

Dati e curiosità su ELT

Ora che sono in Cile, i segmenti verranno ricoperti da uno strato sottilissimo (150 nanometri) di argento e, una volta assemblati, le posizioni relative di tutti gli esagoni saranno rilevate da oltre 4.600 sensori, sempre per ridurre al minimo gli errori. Per chi si stesse chiedendo il motivo di realizzare un sistema tanto complesso, ecco la spiegazione: anche con le migliori tecniche di lavorazione del vetro, la fusione di uno specchio per telescopi più grande di circa 8 metri è poco fattibile, spiega Inverse.com. Come ricorda sempre l’Inaf, l’idea dello specchio multi-segmento arriva dall’Italia: è stato un astronomo ebreo triestino Guido Horn D’Arturo (1879-1967), senza il quale la realizzazione di questi osservatori astronomici giganteschi sarebbe stata impossibile.Per gli appassionati di dettagli e curiosità, sul sito dell’ELT se ne trovano a bizzeffe. Per esempio, serviranno circa 30 milioni di viti e bulloni, 500 chilometri di cavi e 1500 di fibra ottica. L’edificio avrà un’altezza di 90 metri e un diametro di 80: una struttura rotante di oltre 3000 tonnellate. E il tempo necessario per andare a piedi dall’ingresso alla cima della cupola sarà di circa mezz’ora.

Il ruolo dell’Italia e la ricerca di vita extraterrestre

Tornando al ruolo dell’Italia, la costruzione della cupola e della struttura meccanica di supporto del telescopio è affidata al consorzio formato da Astaldi, Cimolai ed EIE group (con la più grande commessa mai assegnata per un telescopio da terra, da 400 milioni di euro). Soprattutto, però, l’Istituto nazionale di astrofisica è alla guida dei consorzi per la costruzione di due strumenti fondamentali: il sistema di ottica adattiva multi-coniugata Morfeo (un altro strumento per correggere le distorsioni dovute all’atmosfera) e lo spettrografo ad alta risoluzione Andes, che capterà la “firma” delle prime stelle comparse nel cosmo, misurerà con maggiore precisione l’accelerazione dell’espansione dell’universo, individuerà eventuali variazioni delle costanti fondamentali della fisica e andrà alla ricerca di segni di vita da lontani pianeti simili alla Terra.

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Questa insalata è il pasto perfetto per gli astronauti

Author: Wired

Una ricca e gustosa insalata di orzo, patate dolci, semi di papavero e altri vegetali. È questo il piatto perfetto per gli astronauti che in futuro dovranno affrontare viaggi sempre più lunghi nello Spazio profondo. A proporlo in uno studio pubblicato su Acs Food Science & Technology è stato un team di ricerca internazionale che ha appena messo a punto un “pasto spaziale” ottimale. È, infatti, allo stesso tempo nutriente perché contiene cibi freschi che soddisfano le esigenze di chi partirà per lunghi viaggi, sia sostenibile, poiché gli alimenti possono essere coltivati sia all’interno dei veicoli spaziali che nelle future colonie spaziali.

Un pasto nutriente e sostenibile

Sappiamo che nello Spazio si bruciano più calorie ed è necessario assumere micronutrienti extra, come il calcio, per rimanere in buona salute durante l’esposizione prolungata alla microgravità. Per soddisfare questi requisiti, i ricercatori hanno per prima cosa valutato diverse combinazioni di ingredienti freschi, utilizzando un metodo chiamato programmazione lineare. Da qui, sono riusciti a identificare un modello di diversi alimenti che potrebbero soddisfare le esigenze nutrizionali quotidiane di un astronauta maschio, riducendo al minimo l’acqua necessaria per coltivare gli alimenti.

Un’insalata ricca

Per quanto riguarda la sostenibilità, ossia il fatto che gli alimenti possano essere coltivati nella navicella spaziale o nelle future colonie spaziali, i ricercatori hanno selezionato cibi che richiedessero poco fertilizzante, tempo e area per crescere, valutando inoltre che le parti non commestibili potessero essere riciclate. Dei 10 scenari esaminati nello studio, è emerso che un pasto vegetariano composto da un’insalata di semi di soia, semi di papavero, orzo, cavoli, arachidi, patate dolci e/o semi di girasole fornirebbe il miglior equilibrio tra i massimi nutrienti e minimi input agricoli. Tuttavia, sebbene questa combinazione non possa offrire tutti i micronutrienti di cui un astronauta ha bisogno, quelli che mancano, come suggeriscono i ricercatori, potrebbero essere aggiunti in un integratore.

Anche il gusto ha la sua importanza

Per assicurarsi che il pasto spaziale degli astronauti fosse anche gustoso, il team lo ha preparato e poi proposto a 4 volontari che non solo hanno fatto il bis, ma hanno anche fornito recensioni entusiastiche. Per esempio, un commensale ha riferito: “non mi dispiacerebbe mangiarlo tutta la settimana come astronauta”. Il prossimo passo dei ricercatori ora è quello di identificare altre opzioni del pasto spaziale che possa essere soddisfacente anche per le necessità delle astronaute.

