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Poste Italiane vuole investire nel mercato della banda larga e dell’energia

Author: Daniele Monaco Wired

L’azienda prepara un’offerta per la banda larga e dal 2022 una in campo energetico. Investimenti anche nel cloud e nell’ecommerce

Matteo Del Fante, AD di Poste Italiane

Un piano strategico di quattro anni per crescere “grazie al contributo di tutti i segmenti di business”: approvato dal cda, 2024 Sustain & Innovate fissa i nuovi obiettivi del gruppo Poste italiane. A cominciare dall’impegno nella distribuzione, sollecitato dall’ecommerce: nel 2025 i pacchi (1,8 miliardi di euro) peseranno sui ricavi più della corrispondenza, per oltre la metà di questa unità aziendale (3,9 miliardi di euro in totale). Nel periodo in questione, inoltre, la piattaforma di gruppo si arricchirà in ambito telecomunicazioni, con l’offerta di connessione internet a banda larga fttp e con un nuovo approccio energy-fintech. “Entrando nel 2022 nel mercato dell’energia, con un’offerta equa, competitiva e di semplice comprensione”, annuncia l’amministratore delegato Matteo Del Fante.

Sono alcuni aspetti del piano, che prevede ricavi di gruppo in crescita a 12,7 miliardi di euro nel 2024 (tasso annuo aggregato 3%, dal 2019) e utile netto a 1,6 miliardi di euro nel 2024 (Cagr +6%). Il punto di partenza è il programma Deliver22, che attraverso il sistema joint delivery model ha già permesso di consegnare 210 milioni di pacchi nel 2020, più del doppio del 2016. La quota di mercato dedicata alle consegne aziende-pubblico dovrebbe salire dal 35% al 38%, mentre quella per le spedizioni tra consumatori balzerà dal 41% al 57%.

“Entro fine anno o metà anno prossimo, terminerà la fase uno per rimodernare i centri di smistamento, poi passeremo agli 800 centri di distribuzione”, ha aggiunto Del Fante all’Ansa. Poste Italiane punta a zero emissioni nette entro il 2030 e il rinnovo della flotta dei portalettere consentirà di ridurre le emissioni del 40%, grazie a nuovi veicoli ibridi ed elettrici che serviranno due città italiane entro il 2021.

Più in generale, gli investimenti totali nel periodo 2021-2024 saranno 3,1 miliardi di euro e il 61% riguarderà l’information technology, anche per migrare verso il più grande cloud proprietario d’Italia. “La nostra strategia di creare un’architettura basata su cloud” ha portato Poste “ad essere il più grande utilizzatore di servizi cloud in Italia”, ricorda Del Fante. In ambito digitale, le carte di pagamento emesse saranno in totale 29,6 milioni nel 2024, con transazioni in aumento del 14% aggregato nel periodo 2019-24 (e per il solo e-commerce del 29% Cagr). I portafogli elettronici diventeranno 10,7 milioni (nel 2020 erano 7,4 milioni). Ai ricavi attesi del segmento (1,6 miliardi) ci sarà poi anche il contributo del settore energia, in un approccio fintech.

Così, se metà delle oltre 11 milioni di contatti giornalieri con i clienti saranno generati dai canali digitali e reti terze), un modello data-driven sarà adottato anche per la profilazione dei clienti da parte della piattaforma nei servizi finanziari, puntando a ricavi lordi per 5,9 miliardi di euro e 2,7 miliardi nel ramo assicurativo. La politica dei dividendi, basata su una consistente generazione di cassa e legata alle performance di gruppo, prevede un dividendo per azione iniziale di 0,55 euro per il 2021 (+14% rispetto al 2020) in crescita del 6% annuo fino al 2024.

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Il ritorno di Space Invaders in realtà aumentata

Author: Diego Barbera Wired

La storica società nipponica Taito ha collaborato alla riedizione del celebre videogame che sarà disponibile su Android e iPhone

space invaders realtà aumentata
(Foto: Square Enix / Taito)

Space Invaders è uno dei videogiochi più iconici e celebri di tutti i tempi ed è pronto a ritornare con una nuova veste in realtà aumentata per miscelare il mondo virtuale con quello reale in modo tutto nuovo. Il progetto è frutto di una collaborazione tra le due società videoludiche Square Enix Montréal e Taito.

Era stata proprio la nipponica Taito a produrre nel 1978 l’idea dello sviluppatore Tomohiro Nishikado di un gioco arcade dalla dinamica semplice e avvincente. In Space Invaders si deve difendere la Terra dall’invasione aliena muovendo un cannone per disintegrare le navicelle che si apprestano a sbarcare scendendo a zig zag. Le ondate si susseguono sempre più veloci e si avranno sempre meno protezioni. Il gioco ha segnato un’era ed è ancora oggi molto popolare come dimostrato da film, accessori e progetti artistici piuttosto originali.

