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Combustibili fossili: per anni l’industria ha inquinato l’informazione pubblica

Author: redattore2 Rinnovabili

L’industria dei combustibili fossili ha per decenni finanziato la “disinformazione climatica”

(Rinnovabili.it) – Oltre all’ambiente, l’industria dei combustibili fossili ha per anni inquinato anche l’informazione pubblica, concentrando i propri sforzi per nascondere le sue reali responsabilità verso i cambiamenti climatici.  A sostenerlo è il rapporto recentemente pubblicato e firmato da un gruppo di scienziati ricercatori presso le Università di Bristol (UK), George Mason (USA) e Harvard (USA). Intitolato “America misled: how the fossil fuel industry deliberately misled Americans about climate change” il rapporto, sintetizzando più di un decennio di ricerche “peer-reviewed”, mette in luce tecniche, strategie ed argomentazioni utilizzate dall’industria dei combustibili fossili per frenare l’azione sui cambiamenti climatici. 

Nel dettaglio, il rapporto si basa su 5 punti chiave: 

  1. I documenti aziendali interni mostrano come il comparto conosca da decenni i rischi connessi al cambiamento climatico causato dall’uomo. La sua risposta è stata quella di finanziare la disinformazione per sopprimere qualsiasi tipo di azione e proteggere in tal modo i propri interessi commerciali. 

  2. Man mano che il consenso scientifico sui cambiamenti climatici s’è rafforzato, l’industria e i suoi alleati politici si sono adoperati per creare e diffondere dubbi in proposito.
  3. L’industria dei combustibili fossili non ha fornito spiegazioni alternative coerenti sul perché il clima stesse cambiando: l’obiettivo era semplicemente quello di minare il sostegno all’azione.
  4. La strategia, la tattica, l’infrastruttura, gli argomenti retorici e le tecniche utilizzate dall’industria dei combustibili fossili per negare l’evidenza scientifica riguardo ai cambiamenti climatici – falsi esperti e teorie della cospirazione comprese – sono le stesse impiegate decenni prima dall’industria del tabacco per ritardare le leggi che ne hanno poi decretato il rischi per la salute. 
  5. Dati gli assunti di cui sopra, informare il pubblico si dimostra fondamentale anche per impedire simili campagne future attraverso l’uso di uguali tattiche fuorvianti.

“La disinformazione sui cambiamenti climatici ha uno scopo diretto: bloccare l’azione sui cambiamenti climatici. In America, ha ampiamente raggiunto il suo obbiettivo attraverso politiche attuate per mitigare i rischi e ritardarne per decenni la discussione”, ha detto il professor Stephan Lewandowsky, Cattedra di Psicologia cognitiva presso la School of Psychological Science e Cabot Institute for the Environment presso l’Università di Bristol.

“Per 60 anni – ha aggiunto Geoffrey Supran, ricercatore associato presso il Dipartimento di Storia della Scienza dell’Università di Harvard – l’industria dei combustibili fossili sapeva dei potenziali pericoli per il surriscaldamento globale connesso ai loro prodotti. Invece di avvertire il pubblico e di agire concretamente per arginare e fermare il problema, si sono voltati dall’altra parte, orchestrando una massiccia campagna di diniego progettata ad hoc per proteggere i propri interessi economici. Le prove sono incontrovertibili”.

Il prossimo mercoledì 23 ottobre, il Popolo dello Stato di New York affronterà la Exxon Mobil Corporation in tribunale. Il processo riguarda l’inquinamento delle informazioni riservate a Wall Street: il gigante degli idrocarburi è accusato in particolare di aver ingannato gli azionisti tenendo nascosti i costi necessari alle misure per la lotta al cambiamento climatico. Si tratta di uno dei più importanti casi sulle responsabilità delle Big Oil.

I procedimenti legali saranno molto lunghi e complicati, ma  – anche –  sotto i riflettori di tutto il mondo. Ciò potrebbe incoraggiare altri stati e paesi a muovere simili azioni legali contro Exxon e altre compagnie. 

>>leggi anche Exxon aveva previsto la crisi climatica decenni fa<<

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Energia

Ricaricare l’auto elettrica: dove, come e quanto costa


Author: Luca Re QualEnergia.it

Mini-guida di orientamento per fare il pieno alle batterie dei veicoli. Prezzi, tempi e modi delle ricariche, sviluppo delle infrastrutture in Italia.

Quando si parla di automobili, spesso si cita il previsto boom di vendite di modelli elettrici che dovrebbe scattare nel 2020-2021; sarà così anche per le colonnine di ricarica? Quante sono in Italia e come si sta sviluppando la rete per il rifornimento “alla spina”? Quanto costa ricaricare una vettura plug-in? E quanto tempo ci vuole?

