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Energia

In UK il 1° impianto di stoccaggio criogenico su larga scala

Author: stefania Rinnovabili

stoccaggio criogenico

Credit: Highview Power

Sarà allacciato alla rete elettrica inglese un impianto di stoccaggio criogenico da 50 MW

(Rinnovabili.it) – Il Regno Unito si prepara ad inaugurare il suo primo impianto di stoccaggio criogenico su larga scala. Anticipando molti degli Stati europei oggi interessati alla tecnologia dell’aria “liquida” come opzione d’energy storage, l’UK si candida così a divenire Paese modello delle nuove “criobatterie”. Il progetto, infatti, grazie ad una taglia da 50 MW/250 MWh, sarà a  regime il più grande di questo tipo in Europa. L’iniziativa porta la firma della londinese Highview Power e verrà realizzata in una vecchia centrale termoelettrica ormai dismessa, nel nord dell’Inghilterra. Qui grandi serbatoi in metallo e completamente isolati, conserveranno aria liquida, ossia miscele di ossigeno e azoto raffreddate a meno 196°C attraverso l’uso dell’energia elettricità rinnovabile.

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Il funzionamento dello stoccaggio criogenico è semplice: quando l’offerta di energia elettrica supera la domanda della rete, il surplus viene impiegato per comprimere e raffreddare aria fino a farla liquefare. L’aria liquida rimane sotto isolamento fino a che la domanda non si rialza; quindi è ritrasformata in gas attraverso, ad esempio, calore di scarto di bassa qualità, e l’aumento di volume e pressione che ne consegue è utilizzato per azionare una turbina elettrica.

Il sistema si basa su una tecnologia collaudata (la stessa impiegata per produrre il GNL), utilizzata in sicurezza in molti processi industriali e non richiede elementi particolarmente rari o componenti costosi per la produzione. Ma soprattutto permette di accumulare energia per settimane. Sperimentazioni in questo settore non mancano ma il nuovo impianto di Highview Power sarà il primo ad essere collegato in rete: in questo modo aiuterà National Grid a gestire le quote di fer non programmabili, aumentando la flessibilità della struttura elettrica. Inoltre, spiega Highview Power, il sistema fornirà servizi ausiliari come la gestione della frequenza e dei vincoli di rete.

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“Sempre più centrali elettriche verranno ritirate dal mercato: noi stiamo offrendo una soluzione che può utilizzare la stessa infrastruttura energetica e le stesse connessioni di rete per dare nuova vita a questi siti”, ha affermato Javier Cavada, ceo di Highview Power. Secondo Cavada la criobatteria da 200 MW potrebbe immagazzinare elettricità ad un costo di 110 sterline per MWh, prezzo che la renderebbe una delle tecnologie di accumulo dell’energia più economiche. A marzo l’azienda ha rivelato i piani per collaborare con lo specialista spagnolo TSK: insieme realizzeranno sistemi di stoccaggio criogenico su scala gigawatt in Spagna, Medio Oriente e Sudafrica.

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Energia

Le pale eoliche, un po’ di verità sul presunto killer degli uccelli


Author: Leonardo Berlen QualEnergia.it

Uno studio affina la ricerca dell’impatto dell’energia eolica sull’avifauna. Ne emergono dati molto interessanti e qualche soluzione.

Quando cominciò a diffondersi l’energia eolica, su quella fonte piovvero accuse di ogni tipo, alcune discutibili, ma non infondate, come quella di impattare sul paesaggio, e altre più surreali, come quella di far impazzire il bestiame, per il continuo movimento delle pale.

Pian piano nel mondo le comunità (un po’ meno in Italia…) sembrano aver imparato ad accettare di convivere con le torri eoliche, anche nell’ottica del “male minore”: un rimedio magari invadente, ma necessario per tentare di evitare il disastro climatico.

C’è però una critica che è rimasta appiccicata alla fonte eolica, e che fa particolarmente male a chi la difende, essendo spesso esso stesso un ambientalista: quella di essere un “killer di uccelli”, uccidendone a frotte per le collisioni contro le loro pale.

