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Il caporalato in Italia sfrutta 230mila lavoratori

Author: Wired

Il caso di Satnam Singh, 31enne bracciante di origini indiane della provincia di Latina morto dopo aver perso un braccio in un incidente sul lavoro, ha riacceso il dibattito sul caporalato in Italia. Come riporta Il Sole 24 Ore, nel nostro paese sono infatti quasi 230mila le persone che lavorano nelle campagne e che non sono titolari di contratti regolari di lavoro e, di conseguenza, di diritti correlati. Di questi, 55mila sono donne e il 30% è costituito da cittadini italiani o dell’Unione europea.

A conferma di questi dati, che coincidono con quelli dell’Istat, ci sono anche quelli dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, la sigla sindacale che segue il settore agricolo, che da anni si occupano di monitorare il caporalato e le agromafie nella penisola, e che sottolineano come oltre il 25% dei braccianti in Italia lavori in nero.

Paghe da fame

Come conferma il presidente dell’osservatorio Jean-René Bilongo, le paghe per i lavoratori a nero sono miserrime, “in media – racconta – 20 euro al giorno per una giornata di lavoro che va dalle 10 alle 14 ore”. C’è però anche “chi ne prende solo 10 di euro oppure nemmeno uno, a cui viene data dell’acqua, un panino e poi basta. E le donne vengono pagate il 20-30% in meno degli uomini”.

Tutto questo porta un giro d’affari difficilmente quantificabile, tanto che “anni fa – spiega ancora Bilongo – avevamo tentato un calcolo, ma non eravamo arrivati a niente”. È invece facile immaginare che l’evasione contributiva nel settore agricoltura possa essere “compresa – aggiunge – tra i 700 e 900 milioni di euro. In questa stima però non rientrano tutti gli anelli della filiera agroalimentare ma solo il primo, per questo sembra così bassa“.

Tornando al caso Singh, l’Agro pontino e la provincia di Latina risultano tra le aree nelle quali lo sfruttamento dei braccianti è più diffuso. La cronaca del 20 giugno, con sette arresti fra le province di Caserta e Napoli per intermediazione illecita di lavoratori di origine esterne all’Unione europea pagati due euro all’ora, restituiscono un radicamento di questa pratica che travalica i confini regionali. Il fenomeno è nazionale, e tocca la Capitanata foggiana come le campagne piemontesi di Saluzzo, il Ragusano e il Metapontino, il Fucino abruzzese e il Veneto. Oltre la metà delle 405 aree di caporalato diffuso censite dall’osservatorio presieduto da Bilongo è nel nord Italia.

Dopo la morte di Singh, Flai, Fai e Uila hanno chiesto la convocazione urgente di un tavolo tecnico ai ministri dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e del Lavoro, Marina Calderone, prontamente concesso il 21 giugno, chiedendo peraltro l’utilizzo dei 200 milioni previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il superamento dei ghetti, rifiutato in passato da alcuni comuni italiani.

Author: Wired

Il caso di Satnam Singh, 31enne bracciante di origini indiane della provincia di Latina morto dopo aver perso un braccio in un incidente sul lavoro, ha riacceso il dibattito sul caporalato in Italia. Come riporta Il Sole 24 Ore, nel nostro paese sono infatti quasi 230mila le persone che lavorano nelle campagne e che non sono titolari di contratti regolari di lavoro e, di conseguenza, di diritti correlati. Di questi, 55mila sono donne e il 30% è costituito da cittadini italiani o dell’Unione europea.

A conferma di questi dati, che coincidono con quelli dell’Istat, ci sono anche quelli dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, la sigla sindacale che segue il settore agricolo, che da anni si occupano di monitorare il caporalato e le agromafie nella penisola, e che sottolineano come oltre il 25% dei braccianti in Italia lavori in nero.

Paghe da fame

Come conferma il presidente dell’osservatorio Jean-René Bilongo, le paghe per i lavoratori a nero sono miserrime, “in media – racconta – 20 euro al giorno per una giornata di lavoro che va dalle 10 alle 14 ore”. C’è però anche “chi ne prende solo 10 di euro oppure nemmeno uno, a cui viene data dell’acqua, un panino e poi basta. E le donne vengono pagate il 20-30% in meno degli uomini”.

Tutto questo porta un giro d’affari difficilmente quantificabile, tanto che “anni fa – spiega ancora Bilongo – avevamo tentato un calcolo, ma non eravamo arrivati a niente”. È invece facile immaginare che l’evasione contributiva nel settore agricoltura possa essere “compresa – aggiunge – tra i 700 e 900 milioni di euro. In questa stima però non rientrano tutti gli anelli della filiera agroalimentare ma solo il primo, per questo sembra così bassa“.

Tornando al caso Singh, l’Agro pontino e la provincia di Latina risultano tra le aree nelle quali lo sfruttamento dei braccianti è più diffuso. La cronaca del 20 giugno, con sette arresti fra le province di Caserta e Napoli per intermediazione illecita di lavoratori di origine esterne all’Unione europea pagati due euro all’ora, restituiscono un radicamento di questa pratica che travalica i confini regionali. Il fenomeno è nazionale, e tocca la Capitanata foggiana come le campagne piemontesi di Saluzzo, il Ragusano e il Metapontino, il Fucino abruzzese e il Veneto. Oltre la metà delle 405 aree di caporalato diffuso censite dall’osservatorio presieduto da Bilongo è nel nord Italia.

Dopo la morte di Singh, Flai, Fai e Uila hanno chiesto la convocazione urgente di un tavolo tecnico ai ministri dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e del Lavoro, Marina Calderone, prontamente concesso il 21 giugno, chiedendo peraltro l’utilizzo dei 200 milioni previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il superamento dei ghetti, rifiutato in passato da alcuni comuni italiani.

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