Colonnine, quante sono e dove

Secondo le ultime stime diffuse dall’Energy & Strategy Group del Politecnico milanese, in Italia finora si sono installate circa 8.200 colonnine tra quelle pubbliche nelle strade, piazze, parcheggi eccetera (circa 3.500 in totale) e quelle private ad accesso pubblico, ad esempio negli alberghi e nei supermercati.

La distribuzione dei punti di ricarica però è disomogenea, perché una buona metà si concentra nelle regioni del nord; la Lombardia, in particolare, è l’unica regione con oltre mille colonnine sul suo territorio.

Da notare, poi, che il 70-75% delle colonnine si trova nelle città e nelle aree urbane; ancora poche (meno del 5% del totale), invece, sono quelle disponibili sulle strade extraurbane e sulle autostrade italiane, mentre un 20-30% dei punti di ricarica complessivi si trova nei “punti d’interesse”, soprattutto centri commerciali e concessionari auto.

Per quanto riguarda le stazioni di ricarica private, le stime più recenti oscillano tra 11.000-13.000.

È bene precisare che tutti questi numeri sono in costante e rapida evoluzione, perché sono in corso numerosi progetti di diversi operatori per sviluppare l’infrastruttura dedicata alle vetture elettriche.

Ricarica a casa: prezzi e tempi

Il modo più conveniente per ricaricare l’auto elettrica è a casa, avendo un garage/box o un posto auto collegato all’impianto elettrico dell’abitazione.

Ipotizzando un costo medio unitario dell’energia tra 0,20-0,23 €/kWh con un contratto domestico residente nel servizio di maggior tutela, e ipotizzando di dover caricare completamente una batteria di taglia media da 40 kWh (è la batteria “base” della Nissan Leaf, una delle auto elettriche più vendute nel nostro paese), si spenderanno 8-9 euro per un pieno con un’autonomia intorno ai 270 km.

Poi è possibile risparmiare grazie alle offerte sul mercato libero che prevedono sconti sulla componente energia rispetto al servizio di tutela.

E chi ha il fotovoltaico può spendere ancora meno, perché usa direttamente l’energia “fatta in casa”, in autoconsumo: non spenderà dunque sui 20 centesimi a kWh come chi preleva dalla rete, che deve pagare anche oneri di rete e di sistema e tasse, ma calcolando i costi di installazione dell’impianto, ricaricare gli costerà indicativamente circa 7-10 centesimi di euro per kWh , cioè il valore indicativo LCOE (Levelized Cost of Electricity) del fotovoltaico residenziale in Italia.

Per questo motivo diverse aziende propongono inverter specifici, programmati per gestire la ricarica dei veicoli quando c’è un eccesso di produzione dai pannelli solari, ottimizzando ancora di più l’autoconsumo.

Per la ricarica domestica è consigliabile installare una presa di tipo industriale; inoltre, conviene valutare l’acquisto di una “wall-box” (letteralmente: scatola a muro), un dispositivo che permette di gestire in modo intelligente il rifornimento del veicolo secondo diversi parametri, come il livello dei diversi carichi elettrici domestici, l’eventuale produzione di energia del proprio impianto fotovoltaico e così via.

A casa però il tempo di ricarica è molto lungo: con un classico contatore da 3,3 kW di potenza impegnata, per la nostra batteria da 40 kWh – ipotizzando che sia quasi completamente “a terra” – serviranno circa 12 ore per riportarla al 100% della sua capacità.

Quindi è bene rifornire l’auto di notte quando le altre utenze domestiche sono spente/inutilizzate.

Ricordiamo poi che l’Autorità per l’energia ha lanciato di recente una consultazione per aggiornare le tariffe di ricarica pubblica e privata.

Un punto molto importante è l’ipotesi di applicare la tariffa “domestica-residente” ai punti di ricarica installati nei garage/box di pertinenza dell’abitazione principale oppure nei box non pertinenziali, ma la cui proprietà (o il contratto di affitto) sia intestato a una persona che è proprietaria di un veicolo elettrico.

Ricarica fuori casa: prezzi e tempi

Per la ricarica fuori casa il quadro è più complesso. Partiamo dai costi, che possono essere a consumo oppure “flat” con un pagamento fisso mensile/annuale per un certo numero di ricariche o di energia complessivamente prelevata.

Le tariffe variano moltissimo, secondo il tipo di colonnina, la velocità della ricarica e l’operatore che gestisce il servizio. In media, in base alle varie offerte presenti in questa fase sul mercato, bisogna calcolare 0,45-0,50 € per kWh per utilizzare, rispettivamente, i punti di ricarica rapida sotto 50 kW e veloce da 50 kW.

In pratica, guardando sempre alla batteria di taglia media da 40 kWh, la spesa si aggira sui 18-20 euro per un pieno completo, quindi circa il doppio in confronto a quello che si spende a casa.

