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Setup e Angoli di Gann: FTSE MIB INDEX 13 Agosto 2018

Setup e Angoli di GannFTSE MIB INDEX

Setup Annuale:ultimi:2016/2017 (range 15017/23133 ) ) [ uscita rialzista ]prossimo 2019/2020

Setup Mensile:ultimo Maggio (range 21122 / 24544 ) [ uscita ribassista ]prossimi Luglio/Agosto

Setup Settimanale:ultimi: 6/10Agosto ( range 20967 / 21950 + event. est. ) [ in attesa ]prossimi 20/24 Agosto comit

Setup Giornalieroultimo : 8 agosto (range 21580 / 21950 comp est. ) [ uscita ribassista ]prossimi 13,14

FTSEMIB Angoli Annuali 2018 18440, 19900, 21840,24580, 27300ALLSHARE Angoli Annuali 2018 19490, 20640, 22550, 25630, 27140, 28830,COMIT Angoli Annuali 2018 1076, 1151, 1187, 1367, 1445, 1460,1606

Angoli Mensili Agosto 19570, 20,460, 21640,21820 22640, ,23010Angoli Settimanali: 20590, 20960, 21560, 21800, 22120Angoli Giornalieri 20796, 20934,21010,21092, 21172,22216, 21344,21408

ing giorn

I commenti giornalieri sull’articolo riguardante i Setup e gli Angoli di Gann saranno sempre disabilitati e continueranno sempre nell’articolo unico settimanale

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CROLLA L’EURO: LIRA TURCA MAMMA LI TURCHI!

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Prima la buona notizia per tutti coloro che credono nel nostro viaggio, nelle nostre visioni…

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Noi nell’ultimo manoscritto di Machiavelli ve lo avevamo preannunciato, il dollar index ha rotto il triangolo di prosecuzione in corso…

La BCE è molto preoccupata, per l’esposizione delle banche europee alla lira turca, poi durante la giornata uscirà il solito comunicato per ridimensionare la questione.

Qualche problemino pure per Unicredit, ma il peggio è in arrivo per la banche spagnole e francesi…

The Euro has spiked lower towards the end of the Asian session, as the European Central Bank is said to be concerned about European banks exposure to Turkish Lira denominated assets.#Contagionrisk #ECB #Volatility pic.twitter.com/yzYxOBDtMi

— IGSquawk (@IGSquawk) August 10, 2018

In effetti il collasso della lira turca è davvero spettacolare, leggendario e pensare che c’è chi ti fa le pulci per avere qualche dollaro nel portafoglio, beata ignoranza!

La Spagna e la Francia hanno un’esposizione “invidiabile” nei confronti della Turchia, ma si sa, tanto ci pensano le banche centrali e quei fessi dei contribuenti se salta qualche altra banchetta…

Noi insieme a Machiavelli all’inizio dell’anno abbiamo suggerito di stare alla larga dai Paesi emergenti, mentre mezzo mondo suggeriva ai propri clienti di investire, investire e ancora investire solo in quell’area.

UPDATE: ore 13.40 via Repubblica…

Preoccupa poi che i creditori locali non si siano protetti dalle oscillazioni valutarie e siano in difficoltà dal restituire i prestiti in divisa estera che hanno sottoscritto e valgono ben il 40% delle esposizioni del mondo bancario turco.

Nonostante i crediti deteriorati siano solo al 3% dei prestiti, Moody’s paventa che questa cifra salirà con l’aumentare della pressione economica. WisdomTree notava pochi giorni fa che l’economia turca rimane vulnerabile, “in quanto il suo disavanzo delle partite correnti è il più elevato tra i mercati emergenti e i livelli di inflazione sono quasi tre volte superiori all’obiettivo della banca centrale”. Inoltre le società hanno 337 miliardi di dollari di passività in valuta, con un deficit di 217,3 miliardi netti rispetto agli asset. E le banche sono esposte a costi di finanziamento più elevati in quanto si prevede che il debito di quasi 100 miliardi di dollari vada a scadenza nell’arco di un anno. Gli osservatori internazionali sono poi preoccupati per come il potere politico si estende sulla Banca centrale, rea ad esempio di non aver dato corso a una stretta monetaria che poteva calmare un poco i prezzi

Ma facciamo una pausa e vediamo cosa è successo ieri…

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Chi ci conosce sa cosa pensiamo di Bill Gross, da anni ormai non ne indovina una, semplicemente perché si intestardisce come tanti a considerare concluso il ciclo dei bond, il mercato toro dei bond…

BONDS: LA FINE DEL MERCATO TORO SECOLARE!

