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Immigrazione in Europa, c’è chi pensa che servano più muri ai confini

Sono le parole di Manfred Weber, il capo del principale partito europeo, quello dei popolari. Che pur di fronte a mille fronti aperti, da Dublino III al nuovo Piano per l’asilo, vede come unica soluzione quella alla Orbán: i muri

Author: Wired

La risposta europea all’immigrazione, dopo decenni di quella che chiamano emergenza ma non è mai stata tale, si riduce a questo: se servirà, costruire muri ai confini esterni dell’Unione. Così la pensa Manfred Weber, capo del Partito popolare europeo, il più rappresentato nel Parlamento europeo con 176 seggi ed espressione della presidente della Commissione Ursula von der Leyen. In un’intervista al Corriere della Sera Weber si schiera, senza sorprese ma con molte banalità, al fianco del governo di Giorgia Meloni: “Il Ppe pensa che l’Ue debba finanziare queste recinzioni perché non si tratta di proteggere i confini nazionali ma quelli europei”. La federazione dei principali partiti conservatori europei si schiera ufficialmente a favore della costruzione di barriere fisiche con i nostri soldi in modo forse più esplicito di quanto mai fatto prima d’ora.

Abbiamo sul tavolo questioni storicamente irrisolte, dal regolamento di Dublino – noto come Dublino III, approvato nel 2013 e mai riformato nonostante ogni tentativo – al nuovo Patto immigrazione e asilo, pure non perfetto e assai punitivo nei confronti di chi si sposta per le più diverse necessità, e che non si sa se potrà essere approvato entro la legislatura che si concluderà il prossimo anno. Eppure per Weber e per le destre europee la priorità è trasformare l’Unione in una piccola Ungheria, con barriere, fossati e fili spinati. Fa sempre effetto sentire dipingere questo tipo di pseudo-soluzioni, tanto lo spessore della risposta è sottile e inadeguato: affrontare una dinamica strutturale ed epocale come quella delle migrazioni internazionali, a cui si stanno aggiungendo in questi anni quelle per ragioni climatiche, con i piccoli strumenti della ferramenta sovranista.

L’argomentazione di Weber punta sul lapalissiano: visto che di strutture del genere già ce ne sono in tutto il continente, ma sono decise e costruite dai governi spesso anche socialisti, perché non gettare la maschera e metterli in piedi su base sistematica e con finanziamenti provenienti dal budget europeo? Tutto questo, ovviamente, senza dare nessuna risposta su un sostegno concreto allo sgangherato sistema d’accoglienza dei paesi più sotto pressione come l’Italia, sull’organizzazione di missioni di soccorso e salvataggio nel Mediterraneo centrale finanziate dall’Unione, su un’accelerazione alle riforme normative che occorrono per rendere ad esempio i meccanismi di redistribuzione obbligatori e non volontari.

I muri dovrebbero essere un’eccezione, l’ultima risposta – dice Weber – ma se non è possibile fermare in un altro modo l’immigrazione clandestina, allora bisogna anche essere pronti a costruire le recinzioni. Tutti i paesi con un confine esterno ne stanno erigendo: la Grecia con la Turchia, la Polonia e la Lituania con la Bielorussia, la Finlandia con la Russia quando ancora il governo era socialista, la Spagna a Ceuta e Melilla”. La questione dell’immigrazione viene dunque trasformata in un grimaldello politico, in pieno stile meloniano: Weber cerca di mettere le sinistre all’angolo: “Liberali socialisti e verdi [devono] spiegare perché costruiscono recinzioni a livello nazionale ma al Parlamento Ue votano contro e questo per me non è serio”.

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