Per chi viaggia molto può convenire una tariffa forfettaria mensile: ci sono diverse taglie e prezzi, ad esempio Enel X – il principale operatore coinvolto nella realizzazione di punti di ricarica in Italia – propone un canone mensile da 25 euro con 60 kWh inclusi e un canone da 45 euro con 120 kWh.

A livello di tempi di rifornimento, se l’automobilista usa una colonnina “rapida” in corrente alternata da 22 kW deve calcolare quasi due ore per guadagnare la completa autonomia della batteria da 40 kWh.

Con una colonnina da 50 kW il tempo per un pieno scende a circa un’ora; sopra 50 kW si entra nel campo dei rifornimenti super-veloci con punti di ricarica da 150 kW o anche più potenti, come quelli da 350 kW del consorzio Ionity che permettono di ricaricare la batteria in pochi minuti.

Per quanto riguarda lo standard di connessione tra auto elettrica e colonnina pubblica, infine, ricordiamo che si può utilizzare un connettore di Tipo 2 per la ricarica in corrente alternata (AC) fino a 22 kW, mentre la ricarica più veloce in corrente continua (DC) richiede un connettore CHAdeMO (adottato dai veicoli Nissan, Mitsubishi, Peugeot, Citroen) oppure CCS Combo 2 (presente sui modelli dei costruttori tedeschi ad esempio) che consente sia la ricarica rapida DC sia quella più lenta in corrente alternata.

I nodi da risolvere: pagamenti “facili” e V2G

Tra i principali nodi da sciogliere in tema di ricariche, c’è l’omogeneità dei sistemi di pagamento.

Il punto, infatti, è che oggi caricare l’auto elettrica non è semplice come fare il pieno di benzina al distributore di carburante, perché la diffusione delle colonnine è avvenuta in modo un po’ frammentario, con molteplici operatori e diverse iniziative regionali-locali.

In sostanza: è quasi impossibile pagare direttamente con banconote o carte di debito/credito come a un self-service, perché è necessario dotarsi della tessera o dell’applicazione del singolo servizio che si vuole utilizzare. Insomma c’è ancora da lavorare parecchio per raggiungere la cosiddetta “interoperabilità”, cioè la possibilità di fare il pieno ovunque con una stessa tessera o con un pagamento diretto in contanti o tramite carta bancaria, senza l’obbligo di autenticazione a un dato servizio-operatore.

E tra le sfide future ci sono le tecnologie V2G (Vehicle-to-Grid), quelle che permettono di gestire in modo intelligente il flusso di energia dalla colonnina all’auto elettrica e viceversa, in modo da trasformare la batteria in un dispositivo di accumulo per la rete (vedi qui il parere dell’Autorità sullo schema di decreto ministeriale che dovrà abilitare queste tecnologie ancora off-limits in Italia).

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Energia

Inaugurato O’MEGA1, il fv galleggiante più grande d’Europa

Author: stefania Rinnovabili

fv galleggiante

Credit: Ciel et Terre

Realizzato in Francia il primo fv galleggiante finanziato tramite crowdfunding

(Rinnovabili.it) – La Francia è fermamente intenzionata a dare una scossa al suo comparto delle rinnovabili, a lungo sopito, e, tra nuovi obiettivi energetici, aste e leggi, ha già iniziato a portare a casa anche qualche eccellente primato. Come nel caso di O’MEGA1, l’impianto fv galleggiante inaugurato ieri a Piolnec, nel sud del paese.

Realizzata su una vecchia cava allegata, la centrale è composta da 47mila pannelli solari per una capacità totale di 17 MW: una cifra elevata che rende l’installazione non solo la centrale fotovoltaica galleggiante più grande della nazione ma anche dell’intera Europa.

>>Leggi anche Solare galleggiante, il mercato cresce in maniera costante<<

Il progetto porta la firma dello sviluppatore francese Akuo Energy che dal 2014 sta lavorando con gli operatori minerari locali sulla realizzazione di O’MEGA, e si avvale del sistema brevettato Hydrelio di Ciel & Terre, azienda impegnata dal 2011 nello sviluppo di fv galleggiante. Tale sistema è costituito da galleggianti modulari di tipo “lego” assemblati in file, realizzati in HDPE riciclabile e in grado di resistere a venti fino a 210 chilometri orari.

A regime la centrale solare produrrà abbastanza energia per soddisfare le esigenze elettriche di 4.373 famiglie, risparmiando all’atmosfera almeno 1.093 tonnellate di CO2 ogni anno. Ma l’aspetto più interessante di O’MEGA1 non risiede nella taglia da record o nelle caratteristiche tecniche quanto nell’aspetto finanziario. L’opera, infatti, è stata parzialmente finanziata tramite crowdfunding: anche semplici cittadini interessati al progetto, hanno potuto contribuire integrando gli investimenti di Natixis Energéco (il principale finanziatore della centrale). Inoltre, lo stesso comune di Piolenc ha scelto di investire nell’impianto, in una sorta di relazione simbiotica tra sviluppatore e comunità locale che potrebbe rappresentare un modello di business sostenibile da replicare sul territorio.

