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Qualcomm: il nuovo processore non si chiamerà 8150 [Rumour]

Author: Alessio Fasano Agemobile

Da qualche mese sono iniziati a circolare rumors in merito al nuovo processore Qualcomm che equipaggerà i flagship Android nel 2019. Le informazioni attualmente disponibili identificavano il nome del processore in “Snapdragon 8150”. Secondo le più recenti indiscrezioni provenienti da Pcmag, pare che “8150” non sia altro che un nome in codice del nuovo processore e quindi il nome potrebbe essere diverso.

Ci sono due possibilità: Qualcomm potrebbe seguire la nomenclatura attuale e quindi dopo Snapdragon 835 nel 2017 e Snapdragon 845 nel 2018 ci potrebbe essere uno Snapdragon 855 nel 2019. Un’altra possibilità è cambiare completamente le sigle dei processori. Dopotutto non sarebbe la prima volta: infatti, fino a qualche anno fa esistevano le sigle  S1 / S2 / S3 / S4 e solo recentemente l’azienda è passata all’attuale 200/400/600/700/800 per indicare le varie famiglie di processori.

Ad ogni modo dovremmo saperne di più a breve, visto che Qualcomm Technologies, Inc ha annunciato qualche ora fa che i keynote del terzo Snapdragon Tech Summit annuale saranno trasmessi in diretta dalle Hawaii il 4, 5 e 6 dicembre dalle 9:00 HST (8:00 pm CET).

Cristiano Amon, presidente diQualcomm Incorporated, presenterà l’evento insieme ad Alex Katouzian, senior vice president and general manager of mobile for Qualcomm Technologies e durante i tre giorni si alterneranno sul palco anche altri leader globali del settore. 

I keynote si focalizzeranno su 5G, sulla piattaforma mobile Snapdragon e PC Always-on e Always-connected; sarà possibile seguire l’evento attraverso il webcast su Qualcomm.com il 4, 5 e 6 dicembre e probabilmente in questa occasione verrà svelato il nome finale del nuovo processore top di gamma che vedremo sulla maggior parte degli smartphone di fascia alta nel 2019.

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Fibra ottica nelle aree a fallimento di mercato: la rete è completa in 138 comuni

Author: IlSoftware.it

Esattamente un mese fa avevamo fatto il punto sullo stato della copertura in fibra ottica FTTH e FWA nelle cosiddette aree bianche del Paese altrimenti conosciute come cluster C e D o “aree a fallimento di mercato”, zone in cui nessun operatore privato aveva prima mai fatto investimenti.
Nell’articolo Fibra ottica nelle aree bianche: cantieri Open Fiber aperti in 700 comuni potete trovare l’elenco dei cantieri aperti da Open Fiber lungo tutta la Penisola: a tal proposito è possibile incrociare i dati forniti dalla società compartecipata da Cassa Depositi e Prestiti e da Enel con quelli resi pubblici dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). I file condivisi da entrambe le fonti sono linkati nel medesimo articolo.

Fibra ottica nelle aree a fallimento di mercato: la rete è completa in 138 comuni

Ma quali sono i comuni d’Italia in cui sono presenti aree bianche dove i lavori sono già stati conclusi da parte di Open Fiber?
Lo ha rivelato quest’oggi il MISE a margine di due incontri operativi che hanno visto la partecipazione di rappresentanti ministeriali, di Infratel Italia e della Conferenza delle Regioni e Province autonome.Nell’ambito del Piano Nazionale Banda Ultralarga (BUL), ad oggi sono stati complessivamente 138 comuni, elencati in questo documento pubblico.
In queste aree Open Fiber ha già realizzato le nuove infrastrutture di rete per fornire agli utenti finali fibra ottica in modalità FTTH o FWA. Come sottolinea il Ministero, però, nessun operatore di telecomunicazioni ha ancora attivato la fornitura di servizi verso i potenziali abbonati.
Al termine della riunione è stato espresso l’auspicio che gli operatori manifestino interesse a fornire i servizi agli utenti residenti nei 138 Comuni indicati, offrendo così ai cittadini e alle imprese il massimo livello di connettività possibile“, si legge in una nota del MISE.
C’è da dire che Open Fiber ha recentemente avviato i test per la commercializzazione nelle aree bianche partendo da quattro comuni scelti in modo ragionato: Open Fiber, avviati i test per la commercializzazione della fibra FTTH nelle aree bianche.
È quindi assai probabile che si attenda la fine dei test nei comuni scelti per la sperimentazione prima di estendere la commercializzazione alle altre zone d’Italia.