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Il set Lego che simula l’orbita della Terra attorno al Sole

Author: Wired

Direttamente dal catalogo Lego Technic c’è un nuovo interessante set educativo a tema spaziale che permette di riprodurre con circa mezzo migliaio di pezzi l’orbita della Terra e della Luna attorno al Sole. Rivolto a appassionati dai 10 anni in su, include tutto ciò che serve per assemblare un supporto rotante e azionabile a manovella per comprendere meglio il viaggio del nostro pianeta attorno alla stella e fenomeni come l’alternarsi delle stagioni durante i vari mesi. L’uscita è prevista per marzo a un prezzo interessante.

A breve distanza dal lancio della Polaroid che celebra il mitologico modello OneStep SX-70, Lego ufficializza un nuovo set compatto e già molto apprezzato come quello intitolato “Pianeta Terra e Luna in orbita”. Il fulcro del sistema è il piedistallo che sostiene il Sole e che accoglie anche una piccola manovella da ruotare per dare vita al modellino. Il sistema di ingranaggi muoverà infatti il braccio laterale con la Terra (opportunamente inclinata sul proprio asse) che inizierà la sua rivoluzione attorno alla stella. Ma non solo: c’è infatti anche la piccola Luna, che a sua volta orbiterà attorno al pianeta, influenzandone il moto. Per comprendere meglio l’alternarsi delle stagioni durante l’anno e le fasi lunari ogni mese, sono stampati riferimenti grafici su due ghiere ad anello alla base dei piedistalli rotanti del Sole e della Terra.

La visuale laterale del set Lego

La visuale laterale del set Lego

Questo set educativo è pensato per le famiglie e per appassionati di Lego e spazio di ogni età, si compone di 526 pezzi e la costruzione finale misurerà 24 cm di altezza e 33 cm di lunghezza. Naturalmente si potrà sfruttare anche l’app Lego Builder per essere guidati in modo immersivo nell’assemblaggio dei mattoncini. È già online la pagina ufficiale del set Lego Technic #42179 che uscirà ufficialmente il prossimo 1 marzo 2024 a un prezzo di 79,99 euro.

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Perseverance celebra i suoi mille giorni su Marte

Author: Wired

Missione compiuta! Il rover della Nasa Perseverance ha svolto il suo lavoro, portando a termine ciò per cui era stato progettato: esplorare il cratere Jezero su Marte e prelevare campioni di materiale alla ricerca di forme di vita passate. Ad annunciarlo proprio nel millesimo giorno marziano, o sol (pari a 24 ore e 37 minuti del giorno terrestre) della missione è stato il team della Nasa, durante la conferenza dell’American Geophysical Union a San Francisco, secondo cui, appunto, Perseverance ha raggiunto uno dei suoi obiettivi primari, sebbene ci siano ancora molte altre sfide da affrontare. “È un risultato davvero incredibile e abbiamo fatto una quantità incredibile di scienza”, ha affermato Lori Glaze della Nasa. “Ciò non significa che Perseverance stia per spegnere i motori”.

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La missione di Perseverance

Partito a luglio 2020 insieme al suo piccolo elicottero Ingenuity, Perseverance è atterrato su Marte il 18 febbraio 2021. Da quel momento, ha cominciato il suo lavoro: raccogliere campioni di rocce e regolite esplorando l’antico delta del fiume che conserva le prove di un lago che riempiva miliardi di anni fa il cratere Jezero, largo 45 chilometri e ritenuto dagli esperti un ottimo posto per cercare potenziali tracce di molecole organiche e vita microbica. Dopo un primo tentativo fallito, Perseverance è riuscito a settembre 2021 a prelevare un campione di roccia grazie alla sofisticata trivella e al braccio robotico snodabile di 2 metri che, come da previsioni, hanno permesso di raccogliere un frammento di materiale, che è stato poi inserito in un tubo metallico e custodito, in attesa di essere riportato sulla Terra.

L’antico lago

Da qui, una serie di successi: ha prelevato molti altri campioni di roccia (23 in totale) e confermato la presenza di un antico lago. “Un lago è un ambiente potenzialmente abitabile, e le rocce del delta sono un ottimo ambiente per seppellire segni di vita antica come fossili nella documentazione geologica”, ha spiegato Ken Farley, del California Institute of Technology di Pasadena. “Dopo un’esplorazione approfondita, abbiamo ricostruito la storia geologica del cratere, tracciandone la fase lacustre e fluviale dall’inizio alla fine”. Perseverance ha anche trovato tracce di molecole organiche, tra cui anche silice a grana fine (materiale noto per preservare i fossili sulla Terra) e fosfato (associato alla vita come la conosciamo). Sebbene siano state avanzate diverse ipotesi sulla loro origine, tuttavia, bisognerà aspettare il 2030 per esami più approfonditi: una delle sfide da affrontare ora è proprio quella di come riportare sulla Terra i campioni prelevati da Perseverance in modo che possano essere studiati in laboratorio.