Quarantatré anni dopo il debutto, Space Invaders è pronto al salto grazie alla realtà aumentata. Non ci sono ancora dettagli completi e definitivi, ma dal video di trailer qui sopra si può intuire che il nuovo titolo avrà una serie di modalità in cui si dovrà interagire con l’ambiente circostante per una serie di mini giochi ispirati al gameplay originario. Un po’ come avvenuto nella transizione in Ar della saga Pokémon con Pokémon Go oppure con Minecraft Earth.

Space Invaders in realtà aumentata sarà giocabile da dispositivi mobile come smartphone Android e iPhone, si dovrà attivare il gps per localizzarsi e i sensori a bordo (fotocamera e accelerometro) comprenderanno orientamento e applicheranno sul display uno strato arricchito alla realtà. È verosimile immaginare che la difesa della Terra dagli alieni richiederà un bel po’ di movimento da parte dell’utente per distruggere le navicelle.

Non c’è ancora una data precisa d’uscita né un eventuale prezzo (potrebbe essere gratis), la speranza è che al debutto ci sarà la possibilità di poter giocare in outdoor vista la situazione ancora delicata in tutto il mondo ancora alle prese con l’emergenza Covid-19. Nel frattempo, sul sito ufficiale del gioco è possibile pre-registrarsi per candidarsi come tester.

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L’intelligenza artificiale può cambiare davvero il modo di fare giornalismo?

Author: Dario d’Elia Wired

Francesco Marconi, autore di Newsmakers: Artificial Intelligence and the Future of Journalism, spiega come l’intelligenza artificiale può aiutare il giornalismo a compiere un passo in avanti

giornalismo-digitale
Foto di Daniel Friesenecker da Pixabay

L’intelligenza artificiale è già uno strumento a disposizione delle più importanti redazioni giornalistiche del mondo, sia per quanto riguarda la raccolta delle informazioni che per la loro elaborazione e distribuzione. L’Associated Press dispone di una tecnologia intelligente che trasforma i dati di ogni partita dell’Nba (National Basketball Association) in articoli d’anteprima senza alcun intervento umano, mentre l’agenzia stampa cinese Xinhua ha assunto il primo conduttore guidato dall’intelligenza artificiale del mondo. Sono solo alcuni esempi che Francesco Marconi, autore di Newsmakers: Artificial Intelligence and the Future of Journalism, ha citato nell’intervista a Wired. Chi meglio di lui avrebbe potuto aiutarci per fare il punto sull’argomento, considerato che è l’ex responsabile ricerca e sviluppo del Wall Street Journal, ricercatore affiliato del Mit Media Lab e fellow alla Columbia University Tow Center. Oggi a 34 anni vive a New York e dal 2020 lavora nella startup Applied Xl, che sviluppa strumenti in grado di automatizzare la raccolta dei dati per i giornalisti. Il 19 marzo interverrà alla Milano Digital Week per partecipare alla conferenza Media: come l’intelligenza artificiale cambia il mondo dell’informazione.

Le potenzialità appaiono enormi ma non si rischia che siano alla portata di poche realtà al mondo? Chi può permettersi di accedere a dati o servizi di elaborazione di tale portata?

“La ricerca tecnologica si muove più velocemente del giornalismo e non potrebbe essere altrimenti: l’informazione segue tempi diversi, dettati dalla cura che ogni realtà mette nella produzione dei propri contenuti e nel mantenimento di solidi standard editoriali. Per questo, per recepire le tecnologie in una redazione, sarà necessario un certo periodo di tempo, un periodo di assestamento diciamo.

Tuttavia, è vero che esiste un divario enorme tra le possibilità delle grandi testate giornalistiche, che hanno risorse finanziarie da investire in ricerca e sviluppo, e quelle delle redazioni più piccole che non hanno accesso alle nuove tecnologie. Per fare in modo che le informazioni rimangano fruibili a un’ampia fetta di popolazione, credo che questi nuovi strumenti di intelligenza artificiale dovrebbero diventare alla portata di tutti: strumenti di analisi dei dati open source e corsi online gratuiti potrebbero essere realizzati in collaborazione tra redazioni diverse o con istituzioni accademiche. Un modello in questo senso è il think tank Polis della London School of Economics, che recentemente ha annunciato una partnership (JournalismAi Collab) con oltre venti organizzazioni giornalistiche internazionali per sviluppare prototipi basati sull’Ai, studiando l’impatto che potrebbero avere durante la pandemia.