I comuni in cui la nuova rete ultrabroadband è già stata realizzata si concentrano prevalentemente in Calabria e Sardegna. Alcuni si trovano in Abruzzo, nel Lazio e in Puglia.

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Internet: quanto costa recedere da un contratto. Ecco le tariffe a confronto

Author: Le news di Hardware Upgrade

L’AGCOM ha stabilito che dal primo gennaio 2019 i costi di recesso richiesti dalle compagnie telefoniche non potranno superare il canone mensile medio applicato dalle stesse. Ecco che l’ultimo studio realizzato da SosTariffe.it stima quanto può costare ad oggi “lasciare” un provider internet da rete fissa. Le  nuove regole del Garante consentiranno di risparmiare, ma i costi di disdetta si può vedere come siano già effettivamente contenuti.

Dunque per lasciare un provider si dovrà pagare al massimo una somma pari al canone mensile. Il report realizzato da SosTariffe.it ha preso in esame le tariffe di fibra ottica (FTTH e FTTC) e Adsl tradizionale proposte dai principali provider internet attivi in Italia nel mese di novembre 2018. Ecco che in generale i canoni mensili delle varie tariffe internet presenti sul mercato si equivalgono, ma le offerte per la fibra ottica FTTH, ossia la rete più veloce, allettano i consumatori con canoni promozionali più duraturi ossia in media di 13 mesi.

Le offerte Adsl sono meno costose in caso di recesso per cambio compagnia e anche in caso di disdetta prima del vincolo di tempo imposto dal contratto, una proposta decisamente ideale per chi voglia passare da un operatore all’altro con disinvoltura. I costi medi di recesso in anticipo dalle offerte rispetto alla scadenza del contratto (che in genere vincola per 24 mesi) sono nel complesso bassi, salvo per la fibra ottica veloce.


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Fibra Ottica (FTTH e FTTC): quanto costa il recesso?

Ad oggi attivare un contratto per internet fisso con fibra ottica a tecnologia FTTH costa circa 33€ al mese. Un prezzo nella media, che per il primo periodo promozionale può calare anche fino a 27€ con uno sconto che può anche durare per 13 mesi. Il problema arriva in caso di cessazione. Sì, perché chi ha intenzione di cessare del tutto la linea, per decesso del titolare ad esempio, deve sborsare ben 57 euro (o comunque una cifra compresa tra 40 e 65 euro).

Nel caso invece si voglia passare a un altro provider, si dovrà sostenere un costo di 42 euro in media (ma può oscillare dai 35 ai 56 euro). Ancora peggio per chi vuole recedere in anticipo rispetto alla scadenza naturale del contratto: la penale (che si deve aggiungere ai costi visti in precedenza) per recesso anticipato in media è di 21 euro, molto più alta rispetto alla fibra ottica FTTC e all’Adsl tradizionale.

Chi invece naviga su internet con fibra ottica a tecnologia FTTC, ossia la meno veloce della FTTH, paga in media 34 euro al mese di canone. Per i primi mesi in genere è in promozione a 28 euro ma lo sconto scade già dopo soli sei mesi. Per la cessazione della linea si deve pagare davvero tanto, anzi troppo: in media 57 euro (ma a seconda dei provider la somma può oscillare dai 49 ai 70 euro). Note dolenti anche per passare a un altro provider visto che si dovrà sborsare ben 43 euro (cifra che oscilla dai 35 ai 56 euro, a seconda dell’operatore). La penale per recesso anticipato qui è lievemente più bassa rispetto alla tecnologia FTTH: circa 18 euro.