Loro non hanno la più pallida idea di cosa è una deflazione da debiti, studiano poco o nulla la storia, Gross è anni che scommette sulla fine del mercato obbligazionario, Gundlach ne sta seguendo l’esempio, l’ultimo genio è Jamie Dimon.

“I think the sort of underperformance we’re seeing is challenging and disappointing to [Bill Gross] more than any of us,” says Dick Weil, CEO at Janus Henderson ▶️ https://t.co/NV6J5WyvRP pic.twitter.com/YNcGpWja9G

— Bloomberg (@business) August 9, 2018

(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) – New York, 09 ago – Bill Gross si e’ conquistato negli anni il soprannome di ‘re dei bond’. Eppure colui che nel settembre 2014 sorprese tutti lasciando la sua Pimco per passare alla rivale piu’ piccola Janus Henderson non sembra piu’ meritarsi un simile soprannome. Almeno per Richard Weil, il Ceo dell’azienda per cui Gross lavora. Parlando ai microfoni di Cnbc, quest’ultimo ha detto che il guru del mercato obbligazionario quest’anno “non ha fatto altro che sbagliarsi” e che lo stesso Gross ha ammesso “di avere fatto qualche brutta scommessa”. Il Janus Henderson Global Unconstrained Bond Fund gestito da Gross ha perso il 7% da inizio anno e – stando a Bloomberg – il mese scorso ha sofferto riscatti per 200 milioni di dollari, portando il valore totale degli asset in gestione a 1,25 miliardi dai 2,24 miliardi di febbraio. (…)Il 29 maggio il fondo di Gross perse oltre il 3%, un record, colpa della crisi politica italiana.

Tutti sbagliano, anche noi il timing, ma ciò che conta è il medio e lungo termine, la sicurezza dell’investimento, la strategia conta più di ogni altra considerazione, noi abbiamo intrapreso una rotta e non intendiamo cambiarla per nessuna ragione.

Dopo più di nove anni, l’ultimo precedente risale al giugno del 2006, nel 2015 la Federal Reserve  rialza i tassi d’interesse dello 0,25% finisce quindi, l’era del denaro a costo zero, durata esattamente 7 anni.

I rendimenti trentennali in America erano intorno al 3 % prima che la Fed iniziasse ad alzare i tassi, SETTE AUMENTI e  il trentennale è ancora li.

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Ieri altre buone notizie, oggi mentre scriviamo, siamo di nuovo a 144…

Nel frattempo i prezzi alla produzione frenano decisamente in America…

US producer price index unchanged in July, vs 0.2% increase expected https://t.co/oMAZw6mWK8

— CNBC Now (@CNBCnow) August 9, 2018

“BREAKING: US Producer Price Inflation slows from its #CyclePeak, 10yr Yield falls, Bond Bears retreat.” @KeithMcCullough pic.twitter.com/XMsYnvawdd

— Hedgeye (@Hedgeye) August 9, 2018

Wholesale Sales Slump In June https://t.co/iRDQNVv26d

— zerohedge (@zerohedge) August 9, 2018

Ma soprattutto viene rivisto al ribasso il dato sull’accumulo di inventari del mese precedente, dopo un trimestre spettacolare per i consumi, ci sarà da ridere per gli inventari che tutti vedono come sostegno per il dato del terzo trimestre.

Tornando al dollaro e alla lira turca, George Magnus sul NIkkei Asian Revie, scrive che la guerra commerciale potrebbe innescare uno shoc valutario nei mercati asiatici…

Quando la crisi finanziaria asiatica si è verificata 20 anni fa, molte nazioni dell’Asia orientale e del Sud-Est hanno ceduto perché stavano seguendo politiche economiche e finanziarie interne ed internazionali incoerenti. Ma un fattore scatenante è stato il calo del 50% dello yen giapponese rispetto al dollaro tra la fine del 1995 e l’estate del 1998 , durante la corsa del mercato azionario americano che è durato fino al 2002.