Alla crescente richiesta di informazioni di questo periodo non è corrisposto un aumento delle risorse giornalistiche, anzi: molti giornalisti hanno perso il lavoro proprio in seguito alla crisi economica dettata dal Covid-19 e questo ha influenzato anche la qualità delle notizie, soprattutto sui temi di salute pubblica. Tuttavia, nonostante la situazione disastrosa, questa crisi ha mostrato un effetto collaterale secondario, ma positivo: si è registrata una forte accelerazione nell’adozione di componenti innovative nel mondo dell’informazione.

Per esempio, l’Ansa ha avviato un progetto, basato proprio sull’intelligenza artificiale, per supportare i giornali locali sui temi riguardanti il Covid-19: in collaborazione con Applied Xl e con la Protezione civile, l’agenzia di stampa italiana è in grado di generare raccolte di notizie regionali sulla diffusione del virus. Molti innovatori del mondo dell’informazione riconoscono l’importanza che proprio il Covid-19 sta avendo nel giornalismo: in effetti, la pandemia è la ultimate data story.

Un giornalista non rischia di essere travolto da tutti questi dati perdendo la capacità di interpretazione della realtà? Un po’ come analizzare un fenomeno a livello atomico perdendone il senso nell’ambito più vicino alle persone. 

“Il mondo dell’informazione è sempre stato un campo altamente interdisciplinare, ma l’enorme mole di dati che la nostra società sta producendo ci spinge verso un nuovo tipo di giornalismo, il giornalismo computazionale, che aspira a spiegare i fatti di cronaca con lo stesso rigore che gli scienziati usano nello studiare il mondo naturale. In un certo senso, il nostro mestiere sta attraversando un processo di matematizzazione che lo sta riconvertendo in una vera e propria scienza, la Scienza dell’informazione.

L’esplosione dei dati sul web, quelli raccolti dai dispositivi mobili e dai satelliti, e poi le nuove possibilità di calcolo messe a disposizione proprio dalle intelligenze artificiali stanno creando l’ambiente ideale per trasformare il giornalismo e il cambiamento è già in atto: ormai siamo in grado di leggere milioni di documenti in pochi secondi o persino di usare immagini satellitari per misurare l’impatto della deforestazione su una certa nazione. In questo contesto, è naturale che si creino nuovi criteri di analisi anche per il mondo che ci circonda.

Forse il campo più all’avanguardia al momento è quello delle notizie finanziarie, che si avvicinano il più possibile al concetto di verità: i prezzi delle azioni e gli indici economici forniscono ai giornalisti una base univoca e condivisa per l’analisi dei mercati. Ma pensate a cosa potrebbe significare lo studio in tempo reale del nostro sistema sanitario o del livello di resilienza delle nostre città, pensate a cosa vorrebbe dire garantire un livello di informazione altissimo (come quello con cui seguiamo l’evoluzione della pandemia) su qualsiasi notizia del mondo.

Il giornalismo è ossessionato dall’idea della verità, dell’obiettività, e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale potrebbe consentire grandi passi avanti in questo senso. Basarsi soltanto su dati può aiutarci a riconoscere problematiche che, per bias cognitivi, non riusciamo a identificare: solo così le notizie potranno rimanere un faro, una guida per la costruzione della nostra società.

Certo, un’obiezione nasce spontanea: ma se tutto viene ridotto ai soli numeri, finiremo per perdere di vista la componente umana. È vero e per questo il ruolo dei giornalisti è e rimarrà per sempre una parte fondamentale: sono le storie a spiegarci come funziona il mondo e solo un essere umano è in grado di capirle. Ma questo non significa che non si possa portare un po’ di scientificità anche nel processo della costruzione di una storia: la frontiera dell’innovazione si sta muovendo verso lo sviluppo di algoritmi editoriali che siano in grado di seguire i dati in tempo reale e di elaborare approfondimenti.

Quel che oggi chiamiamo notizia nei prossimi decenni si evolverà in un concetto sempre più legato all’analisi di anomalie statistiche, a quel che è matematicamente imprevedibile o scientificamente improbabile. Cosa vuol dire? Che il futuro del giornalismo non sta nelle macchine, anzi. Si affiderà sempre di più ai giornalisti che diventeranno una sorta di ufficiali dell’informazione, grazie a una preziosissima collaborazione con la verità algoritmica“.

Sul fronte del “giornalismo+big data” chi è davvero all’avanguardia nel mondo? In Italia ci sono esempi in tal senso?

“Oltre agli esempi già citati, a livello globale, direi che Associated Press, il Wall Street Journal e Bloomberg sono tra le realtà più all’avanguardia. In Italia, invece, Ansa e Mediaset sono i più innovativi soprattutto per quanto riguarda l’uso delle intelligenze artificiali.

