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Diritti umani e rischi sociali, anche le rinnovabili hanno un “lato oscuro”


Author: Luca Re QualEnergia.it

Un’analisi di Verisk Maplecroft sui principali impatti negativi associati all’espansione massiccia delle energie pulite su scala globale.

La rivoluzione delle energie rinnovabili ha un suo “lato oscuro” fatto di violazioni dei diritti umani?

Almeno in parte sì, è la risposta di Verisk Maplecroft – società di consulenza strategica globale con sede in Gran Bretagna – che ha esaminato i principali rischi sociali correlati allo sviluppo delle tecnologie pulite in tutto il mondo, nel rapporto Human Rights Outlook 2019 (scaricabile qui con registrazione gratuita).

Tra i problemi più noti per le rinnovabili, sotto il profilo etico, c’è lo sfruttamento del lavoro minorile nelle miniere di cobalto in Congo, il paese africano che fornisce la quantità maggiore del prezioso metallo utilizzato per fabbricare le batterie al litio per le auto elettriche e gli impianti di accumulo energetico (vedi foto in alto, credit: The Carter Center/ G. Dubourthoumieu).

Ma questa è solo la punta di un iceberg un po’ più vasto, che tende a rimanere fuori dai radar delle valutazioni sulla reale sostenibilità sociale (oltre che ambientale) dell’industria “verde”.

Nello studio ci sono diversi esempi.

Spesso, infatti, c’è una notevole discrepanza tra le politiche sui diritti umani delle aziende e la realtà sul campo; inoltre, molte società che investono in rinnovabili non hanno ancora implementato una strategia con cui affrontare la responsabilità etico-sociale delle loro attività su scala globale, come evidenzia anche un recente documento del Business & Human Rights Resource Centre (BHRRC).

In Cina, secondo Verisk Maplecroft, l’esposizione dei lavoratori a elementi chimici pericolosi, come il cadmio, negli stabilimenti di pannelli fotovoltaici, desta particolare preoccupazione, data l’applicazione debole e inconsistente degli standard sulla sicurezza e la salute dei lavoratori (OHS: occupational health and safety) nel settore manifatturiero cinese.

Come si evince dal grafico sotto, in diversi paesi asiatici le violazioni per la sicurezza e la salute di chi lavora nelle fabbriche di moduli fotovoltaici sono particolarmente elevate, secondo l’indice di rischio elaborato da Verisk Maplecroft.

Sempre in tema di fotovoltaico, ci sono varie incognite sulla catena di fornitura del quarzo – soprattutto quello di elevata purezza – la materia prima impiegata per produrre il silicio; anche in questo caso, i timori si concentrano sulle scarse condizioni di lavoro nelle miniere di certi paesi (si citano la Mauritania e l’Arabia Saudita) oltre che sulla pericolosità dei siti minerari a causa delle malattie respiratorie che si possono contrarre senza adeguate protezioni (la silicosi in particolare).

Un altro settore esposto alle violazioni dei diritti umani sul lavoro è quello dei biocarburanti.

Di solito, parlando di combustibili prodotti da biomasse vegetali, si enfatizzano i problemi legati all’eccessivo disboscamento, alla perdita di biodiversità, alla distruzione degli ecosistemi per cedere il posto alle piantagioni estensive di canna da zucchero, soia, palma da olio e mais.

Tuttavia, i dati di Verisk Maplecroft – vedi il grafico seguente – evidenziano rischi “elevati” o “estremi” per le persone addette alla coltivazione di diverse piante destinate alla produzione di biocombustibili in Malesia, India, Indonesia, Tailandia, Brasile, oltre che negli Stati Uniti e in Cina.

Il punteggio sui diritti dei lavoratori (Labour rights score), definito dagli analisti per i vari paesi e le diverse colture energetiche, comprende molteplici indicatori, tra cui: utilizzo di migranti per la manodopera (tanto da parlare, in alcuni casi, di “moderna schiavitù”) soprattutto in Malesia, Indonesia e India, sfruttamento di lavoro minorile, entità dei salari, lavoro forzato per un numero eccessivo di ore, discriminazioni.