>>leggi anche Fotovoltaico galleggiante, il mondo ha installato oltre 1,3GW<<

“Oggi, oltre a inaugurare il più grande impianto solare galleggiante d’Europa, stiamo dimostrando che la lotta ai cambiamenti climatici richiede uno sforzo collettivo – ha spiegato Eric Scotto, presidente e cofondatore di Akuo – Con i miei colleghi produttori indipendenti e il fornitore di elettricità verde Plüm, stiamo svolgendo un ruolo fondamentale consentendo a tutti i cittadini che optano per l’elettricità verde di origine controllata di diventare un vero attore nella transizione energetica, sostenendo così lo sviluppo di energia rinnovabile nel nostro paese. Ora spetta ai cittadini scegliere il proprio mix energetico”.

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Re-inventing buildings to be future-proof

Author: Laurent Bataille Schneider Electric Blog

This blog post is part of a series from Innovation Summit Barcelona 2019, a two-day event that brought together more than 3,500 industry professionals, solution experts, and IoT leaders to discuss global trends, generate bold ideas and foster a digital economy.

Modern buildings are, in some ways, as outdated as they were decades ago. Even many of the new ones that are just opening their doors aren’t built for the future. To be future-ready, buildings must be energy efficient, safe and reliable, and deliver an exceptional occupant experience. They must be able to adjust to what the future holds whether it’s advancements in technology, new environmental regulations, or changes in occupant expectations.

They must be built on a strong digital backbone that can adapt to the unexpected.

Leveraging the Data

Earlier this month at the Innovation Summit in Barcelona, we looked at the underlying reason why new and existing buildings are not prepared for the future…“data chaos.” Large quantities of building data exist. The total installed base of IoT connected devices is projected to grow to more than 75 Billion worldwide by 2025. Building systems must be ready to receive, share, and analyze information across multiple systems to deliver the most benefits and adapt to a changing environment.

Why We Can’t Ignore the Data

Data Chaos leads to inefficiency, a decrease in occupant productivity, and potential safety and reliability concerns.

It is estimated that 80% of a building’s lifecycle costs goes to maintenance and operations. Without the ability to access and analyze data, facility managers and building stakeholders lack visibility into how their building systems are performing. Buildings with complex, siloed systems and multiple networks have a huge potential for more efficiency. Too often, managers have too many disparate systems to watch over, with complex troubleshooting, leading to higher capital and operational expenses. If you don’t have visibility, how can you eliminate waste and tap into all the opportunities that exist to enhance building performance?

Occupant productivity and satisfaction continues to present unique challenges that will need to be addressed in order to have future-ready office buildings, hospitals, hotels, universities, and more. The world population is spending most of their lives indoors, in fact is estimated that we will spend close to 90% of our time inside. Additionally, the expectations for building services continues to rise among employees, patients, and guests. They expect to find the same digital conveniences they enjoy in their personal life in all other areas of their lives.  And finally, the building must be healthy so we must continuously monitor air quality and noise pollution.

In addition to being efficient and offering productive environments, buildings also must meet critical safety and reliability standards. It is imperative that building stakeholders can better predict when a system or piece of equipment will fail or require downtime because there is a disruption in power. The fire and security systems need to integrate with the building management system transferring data and giving teams access to the information they need, when they need it.

Solving our data chaos issue can help us answer all these challenges. But without the right digital infrastructure to capture, access, and analyze the data our future-ready buildings won’t exist. At the Innovation Summit Barcelona 2019, we had the opportunity to talk about solving these challenges with our global customers and partners. They are conquering the data chaos and creating future-ready buildings that will adapt to solve efficiency, production, safety, and reliability challenges. I invite you to take a moment to listen in on the Re-Inventing Buildings session featuring myself and Geert Wilmink, Executive Director of Occupier Services at CBRE.

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To know more about Innovation Summit Barcelona 2019, check the other blog posts from this series:

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La Iea prevede un boom del fotovoltaico su tetto nei prossimi 5 anni


Author: gmeneghello QualEnergia.it

Entro il 2024 si avrà un calo dei costi fino al 35% e circa 700 GW di nuova potenza da FV.

La potenza rinnovabile mondiale crescerà del 50% tra il 2019 e il 2024, portando la quota delle fonti pulite sul mix elettrico globale dal 26% di oggi al 30% nel giro di 5 anni. E sarà il fotovoltaico, specie su tetto, ad avere la parte del leone: peserà per il 60% di questo aumento, stimato […]