C’è da dire che la maggior parte delle testate giornalistiche (soprattutto quelle più antiche) negli anni hanno consolidato i loro processi in un modo così rigido che spesso diventa difficile introdurre nuove tecnologie. Non esiste una testata progettata nell’epoca dei big data, una che preveda l’utilizzo di macchine intelligenti per ogni processo, che possano garantire integrità giornalistica e velocità computazionale.

Per questo abbiamo fondato Applied Xl, una società che ha sede a New York per realizzare una nuova visione all’interno del giornalismo. Stiamo creando sistemi alimentati da algoritmi editoriali che estraggono e contestualizzano le informazioni in tempo reale e in ambiti molto particolari, come le scienze biologiche. Il nostro obiettivo è quello di automatizzare l’intero processo della creazione di una notizia: dalla sua nascita all’analisi dei dati, fino alla scrittura. Le nostre intelligenze artificiali sono in grado di trasformare report, articoli e dati di testo in alert dinamici, in modo che i nostri esperti possano avere una visione globale di quel che sta accadendo e di come si sta evolvendo.

Integrare l’intelligenza artificiale nel mondo dell’informazione è un processo cruciale, che potrebbe portare allo sviluppo di un giornalismo molto più veloce e affidabile. Se ci pensate, tutti noi prendiamo decisioni in base alle informazioni che leggiamo: come semplici cittadini, come professionisti e come aziende. Più velocemente reperiremo queste informazioni, più tempo avremo per preparare, valutare e mitigare le nostre scelte, soprattutto in vista dei rischi che sembra portare il prossimo decennio.

Dato che i dati si stanno spostando sempre di più nel mondo digitale, è naturale creare nuovi sistemi che ci permetteranno di monitorare costantemente alcuni campi che oggi non sono analizzati. Il machine learning e il natural language processing saranno fondamentali: entro i prossimi dieci anni, saremo in grado di reperire e raccogliere notizie in modo automatico e una velocità che oggi è inimmaginabile.

Certo, lo sviluppo degli algoritmi editoriali deve essere guidato da principi etici, con i giornalisti sempre al timone. Questo non significa che il giornalista dovrà diventare un tecnico o un programmatore per definire dei parametri algoritmici che siano affidabili, ma sarà necessario che capisca almeno come funziona il machine learning. In questa nuova realtà, la trasparenza degli algoritmi sarà una delle questioni più cruciali all’interno di tutte le redazioni”.

Francesco Marconi

Quali sono i pregi e difetti di un giornalismo basato su questi nuovi strumenti?

“Il giornalismo che nasce da un’intelligenza artificiale è guidato da algoritmi sofisticatissimi, ma non vuol dire che non sbagli mai. I giornalisti rimangono delle figure chiave nella discussione dei risultati e nella garanzia della validità di una notizia, ma soprattutto nel rispetto degli standard editoriali di una testata. Non sarà un compito facile: gli algoritmi sono esseri difficili da verificare e, quindi, diventerà complicato attribuirgli una qualsiasi dose di responsabilità.

Questo perché l’intelligenza artificiale è uno strumento creato dagli esseri umani e può commettere errori, proprio come noi. Errori che spesso nascono dai pregiudizi del nostro mondo e che siamo noi a passare alle nostre macchine. Il risultato di un algoritmo avrà un valore soltanto se gli input umani saranno corretti.

Il rischio più grande dell’intelligenza artificiale è proprio quello di propagare pregiudizi nell’informazione e per questo dobbiamo essere ben consapevoli di questi meccanismi quando implementiamo nuovi strumenti”.

Le norme sono adeguate per gestire questo tipo di dati nel campo dell’informazione? E la dentologia? Come si fa la verifica delle fonti?

“I giornalisti dovrebbero analizzare come funzionano gli algoritmi dall’interno: è di questo che si occupa l’algorithmic transparency reporting. Le intelligenze artificiali non possono essere delle black box, ma degli strumenti aperti in cui il passaggio dall’input all’output possa essere analizzato per intero. Per farlo, gli esperti dell’informazione devono ampliare le loro competenze, anche collaborando con data scientist e tecnici.

Se è vero che gli algoritmi diventeranno sempre più importanti nella nostra società, un loro errore potrebbe portare a conseguenze gravissime, a discriminazioni e violazioni della privacy, per citare solo alcuni esempi. È necessario fare ancora molta ricerca: il mondo degli algoritmi è relativamente giovane, anche se si sta sviluppando molto in fretta. Per questo i giornalisti dovrebbero essere in grado di analizzare le intelligenze artificiali, mettendo in discussione gli algoritmi sia all’interno che all’esterno di una redazione.