A molti sembra impossibile che un agilissimo volatile, in genere dotato di vista acuta, cozzi contro una gigantesca turbina eolica, le cui pale sembrano muoversi così lentamente: in realtà nelle turbine più grandi, la circonferenza percorsa ad ogni giro è così lunga, che la punta della pala si muove a 80 metri al secondo, 280 km/h, potendo così sorprendere anche l’uccello più veloce.

«Inoltre – aggiunge Marco Dinetti, ecologo urbano della Lega italiana protezione uccelli (Lipu) – le torri e le pale eoliche sono dipinte di bianco: nelle mattinate di nebbia, può quindi accadere che un uccello ci sbatta contro anche se sono ferme, non distinguendole in tempo. Per ridurre questo effetto, basterebbe marcare le turbine con qualche colore vivace, per renderle più visibili».

Insomma sì, è vero, le turbine eoliche uccidono gli uccelli (e i pipistrelli, che sono così delicati che basta la variazione di pressione atmosferica provocata dal movimento della pala, per danneggiargli i polmoni).

Il punto, però, è quanti ne uccidono? Sono così “assassine” che i benefici ambientali che portano, riducendo il cambiamento climatico, non compensano la strage? Oppure gli uccelli caduti sotto le torri eoliche sono un prezzo accettabile da pagare?

La risposta non è semplice, anche perché dipende da tanti fattori, come altezza e grandezza delle turbine, l’area dove sono messe (per esempio lungo una rotta di migrazione) e l’abbondanza di volatili nell’area.

«In ogni caso a minacciare gli uccelli non ci sono solo le turbine eoliche dice Dinetti – ma l’uomo ha disseminato l’ambiente di “trappole involontarie” incredibilmente efficaci nell’uccidere volatili: per esempio le linee elettriche, le strade, che spesso gli uccelli attraversano a bassa quota per prendere insetti e roditori rifugiatisi nella vegetazione sui bordi, e gli stessi edifici, soprattutto quelli con grandi vetrate».

Nel 2015 il biologo Scott Loss, della Oklahoma State University, stimò che le turbine eoliche ammazzassero negli Usa ben 570mila uccelli selvatici l’anno. Una strage spaventosa?

No, se si considera che le linee elettriche ne ammazzerebbero 23 milioni, 200 milioni i veicoli e ben 600 milioni le finestre degli edifici, soprattutto quelle dei grattacieli di città poste sulle rotte migratorie, come Chicago. E poi si può aggiungere che i soli gatti ne ammazzerebbero 1,3 miliardi l’anno, di cui 221 milioni fatti fuori dai tranquilli mici di casa.

Insomma già quella ricerca relativizzò molto il ruolo di killer dei volatili delle pale eoliche.

Adesso però un altro studio (allegato in basso), condotto su dati molto più dettagliati, avvicina ancora di più l’assoluzione dell’energia del vento, come fattore di distruzione della fauna selvatica.

L’autore è Ruiqing Miao che, con colleghi del dipartimento di economia agricola della Auburn University, Auburn (Alabama), ha incrociato i dati di costruzione delle 49mila turbine eoliche onshore presenti negli Usa a fine 2014, con quelli di abbondanza di uccelli selvatici nelle stesse aree, rilevati da biologi e ornitologi.

Inserendo tutto in un complesso modello matematico, i ricercatori sono stati in grado di stimare non solo quale effetto avesse l’arrivo della turbina in una certa area sulla fauna aviaria, ma quale tipo di impianto sia più letale e a quale distanza il suo effetto svanisca.

«Abbiamo concluso che ogni turbina installata nel paese, comporti la morte ogni anno di un numero di uccelli adulti compresi fra uno e tre, a secondo delle zone considerate», dice Miao. «Prendendo per buono il dato peggiore, si arriva ogni anno all’uccisione di circa 150mila uccelli da parte delle turbine eoliche, cioè molto meno di quanto ipotizzato da Loss».

Ma la ricerca ha scoperto anche altre cose sorprendenti.