Nemmeno la costruzione di grandi parchi eolici è esente da complicazioni, che possono riguardare in particolar modo la violazione dei diritti delle popolazioni indigene (proprietà delle terre in primo luogo).

Cina, India, Brasile, Turchia, Messico, Corea del Sud, Stati Uniti, sono tra i paesi in cui tali diritti sono più vulnerabili ai rischi associati all’espansione massiccia dell’eolico (vedi il prossimo grafico).

Finora gli impatti più negativi, termina l’analisi di Verisk Maplecroft, si sono avuti in Messico nello stato di Oaxaca, dove ci sono progetti per una trentina di mega parchi eolici, molti dei quali hanno incontrato una ferma opposizione da parte delle comunità locali per diversi motivi: mancata consultazione, violazione dei diritti sulle proprietà, trasferimenti forzati, minacce perpetrate dalle forze dell’ordine.

Tanto che alcuni progetti sono finiti nelle aule dei tribunali, causando ritardi e perdite finanziarie agli investitori, aumentando molto il rischio-paese del Messico per questo settore delle rinnovabili.

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Debito sostenibile, raggiunto i mille miliardi di dollari

Author: redattore2 Rinnovabili

debito sostenibile

Debito sostenibile: finanza, ente benefico? No, è convenienza per gli investitori

(Rinnovabili.it). -Lo sviluppo tecnologico e la maggior sensibilità verso le tematiche ambientali e sociali premiano l’integrazione degli obiettivi di sostenibilità nei piani industriali. Stando ai dati recentemente diffusi da Bloomberg NEF (BNEF), per la prima volta l’emissione totale di debito sostenibile ha superato infatti la quota di mille miliardi di dollari. Una “pietra miliare”, come annunciato ieri in occasione del Sustainable Bonds Forum ospitato dall’International Finance Corporation (IFC) a Washington. 

Attenzione però: come ricordato dal direttore Amministrazione, Finanza e Controllo di Enel Italia Alberto de Paoli, ciò non significa “che il mondo finanziario abbia improvvisamente scoperto una vena da ente benefico”, poiché “l’obiettivo primario della finanza è e resta quello della ricerca del profitto”.
Sta di fatto che, tradottasi in valore economico-finanziario, la sostenibilità è ormai entrata nel perimetro di interesse della finanza: “Il raggiungimento del traguardo del trilione di dollari rappresenta un momento chiave per il mercato del debito sostenibile: se questo mercato non fosse già sul radar dei principali investitori globali, lo sarà da adesso”, ha detto Angus McCrone di BNEF. “Questo è solo l’inizio: ci sono voluti dodici anni per raggiungere il primo trilione di dollari di capitale, ma ci vorrà molto meno tempo per raggiungere il secondo”.

Le “obbligazioni verdi”, che hanno debuttato sul mercato del debito sostenibile nel 2007, rimangono l’opzione di finanziamento più popolare per volume di dollari: l’emissione di questo tipo di obbligazioni ammonta ad oggi a 788 miliardi di dollari, pari a circa il 77% del mercato del debito sostenibile.

>>leggi anche Vola il mercato dei “green bond”: emessi oltre 100 miliardi nel 2019<<

La prima società a emettere un’obbligazione legata alla sostenibilità – lo ricordiamo – è stata Enel SpA, con una garanzia di 1,5 miliardi di dollari venduta a settembre 2019. Il gigante italiano si è anche impegnata a incrementare il tasso di interesse che l’obbligazione paga qualora non si raggiungessero gli obiettivi di generazione di energia rinnovabile.

“Il modello legato alla sostenibilità è uno sviluppo cruciale per il mercato del debito sostenibile“, ha dichiarato Mallory Rutigliano, analista finanziario presso BNEF. “Le obbligazioni e i prestiti sono considerati sostenibili non a causa dell’utilizzo dei proventi, ma a causa del modo in cui il mutuatario si impegna a migliorare la sostenibilità. Con il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio e una crescita inclusiva nell’agenda di molte grandi aziende, il concetto sta guadagnando terreno”. 