Tutti i sistemi che si basano sui big data dovrebbero seguire principi di trasparenza, di privacy e di responsabilità: anche se il processo è guidato da una macchina, il contributo umano è fondamentale per convalidare e contestualizzare qualsiasi tipo di dati. In inglese, questo approccio si chiama humans in the loop“.

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L’innovazione della salute inizia dalla prossimità. Il racconto di Wired Health 2021

Author: Gianluca Dotti Wired

Un recap della due giorni di Wired dedicata all’innovazione per la vita e al tema della proximity. Per esplorare il presente e il futuro della medicina e della salute si è spaziato dalla chirurgia robotica all’interoperabilità dei big data sanitari, tra occhi bionici, telemedicina, etica e patologie digitali

Wired Health 2021

Quanto del comparto healthcare può essere davvero digitalizzato? È questa la domanda che ha aperto la quarta edizione di Wired Health e che ha fatto da filo rosso in un appuntamento tutto dedicato al modo in cui il digitale – nelle sue diverse forme e sfaccettature – sta trasformando nel profondo il mondo della salute.

Una metamorfosi che di certo è spinta in avanti dalla pandemia e dall’emergenza sanitaria, ma che guarda anche oltre Covid-19 (come il nuovo numero primaverile di Wired) per dare concretezza a un nuovo paradigma sanitario fondato sul concetto di prossimità. Quella proximity che ha fatto da tema per Wired Health 2021, e che è evocativa sia del venire incontro alle esigenze delle persone (il ben noto paziente-centrismo) sia di quella vicinanza tra discipline che è terreno fertile per il progresso e l’innovazione in medicina.

Priorità di salute

Durante l’intensa due giorni di Wired, nelle oltre 15 ore di diretta streaming si sono alternati sul palco digitale dell’evento oltre 40 ospiti, italiani e internazionali. “Per anni siamo stati in dolce attesa della digital health, e con la pandemia è finalmente nata, ha detto in apertura dell’evento il futurologo e docente alla Singularity University Lucien Engelen. E se per la prima volta nella storia si potrà essere presenti nel momento stesso in cui emerge un bisogno di salute, “oggi il sistema sanitario è ancora troppo diagnostico e poco personalizzato, ed è per questo che occorre creare una value based health più che una value based healthcare, con una salute non solo digitale, ma anche delocalizzata, virtualizzata e democratica.

Sono quattro, in particolare, le priorità individuate da Bernardo Mariano Junior, direttore del Department of Digital Health and Innovation dell’Organizzazione mondiale della sanità. “Anzitutto, la salute digitale deve essere istituzionalizzata, ed è necessaria una strategia di integrazione per rompere quei silos che normalmente vediamo nel comparto healthcare”. Al terzo posto l’equilibrio tra privacy ed etica e, infine, “non possiamo lasciare nessuno indietro, inclusi i paesi meno ricchi e quelli in cui ancora non c’è accesso diffuso alle tecnologie digitali”.

La questione dell’accesso, come noto, non riguarda solo aspetti strettamente tecnologici, ma anche i vaccini, per i quali è necessaria una strategia globale, viste anche le varianti e le mutazioni del Sars-Cov-2. Un tema su cui ha insistito anche Giovanni Maga, virologo e direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia: Le mutazioni erano attese, ma non potevamo sapere quali sarebbero emerse e prevalse”. Come sappiamo, se una persona ha una risposta immunitaria non completamente efficace al virus, questo può moltiplicarsi nel corpo per un tempo sufficiente affinché possa svilupparsi nell’ospite una variante più resistente. “Ma il vaccino difficilmente esercita una pressione selettiva sulle varianti, proprio perché è molto efficace e non consente questo fenomeno”.

“Il problema è il nazionalismo vaccinale e l’interferenza dei governi sui mercati”, ha aggiunto Nikos Passas della Northeastern University, commentando che cosa funziona e cosa no a livello globale quando si tratta di sanità e giustizia. “Anche se un paese riesce a tenere i contagi sotto controllo, nel resto del mondo il virus continua a circolare, con il rischio di rendere gli attuali trattamenti e vaccini meno efficaci.

A proposito delle più generali attività messe in campo durante la pandemia, è intervenuto Pasquale Stanzione, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali. “A partire dalle attività di contact tracing, il tenere i dati protetti si è dimostrato presupposto irrinunciabile per creare fiducia nelle soluzioni digitali”. Le questioni principali che si pongono oggi, secondo Stanzione, sono riconducibili a due grosse categorie: “una è la tutela dei dati sanitari nell’ambito delle attività di prevenzione, e poi c’è la questione privacy di fronte alla digitalizzazione della vita imposta dalle misure di contenimento”.