(…)  e il dollaro è di nuovo in rialzo, grazie a una forte economia e tensioni tra le sue politiche fiscali e monetarie. I più alti tassi di interesse statunitensi e un dollaro più forte stanno già aumentando i costi degli interessi del debito per i mutuatari asiatici, ma questa volta il calo dello yuan cinese appare come  causa immediata di problemi.

La vulnerabilità dell’Asia agli sviluppi nei mercati finanziari statunitensi è stata ampiamente riconosciuta. È vero che a differenza della crisi finanziaria asiatica del 1997-1998, la maggior parte dei paesi della regione ha riserve di valuta estera più forti. Sono posizionati meglio se misurati rispetto a indicatori importanti come importazioni, debito a breve termine e indebitamento estero.

Ma mentre la sensibilità agli shock è inferiore a 20 anni fa, non c’è motivo di autocompiacimento. E c’è ancora un potenziale spoiler, lo yuan, che ora è sotto pressione, al ribasso, ma che era un agente calmierante nell’ultima crisi asiatica.

La sintesi la trovate qui sotto…

L’Asia dovrebbe prestare molta attenzione alla banca centrale cinese nelle prossime settimane, e allo stesso modo, al quadro più ampio in cui potrebbe verificarsi un ulteriore deprezzamento dello yuan, indipendentemente da come la Cina scelga di gestirlo. Tutto ciò significa che i responsabili politici, regionali e non, dovrebbero essere pronti a consentire una combinazione di risposte, dal deprezzamento della valuta locale alle misure monetarie e fiscali, per affrontare le conseguenze.

Con tutto il resto che ben conoscete sullo sfondo, ovviamente va tutto bene, ridicolo che solo ora al Banca centrale europea si mostri preoccupata per l’andamento della lira turca, la tendenza era chiara da tempo, ma si sa, interrompere l’orchestra mentre i mercati ballano, sarebbe pericoloso, qualcuno potrebbe accorgersi che non ci sono abbastanza scialuppe!

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Test ai supporti per Ftse Mib, Eurostoxx e Dax

Lo so che posso sembrare ripetitivo ma la finanza ed i mercati non si stravolgono ogni giorno e

Seduta con partenza in calo per tutta l’Europa in vista della settimana di Ferragosto. I principali

Prima la buona notizia per tutti coloro che credono nel nostro viaggio, nelle nostre visioni…

DISCLAIMER : Qualsiasi informazione, notizia, nozione, previsione, valore, prezzo o tec

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E siamo di nuovo qui a parlare di Poste Italiane. Non prendetela come una guerra personale nei

Presto gli auricolari potrebbero cadere in disuso. Ascoltare la musica, parlare al telefono, ma non

Grazie alla crisi di credibilità politica, il nostro debito pubblico è salito sulle montagne r

Grazie alla crisi di credibilità politica, il nostro debito pubblico è salito sulle montagne r

Due giorni fa si saliva, oggi si scende. Ma il Ftse Mib non fa semplicemente altro che oscillare nel

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Examining the US debt and taxes


US debt may be getting out of hand, but is the future still looking bright? Jeffrey Small has the answer. Donald Williamson from American University joined Bart Chilton to discuss taxes. Antar Davidson gives us an update on the migrant detention centers in Arizona while Natasha Sweete covers the raging forest fires out West. All this and more on Boom Bust! [1131] Follow us on Twitter:
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TRADE WAR PAIN: ma la Cina teme la guerra commerciale?

Le slides qui sopra parlano chiaro. Se chiediamo a specialisti del settore qual’è il vero rischio sistemico per i prossimi anni, direi che non ci sono dubbi.

Neo protezionismo.

Timore che, come potete vedere, è lievitato a dismisura. E la vittima numero UNO del neo protezionismo di Donald Trump è la Cina, il Celeste Impero che rischia quindi di subire una frenata importante a livello di crescita economica. O per lo meno questo è quanto tutti ci dicono. Ho trovato però interessante il punto di vista di un operatore che è il responsabile per la società Neuberger Berman per il mercato cinese, al secolo Bin Yu.