>>leggi anche Finanza sostenibile: allineare i portafogli all’Accordo di Parigi<<

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Valutare la resa energetica degli impianti FV con un nuovo software


Author: Leonardo Berlen QualEnergia.it

La stima della produzione di elettricità di un impianto fotovoltaico e le caratteristiche di SunSim versione 10 per una semplice ed efficace simulazione.

La stima dell’energia che un impianto fotovoltaico è in grado di produrre è senza dubbio un elemento di decisione molto importante nella valutazione economica dell’investimento. Normalmente, il passo iniziale consiste nella scelta del sito, dell’area a disposizione e quindi più o meno approssimativamente della potenza nominale. Dalle caratteristiche del sito spesso discende direttamente la disposizione […]

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Nanoplastica, non puoi nasconderti per sempre.

Author: redattore Rinnovabili

Nanoplastica

Credits: Iris Hamelmann da Pixabay

Il Biological Formulation Group scopre un metodo per rintracciare i frammenti di nanoplastica dispersi nell’ambiente

(Rinnovabili.it) – La plastica è uno dei materiali più resistenti e durevoli, al punto da essere diventata in assoluto il materiale organico più diffuso al mondo. Proprio quelle proprietà che la rendono così facile e utile da usare, però, sono anche quelle che la rendono pericolosa per l’ambiente e per l’uomo. La sua resistenza e la sua durevolezza, infatti, ne rallentano la degradazione, al punto che – anche se frammentata in pezzi sempre più piccoli – la plastica continua ad esistere. Anzi, più piccole sono le particelle di micro e nanoplastica, più sarà difficile rintracciarle e, quindi, liberarsene.

Se, fino ad ora, non esistevano tecniche in grado di farci capire cosa accadesse ai frammenti di micro e nanoplastica e soprattutto di renderci capaci di misurarne la quantità, adesso uno studio del Biological Formulation Group (presso il Drug Delivery Technology di Leida, Paesi Bassi) ha presentato un metodo in grado di risolvere questo enigma.  Dove sono le micro e le nanoplastiche? Quante sono? Sono pericolose? Possono danneggiare la nostra salute e l’ambiente?

>>Leggi anche Micro e nano plastica, i batteri marini incollano le particelle<<

La principale difficoltà nel rintracciare le micro e nanoplastiche non dipende dalla loro (piccolissima) dimensione, quanto dalla loro composizione chimica. Infatti, essendo un materiale organico a base di carbonio, la plastica si “mimetizza” con altri materiali che, specie se fisiologici, contengono anch’essi carbonio. Il trucco sta nel riuscire a determinare la massa di queste minuscole materie plastiche, cosa che il Biological Formulation Group è riuscito a fare utilizzando il metodo della dispersione multiangolo della luce, una speciale tecnica di separazione per determinare la distribuzione dimensionale delle particelle estratte.

Una volta individuate, è possibile capire quale sia il destino delle micro e nanoplastiche presenti nell’ambiente e nei corpi degli esseri umani o di altri organismi viventi. Ma non solo: anche nel cibo e in altri prodotti di consumo. Ancora più importante, però, è capire se e in che modo questi minuscoli materiali modifichino i corpi che li “ospitano” e che in modo entrino in relazione con le loro funzioni sistemiche.

>>Leggi anche Contro l’inquinamento da microfibre, 2 idee da mettere in lavatrice<<

Infatti, come sottolinea il professor Fazel Abdolahpur Monikh (docente di Nano-Scienza a Leida), più piccoli sono i frammenti e, potenzialmente, più pericolosi diventano. La nanoplastica, a differenza della microplastica, può attraversare facilmente le barriere biologiche, come quelle del sangue e del cervello, trasportando inoltre i contaminanti che ha assorbito lungo il suo percorso nell’ambiente circostante.

Il gruppo del professor Monikh sta ora cercando finanziamenti dal CERN e dal programma NWO Veni per continuare a sviluppare il metodo e rispondere alla questioni ancora irrisolte.