Un tuffo nel mondo dei dati

Di dati sanitari e minacce di salute ha parlato a Wired Health anche Sally Davies, inviata speciale del governo britannico per il tema dell’antibiotico-resistenza. “Abbiamo bisogno di una sorveglianza capillare e diffusa in tutto il mondo: con Covid-19 abbiamo basato la risposta dei policy maker nei singoli stati sul numero di infezioni, di ricoveri e di vaccini somministrati. Abbiamo bisogno di questi dati paese per paese, e ne abbiamo bisogno anche per batteri, altri virus e patogeni che possono diffondersi nella popolazione, come pure nelle altre specie animali”. 

I numeri della salute, ma soprattutto gli aspetti etici, sono stati al centro della chiacchierata con Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’università di Oxford. “La scienza è un’operazione umana in cui si litiga e si discute, e negli ultimi mesi abbiamo visto un po’ troppo da vicino come la si fa: l’avere messo in pubblico questo processo non è stato preso bene, come se la scienza fosse qualcosa di sbagliato e inaffidabile. Ma non è così”. E prendendo spunto dal caso di stretta attualità del vaccino AstraZeneca, ha commentato: “Il problema è quando le informazioni vengono fornite al pubblico in modo contraddittorio. La trasparenza è necessaria, ma insufficiente. Serve trasparenza e contestualizzazione, ossia buona divulgazione: è inutile bombardare le persone con dati mal digeriti, contraddittori e presentati con la retorica sbagliata”.

Sul fronte dei wearable e dei sistemi di monitoraggio, raccontati dal punto di vista della Mayo Clinic Platform, si è discusso con il presidente John Halamka. “Cosa faremo con i dati raccolti dai dispositivi che indossiamo? Saranno dati accurati? Li utilizzeremo per prendere decisioni? Chi si occupa del loro controllo? Per tutte queste domande si stanno sviluppando algoritmi che possano trovare informazioni rilevanti nel rumore di fondo e decidere quando intervenire”. Si può pensare alla cardiologia per la prevenzione degli infarti, oppure fare diagnosi a partire dalla voce, o ancora individuare ansia o depressione dal modo in cui si usa lo smartphone.

Sempre i dati, ma sul fronte dell’interoperabilità, sono stati al centro del talk che ha aperto la seconda giornata dell’evento, insieme al Chief Clinical Officer di Himss Charles Alessi. “Ora abbiamo bisogno di capire a fondo la differenza tra medicine e healthcare, o tra sanità e salute: un conto è il trattamento per una condizione clinica, un altro è riuscire a non essere affetti da quella condizione”. Un approccio che ha senso nel paradigma della medicina di precisione e personalizzata, in cui si tiene conto dalla genetica agli stili di vita, e soprattutto si sostituisce l’idea di trattamento con quella di un accompagnamento lungo tutto il percorso di vita.

Finanziamenti e trasferimenti

Oltre che in termini di fiducia, le istituzioni hanno un ruolo decisivo anche nel favorire scoperte e innovazioni. Se n’è parlato, nell’ambito del Next Generation Eu, con il vicepresidente dello European research council (Erc) Nektarios Tavernarakis: “Più un paese investe in ricerca e più diventa attrattivo sia nei confronti delle aziende sia dei finanziamenti europei in ricerca e sviluppo”, ha raccontato. “Lo stiamo vedendo con i vaccini anti Covid-19, da Pfizer-Biontech a Oxford-AstraZeneca: i finanziamenti hanno un impatto decisivo nell’affrontare le sfide pubbliche di sanità e nel fronteggiare crisi imprevedibili, e l’ideale è conciliare quelli nazionali con le risorse a disposizione in contesti internazionali”. A rafforzare il punto è stato anche Stefano Persano, ricercatore dell’Istituto italiano di tecnologia Iit: “La tecnologia a rna messaggero, che può stimolare una risposta immunitaria migliore rispetto alle altre piattaforme vaccinali, è stata praticamente ignorata in Italia. Ora la speranza è che dopo la pandemia venga rivalutata”.

“Se qualche anno fa si fosse parlato di nuove piattaforme vaccinali e di formulazioni a rna messaggero come il futuro prossimo, nessuno ci avrebbe creduto”, ha aggiunto Tom Hockaday, direttore di Technology Transfer Innovation Ltd. E se il ruolo del trasferimento tecnologico è concretizzare le opportunità, “serve una buona comprensione del valore che esce dalle università, e allo stesso tempo della domanda che emerge da aziende e investitori”. Un esempio specifico è quello della stampa 3d per la salute, portato sul palco di Wired Health dal professore dell’università del Minnesota Michael C. McAlpine“Inizialmente l’idea di produrre parti tridimensionali per il corpo umano era quella di ripristinare funzioni preesistenti, ma in futuro possiamo immaginare di aumentare la capacità del corpo umano, generando umani X con funzioni dall’occhio bionico ai neuro stimolatori“.