In Europa e Nord America si fanno sempre più insistenti le voci di un’imminente guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Donald Trump ha pubblicamente minacciato l’imposizione di dazi che potrebbero gravare su tutto l’export cinese destinato al mercato americano, pari ad una cifra di circa 500 miliardi di dollari l’anno, e settimana scorsa ha proposto un aumento delle tariffe su ben 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi.

Qui a Pechino, l’atmosfera è differente. I dazi non suscitano grandi preoccupazioni in Cina. Sia il governo che la comunità imprenditoriale si stanno chiedendo se valga la pena adottare ritorsioni in caso di ulteriori dazi da parte degli Stati Uniti.

Qui, sono tutti consapevoli che, nel caso di una guerra commerciale, entrambe le parti perderebbero, come dal canto suggeriscono i libri di testo, e che i dazi imposti sia dalla Cina sia dagli Stati Uniti graveranno più sulle loro società e consumatori nazionali, piuttosto che su quelle dell’altro Paese ma, a risentirne di più, saranno le società e i consumatori statunitensi.

Devo dire la verità, fino a qui il signor Yu dice esattamente quello che penso e che ho già scritto più volte. A pagare dazio saranno proprio i consumatori. Ma ora c’è la parte più interessante.

Potrebbe sembrare contro intuitivo. Gli Stati Uniti esportano ogni anno beni in Cina per soli 130 miliardi di dollari. Ma allora, è proprio vero, come sostiene uno dei più aggressivi consulenti della Casa Bianca, che nel caso di una guerra sui dazi sarebbe soprattutto la Cina a rimetterci?

Non proprio. Intanto è riduttivo descrivere il rapporto economico tra i due Paesi utilizzando come unico parametro la bilancia commerciale. Questo dato non da molte informazioni su dove vengano iscritti a bilancio ricavi e utili, in particolare se i Paesi in questione sono la Cina e gli Stati Uniti.

Bilancia commerciale: Cina vs USA

Quanti marchi cinesi è in grado di citare un consumatore medio statunitense? Non molti. E un motivo c’è. I 500 miliardi di merci spedite dalla Cina verso gli Stati Uniti non sono rappresentati dai 10 milioni di smartphone Huawei. È vero che un certo numero di società cinesi, ad esempio i produttori di elettrodomestici, generano il 10-15% degli utili grazie ai consumatori americani. Tuttavia, la maggior parte degli analisti stima che solamente il 5% dei ricavi delle società quotate in borsa in Cina sia imputabile agli Stati Uniti. Inoltre, le società cinesi su cui si concentrano gli investitori azionari, quali Alibaba o Tencent o le banche cinesi, spesso non hanno alcuna esposizione diretta.

La verità è un’altra: la maggior parte di quei 500 miliardi di dollari di beni importati viene prodotta da società statunitensi in Cina per i consumatori americani. Apple, da sola, importa ogni anno dalla Cina hardware per 50 miliardi di dollari. Gran parte del resto sono componenti elettronici e meccanici fabbricati da società taiwanesi, coreane o europee per le aziende statunitensi.

In breve, se si considerano gli utili, anziché la bilancia commerciale, sembra che le società cinesi abbiano meno bisogno degli Stati Uniti di quanto le società statunitensi abbiano bisogno della Cina.

Ed è questo un punto molto importante. E ci spiega cosa vuole fare Trump: far rientrare la produzione di delle aziende USA che producono all’estero. Però è anche vero che, se tali aziende rientrassero negli USA, per la forza lavoro cinese sarebbe un problema, non vi pare?

Inoltre, chiunque viva, lavori e faccia acquisti in Cina, sa che i dazi non sono l’unica minaccia per le società statunitensi. Queste aziende hanno investito ingenti somme di denaro e tempo nel costruire marchi solidi per il mercato al consumo cinese. Ora, i loro piani strategici di sviluppo sono a rischio, sia a causa degli interventismo del governo, sia, soprattutto, a causa della fiducia dei consumatori. Ancora una volta pensiamo ad Apple, che genera più del 25% dei propri utili (18 miliardi di dollari l’anno) in Cina.