ADSL tradizionale: non conviene recedere “prima”

Il canone mensile, per chi ancora usufruisce della normale banda larga, in genere si aggira intorno ai 33 euro, che possono divenire 28€ in promozione, in genere per i primi sette mesi. In questo caso, cessare la linea comporta un impegno economico significativo, pari a 61 euro in media (con cifre che oscillano dai 49 ai 70 euro). PEr il passaggio ad altro provider il costo è di 39 euro in media (cifre comprese 35 e 56 euro). Anche la penale per il recesso anticipato è più bassa ossia solo 11 euro.

Per individuare le offerte internet per la casa più convenienti, si può usare lo strumento di comparazione delle tariffe ADSL e fibra ottica di SosTariffe.it che permette di confrontare tutte le proposte delle principali compagnie attive oggi nel nostro Paese.

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IPTV illegali, la nuova frontiera della pirateria audiovisiva in Italia

Author: Alessandro Crea Tom's Hardware

La FAPAV (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali) ha tenuto questa mattina a Roma la seconda edizione di #TuteliAmo, un importante incontro che quest’anno ha toccato il tema, ancora inedito in Italia, delle IPTV pirata, un fenomeno a quanto pare in ascesa, che colpisce l’industria televisiva e i produttori di contenuti.

L’IPTV (Internet Protocol Television) è un sistema che permette ad un utente di fruire di contenuti televisivi in digitale (live e on demand) per mezzo di una connessione ad Internet a banda larga o ultralarga.

I servizi illegali che vengono messi in vendita online consentono agli utilizzatori, a fronte dell’acquisto di un unico abbonamento, che nella maggior parte dei casi varia tra i 10 e i 15 euro mensili, di accedere a tutti i canali delle televisioni pubbliche e private e ai relativi palinsesti, costituiti da film, serie TV, documentari ed eventi sportivi nazionali ed internazionali.

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Proprio questi ultimi rappresentano un contenuto sempre più determinante. Secondo una ricerca IPSOS commissionata da FAPAV, sarebbero infatti ben 4,6 milioni gli italiani oltre i 15 anni che fruiscono illegalmente di eventi sportivi live, con una stima di circa 21 milioni di atti di pirateria compiuti ogni anno e legati ad eventi e programmi di carattere sportivo.

Tra questi, il calcio è ovviamente quello che più attira l’attenzione (3utenti su 4), seguito dalla Formula1, dalla Moto GP e dal Tennis. Più staccati Basket e Sci. Per quanto riguarda la diffusione delle IPTV illegali, queste sono state utilizzate dal 35% di chi guarda film, serie e programmi televisivi pirata in streaming (ovvero quasi un quarto del totale dei pirati in Italia). Invece, per quanto riguarda la pirateria di eventi sportivi, il 23% del totale dei pirati di sport live (ovvero circa un milione di utenti) utilizza questa modalità per accedere ai contenuti.

“Il tema dibattuto oggi e i dati IPSOS presentati mostrano come la galassia delle IPTV Illegali si stia radicando nel nostro Paese, diventando di fatto una nuova forma di pirateria legata non solo ai contenuti audiovisivi ma anche ad eventi sportivi e live”, ha dichiarato Federico Bagnoli Rossi, Segretario Generale FAPAV. “La nostra Federazione, comprendendo la gravità del problema, ha voluto riunire per la prima volta tutti i principali attori che operano nell’ambito della produzione, distribuzione e tutela di contenuti audiovisivi, per capire come fronteggiare, in modo inclusivo ed efficace, un comportamento che non solo danneggia le industrie e l’economia del nostro Paese, ma va ad alimentare il mercato illecito e le organizzazioni criminali che lo gestiscono”.

L’evento odierno, ha costituito anche l’occasione per mettere a punto una strategia comune di contrasto del fenomeno delle IPTV illegali. “Siamo convinti che serva rafforzare gli strumenti di enforcement e continuare a promuovere al contempo una cultura della legalità, soprattutto nell’ampio e diversificato mondo del Web e della fruizione di offerte di contenuti digitali, mediante campagne informative che educhino al rispetto della creatività e della cultura, asset distintivi del nostro Made in Italy”, ha concluso Bagnoli Rossi.