Le strategie per facilitare ricerca e trasferimento tecnologico sono state anche al centro del confronto tra Aleksandra Torbica dell’università Bocconi e il presidente dello Human Technopole Marco Simoni. “Le riforme sanitarie più recenti si sono concentrate sui livelli più specialistici, e non sulle questioni di base”, ha spiegato Torbika. E ha aggiunto che “nella gestione della crisi sanitaria, non solo in Italia, è emersa la criticità a livello di medicina territoriale. Ma ci sono elementi di forza di cui ci siamo accorti. “Con l’arrivo dei vaccini in un solo anno, siamo davanti a uno dei risultati più straordinari della storia dell’umanità, paragonabile allo sbarco sulla Luna”, ha detto Simoni. “Abbiamo molti vaccini diversi in centinaia di milioni di dosi: un risultato impensabile anche solo 10 anni fa, frutto non delle capacità degli stati e nemmeno del libero mercato, ma alla loro collaborazione”.

La vera sfida del trasferimento tecnologico è anche prendersi cura degli aspetti di business e certificazione. “Questa difficoltà cade sulle spalle dei team, soprattutto delle startup, che devono essere capaci sia dal punto di vista tecnico e scientifico sia manageriale”, ha spiegato Chiara Giovenzana di Enea Tech. E se nell’ultimo decennio si è visto un grande sviluppo biotecnologico, “oncologia e malattie rare rimangono i settori con il maggior grado di investimenti”, ha specificato Federica Draghi di Genextra. “Dal punto di vista dell’ecosistema startup, l’Europa e in particolare l’Italia è in ritardo e, anche se i capitali stanno arrivando, sono inferiori al bisogno”, ha aggiunto Alberto Onetti di Mind the bridge, spiegando che se abbiamo colmato il gap negli early investment, siamo ancora molto carenti nel late stage. “La tecnologia è un aspetto critico dell’innovazione in medicina, ma non basta per attrarre capitali, bisogna capire chi è disposto a pagare per che cosa, e perché”, ha specificato Yoav Fisher di HealthIL.org.

Ma come poi far arrivare le soluzioni high tech e di intelligenza artificiale tra le mani di medici e pazienti? “Esiste un sistema predittivo per produrre raccomandazioni per chi soffre di patologie croniche, oppure un algoritmo che valuta la diffusione del diabete in una popolazione sulla base dei dati individuali raccolti”, ha raccontato Indra Joshi, esperta di digitalizzazione dei sistemi sanitari pubblici e direttrice della sezione AI all’Nhsx. Oppure, pensando a oncologi e pneumologi, c’è in sviluppo avanzato un sistema di imaging per gli stadi più precoci dello sviluppo del tumore al polmone.

Questioni di prossimità

Il tema centrale della due giorni, la già citata proximity, è stato protagonista della chiacchierata con la Ceo di Proximie Nadine Hachach-Haram, che si è concentrata soprattutto sulle frontiere della chirurgia. “Gli interventi con robot chirurghi non sono una questione di giocattoli milionari, della sola qualità dell’ambiente ospedaliero o del fattore umano: tutto ruota intorno al paziente e al trovare soluzioni su misura ed efficaci”. E spingendosi nella cosiddetta chirurgia 3.0, “la partnership stessa tra chirurgo e robot è destinata a evolvere”, ha detto Antonino Spinelli di Humanitas. Se da un lato ci sono studi che evidenziano come i robot siamo già in grado di svolgere compiti medio-semplici addirittura meglio del chirurgo, dall’altro “i robot stanno assumendo un ruolo significativo anche nella fase decisionale, scegliendo insieme al medico il miglior modo di intervenire”.

Ma non c’è solo lo sviluppo tecnologico. “Nella corsa globale verso l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel mondo della salute, c’è un rischio per l’Europa di trovarsi indietro o di focalizzarsi troppo sulla parte regolatoria e normativa più che sull’innovare e sullo sviluppare soluzioni high tech di salute”, ha chiosato il Ceo di Eit Health Jan-Philipp Beck. La parte regolatoria avrà un ruolo chiave sull’intelligenza artificiale nei prossimi 5 anni, però serve un contesto che favorisca investimenti e iniziative. E in questo senso, “In un contesto molto frammentato, la possibilità di mettere in contatto realtà diverse e fisicamente vicine può aprire collaborazioni che vanno anche al di là del singolo servizio, soprattutto in un mercato come quello della logistica sanitaria”, ha aggiunto Guido Bourelly, Ceo di Saluber.