«Alcune specie di uccello, soprattutto quelle che nidificano nell’erba delle praterie, sembrano addirittura beneficiare della presenza delle turbine eoliche, con un lieve aumento della loro numerosità, quando queste vengono installate. Questo potrebbe dipendere dal fatto che quegli impianti tengono alla larga, come giganteschi spaventapasseri, i predatori di quegli uccelli, soprattutto i rapaci».

E la ricerca di Miao e colleghi, svela anche molto su come si potrebbe ridurre ancora l’impatto di questa fonte energetica sull’avifauna.

«Si nota nei dati, che torri più alte riducono l’impatto sugli uccelli, mentre pale più lunghe lo aumentano. Alzare quindi le torri, senza aumentare la potenza delle turbine, già potrebbe diminuire le morti dei volatili. Inoltre, controllando l’impatto a varie distanze dagli impianti, si nota che l’effetto negativo sull’avifauna svanisce oltre i 1600 metri dall’ultima turbina».

Questo vuol dire che anche semplicemente creare “zone cuscinetto”, larghe circa 2 km, in cui evitare di installare pale eoliche, intorno alle aree più frequentate dagli uccelli, come paludi o rotte migratorie, potrebbe drasticamente ridurre il loro impatto mortale, rendendo questa fonte ancora più ambientalmente benefica di quanto lo sia già.

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Energia

Insetticidi dannosi per le api: l’Ue blocca il thiacloprid

Author: redattore2 Rinnovabili

insetticidi dannosi api

Foto di Nimrod Oren da Pixabay

La maggioranza degli Stati membri approva la proposta della Commissione europea contro uno degli insetticidi dannosi per le api, ancora impiegato sul mercato UE

(Rinnovabili.it) – “Si tratta di una buona notizia per i consumatori e per le api, dato che uno studio condotto dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha definito il thiacloprid come “presunto” tossico per il sistema riproduttivo, e non ha potuto escludere un possibile impatto sulle api a causa delle lacune nei dati disponibili”. Così Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, ha commentato la decisione presa ieri dai Paesi membri dell’Ue di non rinnovare l’autorizzazione all’insetticida thiacloprid, in scadenza alla fine dell’aprile 2020. La Commissione Ue, che aveva presentato la proposta di messa al bando ai Ventisette, ha anticipato con un tweet che l’atto formale con cui verrà bloccata la licenza, sarà adottato ufficialmente entro l’autunno.

>>Leggi anche L’Europa mette al bando i pesticidi neonicotinoidi che uccidono le api<<

Tra le molecole più frequentemente rilevate anche nel polline raccolto dalle api, il composto – ricorda Greenpeace – è annoverato tra gli insetticidi dannosi per le api e possiede un meccanismo d’azione simile a quello dei tre neonicotinoidi già banditi nell’Ue nell’aprile 2018. La decisione è una buona notizia, ma non basta: per evitare infatti che le sostanze vietate (thiacloprid compreso) vengano sostituite da nuove formulazioni chimiche ma altrettanto dannose, è indispensabile infatti applicare migliori standard di valutazione a tutti gli antiparassitari attualmente in commercio.

Per farlo, esisterebbero le linee guida dettate dall’EFSA 2013 ma mai entrate ufficialmente in vigore a livello europeo. La Commissione Ue fino allo scorso anno ha provato in più occasioni a ufficializzare questi standard, ma non si è mai raggiunto un numero sufficiente di Paesi membri a favore. Ciò ha portato la Commissione Ue a riformulare al ribasso la proposta di valutazione dei pesticidi, accettando strumenti inadatti ed incompleti, che tengono per esempio conto solo del rischio di tossicità acuta e non cronica. Lunedì la maggioranza degli europarlamentari della Commissione Ambiente del Parlamento Ue ha definito inaccettabile che gli Stati membri si oppongano alla piena attuazione delle linee guida dell’EFSA del 2013, mandando alla Commissione Ue un messaggio chiaro: il testo proposto “non rappresenta gli sviluppi più recenti delle conoscenze scientifiche e tecniche” e “non cambierebbe il livello di protezione già in essere”. Quali sono i Paesi membri che stanno ostacolando l’adozione degli standard migliorativi? “Voci di corridoio – conclude Ferrario – dicono che l’Italia sia fra questi. Ma, al momento, non ci sarebbero conferme, dato che le intenzioni di voto non sono ufficialmente state rese pubbliche”.  