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Google Drive backup in Windows: come procedere da riga di comando

Author: IlSoftware.it

Ora che Google ha presentato il suo nuovo servizio One presentando piani di storage cloud ancora più interessanti (con tanto spazio disponibile) ed economici (Google One al debutto in Italia: come condividere lo spazio cloud), il cloud della società di Mountain View sta diventando una soluzione sempre più utile per creare una copia di backup dei propri dati.

Chiunque disponesse di un account Google può effettuare il backup dei propri file, utilizzati a casa, in ufficio o in azienda, anche sfruttando i 15 GB di spazio gratuito che la società d’Oltreoceano mette gratuitamente a disposizione di tutti. I file memorizzati sui server di Google sono protetti dalla crittografia (quindi non possono essere letti e modificati da parte di terzi non autorizzati) anche se, nel caso di file personali e informazioni riservate, il consiglio è quello di crittografare a priori in proprio tutti i file che si inviano sui server cloud di Google.

Come scrive Google in questa pagina, infatti, è vero che “l’utente mantiene gli eventuali diritti di proprietà intellettuale detenuti su tali contenuti. In breve, ciò che appartiene all’utente resta di sua proprietà” ma, allo stesso tempo, “quando l’utente carica, trasmette, memorizza, invia o riceve contenuti da o tramite i nostri Servizi, concede a Google (e ai suoi partner) una licenza globale per utilizzare, ospitare, memorizzare, riprodurre, modificare, creare opere derivate (come quelle derivanti da traduzioni, adattamenti o altre modifiche apportate in modo tale che i contenuti funzionino al meglio con i nostri Servizi), comunicare, pubblicare, eseguire pubblicamente, visualizzare pubblicamente e distribuire i suddetti contenuti“. Inoltre, “I nostri sistemi automatizzati analizzano i contenuti dell’utente (incluse le email) al fine di offrire funzionalità dei prodotti rilevanti a livello personale, come risultati di ricerca personalizzati, pubblicità su misura e rilevamento di spam e malware. Questa analisi si verifica nel momento in cui i contenuti vengono trasmessi, ricevuti e memorizzati“.
Queste condizioni sono chiaramente rappresentate nei termini di servizio.Google propone oggi il suo strumento Backup and Sync o Backup e sincronizzazione in italiano (vedere l’articolo Backup online con il nuovo software di Google) per automatizzare il backup su Google Drive di qualunque contenuto memorizzato sui sistemi e sulla rete locale dell’utente.
Se si volesse sfruttare lo spazio cloud di Google per memorizzare file personali e informazioni riservate è però possibile, come accennato in precedenza, utilizzare un livello crittografico aggiuntivo in modo che non sia possibile – lato server – accedere in modo automatizzato o manuale al contenuto dei file dell’utente.

In passato abbiamo presentato diverse strategie per proteggere file e cartelle di cui si esegue il backup sul cloud: Proteggere i file su Google Drive, OneDrive e Dropbox con la crittografia.
È infatti evidente che se si effettua il backup dei contenuti sul cloud usando un algoritmo crittografico solido e una password lunga e complessa, neppure il provider – fornitore del servizio cloud – potrà mai accedere ai dati dell’utente.

Google Drive backup da riga di comando

Anziché utilizzare i suggerimenti che abbiamo proposto nell’articolo citato in precedenza, gli utenti più smaliziati che ad esempio sentissero l’esigenza di creare periodicamente backup su Google Drive possono servirsi di un semplice trucco.

Creando un file batch o comunque eseguendo una serie di passaggi da riga di comando, è possibile fare in modo di salvare automaticamente online, su Google Drive, file importanti memorizzati nella propria rete locale creando archivi compressi e crittografati.

I requisiti per iniziare sono l’ultima versione di 7-Zip, che dovrà essere opportunamente installata sul sistema in uso, e il software Google Drive CLI Client per Windows (non più sviluppato ma che abbiamo usato spesso e che continuiamo ad adoperare con soddisfazione; versione per sistemi Windows a 64 bit32 bit).

Disponibile nelle versioni per Linux, Windows e macOS, Google Drive CLI Client – abbreviamo gdrive – altro non è che un client per Google Drive, capace di effettuare il login al servizio di Google e gestire i file memorizzati sul cloud.