Ecco, questo è condivisibile e ci fa capire che gli USA non sono per forza il “centro del mondo”. Anche per le stesse aziende USA.

Nel corso delle passate controversie internazionali, i consumatori cinesi hanno espresso la propria opinione spendendo diversamente i propri soldi per beni di lusso e lo hanno fatto senza alcun esplicito incoraggiamento ufficiale. Quando nel 2012 Cina e Giappone si contesero la sovranità di alcune isole nel Mar Cinese Orientale, le vendite di auto giapponesi in Cina (prodotte per la maggior parte in loco) precipitarono del 50% circa. L’anno scorso le case automobilistiche coreane subirono un colpo analogo quando scoppiò la controversia sule installazioni antimissilistiche. Stessa sorte sia per i prodotti di largo consumo prodotti in Giappone e Corea (ad esempio prodotti per la casa e cosmetici) che registrarono una significativa, ancorché ridotta, flessione delle vendite, sia per i flussi turistici verso quei due Paesi. Queste flessioni, causate dal flusso di notizie, ci misero dai due a quattro trimestri per ristabilizzarsi.

Questo ci insegna che l’eventualità che i consumatori cinesi scelgano una Volkswagen piuttosto che una Buick, Chevrolet o Focus costituisce un rischio concreto per società come General Motors e Ford. Anche aziende come Nike o Starbucks, che generano rispettivamente il 24% e il 15% dei propri utili in Cina, potrebbero registrare una battuta d’arresto.

Non sottovalutate mai la mentalità cinese. Sono delle macchine e se arriva dall’alto un input commerciale, state pur certi che una casa automobilistica collassa a livello di vendite in Cina.

Dal punto di vista cinese, anche se alcuni prodotti statunitensi sono facilmente sostituibili (ad esempio le materie prime agricole), la maggior parte di quei 130 miliardi di dollari in importazioni dagli Stati Uniti è costituita da prodotti competitivi e di alta qualità che sono difficili da rimpiazzare (ad esempio componenti per aeromobili e semiconduttori). Il governo cinese è consapevole del fatto che imponendo dazi su queste merci recherebbe danno solo alle aziende e ai consumatori nazionali. Questa tesi e il fatto che i dazi statunitensi non arrecano alcun danno diretto alle società cinesi sono gli argomenti che alimentano il dibattito interno sull’opportunità di eventuali ritorsioni.

Chiaramente gli orientamenti politici di un Paese possono prevalere sui suoi interessi economici. Se da un lato le aziende statunitensi sono direttamente più vulnerabili all’imposizione di dazi rispetto alle aziende cinesi, un’imposta del 10% su ciascun dollaro di importazioni dalla Cina avrebbe un impatto negativo considerevole sull’economia globale e sulla fiducia degli investitori, che danneggerebbe non solo la Cina, ma chiunque altro. E allo stato attuale, una simile prospettiva non è completamente da escludere. Ciò nonostante, guardando i dazi imposti finora e l’elenco sempre più lungo di esenzioni e sussidi, si direbbe che, ad oggi, prevalga la tutela degli interessi personali.

Nel lungo termine, la progressiva affermazione dell’economia cinese come principale concorrente agli Stati Uniti rappresenta una sfida strategica indipendente da Trump e che continuerà oltre il suo mandato. Come hanno già fatto da inizio anno ad oggi, quando sui dazi sono volate parole grosse, le società cinesi continueranno a tenere lo stesso approccio commerciale e pragmatico. [Source]

La partita è aperta e probabilmente è meno unidirezionale a livello di benefici di quanto stavamo pensando. Il tempo ci dirà e lo stesso Trump toccherà con mano.

Time is gentlemen.

Ed io resto convinto che, quanto l’economia USA inizierà a dare segni di debolezza per colpa dei Dazi, il buon Trump correrà subito ai ripari convocando magari un WTO d’emergenza al fine di trovare degli accordi e mettere un po’ di ordine.

STAY TUNED!

Danilo DT

(Clicca qui per ulteriori dettagli)
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