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Batterie criogeniche per l’accumulo di lunga durata, primo vero impianto in UK


Author: Luca Re QualEnergia.it

Con tecnologia ad aria liquida da 50 MW/250 MWh sarà realizzato dall’azienda inglese Highview Power.

In Gran Bretagna si costruirà il primo impianto di taglia commerciale in grado di stoccare l’energia in enormi batterie criogeniche: l’annuncio è stato fatto da Highview Power, l’azienda inglese che ha sviluppato la tecnologia CRYOBattery, di cui esiste già un impianto-pilota da 5 MW/15 MWh in funzione dal 2018 nell’area di Manchester (vedi video di presentazione in basso).

Di cosa si tratta?

L’acronimo che definisce questa soluzione di accumulo energetico è LAES, Liquid Air Energy Storage, quindi parliamo di un sistema che utilizza l’aria liquida per immagazzinare/rilasciare energia.

La tecnologia LAES, in sintesi, usa l’elettricità in entrata per alimentare un apparato industriale di liquefazione che raffredda l’aria a -196 gradi centigradi facendola diventare liquida, in modo da poterla stoccare in serbatoi termoisolanti a bassa pressione, le batterie criogeniche.

E quando c’è bisogno di energia, ad esempio per coprire un picco dei consumi o per bilanciare qualche fluttuazione tra domanda/offerta sulla rete, l’impianto rilascia l’aria liquefatta contenuta nei serbatoi, facendola tornare allo stato gassoso con una tale espansione di volume (circa 700 volte) da poter attivare le turbine per la produzione di elettricità.

L’efficienza complessiva del sistema, secondo Highview Power, è del 60-75% ma può essere incrementata sfruttando l’energia termica di scarto.

Il progetto annunciato da Highview Power riguarda un impianto da 50 MW/250 MWh da realizzare nel nord dell’Inghilterra in una centrale termoelettrica in dismissione.

Così l’azienda inglese punta a sviluppare su una scala molto più ampia le sue batterie criogeniche; d’altronde, come spiega l’amministratore delegato di Highview Power, Javier Cavada, l’accumulo energetico di lunga durata e di grandi dimensioni è indispensabile per avvicinarsi il più possibile a un mix elettrico dominato dalle fonti rinnovabili intermittenti.

In tema di costi, l’azienda afferma che un sistema criogenico da 200 MW/2 GWh avrebbe un costo totale espresso in parametri LCOS (Levelized Cost of Storage) di circa 140 dollari per MWh.

Tra i punti di forza di questa tecnologia c’è soprattutto la possibilità di progettare unità di accumulo molto grandi, pressoché in qualsiasi area geografica (non ci sono, ad esempio, le limitazioni che contraddistinguono l’accumulo con pompaggio idroelettrico).

Inoltre, il sistema LAES impiega componenti derivati da altri processi/settori industriali, quindi l’affidabilità dell’intero “pacchetto” è particolarmente elevata e si parla di una vita utile intorno ai 30-40 anni.

L’obiettivo insomma è sviluppare una tecnologia per l’accumulo energetico di taglia gigante (giga-scale) per garantire forniture elettriche continue, stabili e sicure per molte più ore di quello che è consentito con le batterie al litio.

Al contempo, le batterie criogeniche potrebbero offrire diversi servizi alla rete elettrica, come il bilanciamento tra domanda-offerta, la regolazione di frequenza, la copertura dei picchi di domanda, rendendo sempre meno necessario l’utilizzo di grandi impianti a fonti fossili, non solo quelli a carbone (che già si sono praticamente azzerati in Gran Bretagna: vedi qui) ma anche quelli a gas.

Tra le sperimentazioni per nuove tecnologie di stoccaggio energetico “h24”, ricordiamo, ci sono quelle che sfruttano la gravità – vedi qui la soluzione ideata da Energy Vault per impilare blocchi di calcestruzzo con una gru e poi farli scendere a terra – e quelle che sfruttano i depositi ad aria compressa.