Suggeriamo quindi seguire alcuni passaggi:

1) Salvare il file di gdrive nella cartella c:\gdrive.

2) In tale cartella, rinominare il file gdrive-windows-x64.exe o gdrive-windows-386.exe in gdrive.exe.

3) Portarsi nella cartella di 7-Zip da Esplora file di Windows (generalmente C:\Program Files-Zip) quindi tenere premuto il tasto MAIUSC e cliccare con il tasto destro del mouse in un’area libera della cartella. Selezionare quindi Apri finestra di comando qui oppure Apri finestra PowerShell qui (in quest’ultimo caso, alla comparsa della finestra a sfondo blu si dovrà digitare cmd e premere il tasto Invio).

4) Digitare 7z a -pPASSWORD -t7z %userprofile%\ARCHIVIO.7z c:\NOMECARTELLA -r
Avendo cura di sostituire a PASSWORD la password da usare a protezione dell’archivio compresso che verrà cifrato da 7-Zip con l’algoritmo AES-256; ad ARCHIVIO il nome dell’archivio compresso che s’intende creare; a c:\NOMECARTELLA il percorso della cartella contenente i file che si desiderano cifrare, comprimere e inviare a Google Drive.
Utilizzando la variabile d’ambiente %userprofile%, l’archivio compresso in formato 7-Zip sarà creato nella cartella di sistema dell’account utente Windows in uso.

5) Aprire da Esplora file la cartella c:\gdrive quindi mantenere premuto il tasto MAIUSC e fare clic con il tasto destro del mouse in un’area libera della stessa cartella. Dal menu contestuale scegliere Apri finestra di comando qui oppure Apri finestra PowerShell qui (in quest’ultimo caso, alla comparsa della finestra a sfondo blu si dovrà digitare cmd e premere il tasto Invio, così come visto in precedenza).

6) Digitare gdrive list e copiare, nella barra degli indirizzi del browser, previo login con il proprio account Google, l’URL mostrato in corrispondenza della riga di comando.

Google Drive backup in Windows: come procedere da riga di comando

7) Alla comparsa della schermata seguente, nel browser, si dovrà cliccare sul pulsante Consenti.

Google Drive backup in Windows: come procedere da riga di comando

8) Il codice autorizzativo che verrà mostrato da Google dovrà essere copiato e incollato al prompt dei comandi in corrispondenza della voce Enter verification code.
Google Drive CLI Client mostrerà così la lista di tutti i file memorizzati su Google Drive e non richiederà più alcuna autorizzazione.

9) Digitando gdrive upload %userprofile%\ARCHIVIO.7z, Google Drive CLI Client effettuerà l’upload del file selezionato su Google Drive, all’interno dell’account dell’utente.

Va tenuto presente che effettuando ripetuti backup di file con lo stesso nome, le precedenti copie non saranno sovrascritte in Google Drive perché a ciascun elemento viene sempre assegnato un identificativo (ID) univoco.
Creando un semplice batch dal seguente contenuto e programmandone l’esecuzione in Windows usando la funzione Utilità di pianificazione, sarà possibile creare un backup periodico dei propri dati su Google Drive in forma cifrata (verificare attentamente i vari percorsi in gioco):

@echo off
“C:\Program Files-Zipz.exe” a -pPASSWORD -t7z %userprofile%\ARCHIVIO.7z c:\NOMECARTELLA -r
c:\gdrive\gdrive.exe upload %userprofile%\ARCHIVIO.7z
del %userprofile%\ARCHIVIO.7z

Ci pare infine interessante evidenziare che Google Drive CLI Client può passare a Google Drive query come la seguente che permettono di risalire agli ID e alle informazioni sui file contraddistinti da uno stesso nome:

gdrive list –query “name contains ‘test.7z'”

Google Drive CLI Client può inoltre cancellare file da remoto usando la sintassi gdrive delete seguita dall’ID del file da eliminare su Google Drive.

Come nota finale chiariamo che anziché usare 7-Zip per cifrare i file, è possibile crittografare gli archivi compressi usano strumenti come openssl, GPG, aespipe, aescrypt o altri ancora.