Non c’è dubbio, però, che la pandemia abbia notevolmente cambiato il contesto. “Nel mondo delle startup sono molto aumentati gli investimenti nell’healthcare e nel biotech, con un +180%”, ha raccontato Francesco Iervolino, partner di Deloitte Officine Innovazione. “I bisogni delle persone e del mercato cambiano sempre più in fretta, e intercettare questi cambiamenti è decisivo”. Per esempio, “La pandemia ha fatto capire che c’è bisogno di nuove innovazioni, e percepisce la tecnologia non più come qualcosa che fa paura ma come un bisogno, ha aggiunto Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Iit. Anche nella robotica si sono manifestate delle necessità che i ricercatori ritenevano interessanti, ma erano sempre rimaste nell’ambito della ricerca di base. “Esempi sono i robot che possono fare servizio negli ospedali e supportare pazienti e medici, tele-operati o autonomi, che possano fornire una telemedicina avanzata.

Ricerca scientifica, dispositivi e norme

A proposito di novità, il prossimo 26 maggio entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo sui dispositivi medici, che introduce la sorveglianza post-market. “Verificare a posteriori il dispositivo medico introdotto sul mercato ne assicura il perfetto funzionamento. I prodotti non saranno solo più controllati, ma anche più sicuri”, ha commentato il presidente di Confindustria dispositivi medici Massimiliano Boggetti. Di biomeccatronica e neurotecnologie per il trattamento della malattia di Parkinson si è parlato con Christos Kapatos di Serg Technologies. Anche se nessuna tecnologia può monitorare da remoto tutti i sintomi di un paziente, soprattutto per condizioni complesse, “oggi abbiamo un bisogno globale di sistemi di monitoraggio quantitativo da remoto, anche per mettere a punto trattamenti sulla base dei sintomi reali”.

A Wired Health si è parlato anche di molto altro. Della diabetologia di domani in una masterclass digitale con Stefano Quintarelli delle Nazioni unite, il presidente della Società italiana di diabetologia Agostino Consoli e Katia Massaroni di Sanofi. Ma anche dell’empowerment del paziente diabetico con Stefania Rinaldi di Novo Nordisk: “Il 2020 ha contribuito a evidenziare la fragilità del paziente col diabete, e per la logistica si è cercato di combinare l’innovazione tecnologica e la sostenibilità ambientale”. Fino agli esempi più high tech di consegna di insulina tramite droni.

“Il quinquennio che si apre sarà quello decisivo per avere un sistema sanitario unico e digitale entro il 2025”, ha detto, parlando di sano invecchiamento e di innovazione degli obiettivi di cura, Davide Bottalico di Takeda Italia. Ma, ha aggiunto il vicepresidente della Società italiana di medicina generale Ovidio Brignoli“per fornire l’eccellenza delle cure serve conciliare l’aspetto culturale di formazione dei medici con l’organizzazione, che oggi è carente nelle cure primarie”. Punti che hanno molto a che fare con la gestione del fondo Next Generation Eu, come ha sottolineato Federico Protto di Retelit: “Insieme alla finanza, la sanità è il settore più soggetto agli attacchi hacker. Sicurezza, prossimità e telemedicina sono i cardini della trasformazione digitale della medicina, a cui sono destinati 60-70 miliardi di euro”. Fino ad arrivare alla sanità territoriale e al paradigma della salute sotto casa. “Il 53% delle persone oggi ritiene gli ospedali e gli ambulatori dei luoghi ad alto rischio, e da qui discendono la mancata prevenzione e i ritardi nelle diagnosi. Per questo bisogna far sì che i pazienti possano ricevere più cure possibile direttamente a casa”, ha spiegato Gabriele Allegri di Janssen Italia.

Prendersi cura dei disabili e accessibilità della salute sono stati affrontati insieme a Ilaria Catalano di Msd Italia, “mai come in questo periodo è fondamentale continuare a investire in ricerca e sviluppo, e chiedersi – come aziende della salute – che cosa si stia facendo per gli altri all’interno di una comunità”. “Tutti devono fare la propria parte affinché i fondi arrivino, con un’idea di sviluppo condiviso e piani di sviluppo pragmatici”, ha aggiunto Alice Zilioli di Roche Italia.

Un futuro di telemedicina e immunoterapie

Molto si è discusso anche dei cambiamenti strutturali nella sanità, come l’accelerazione della telemedicina. “Prima della pandemia avevamo la soluzione, senza però avere ancora il problema”, ha sintetizzato Elena Sini di HIMSS Europe Governing Council. “Oggi abbiamo sistemi di telemedicina molto più curati e promossi, ma serve un approccio organico alla digitalizzazione”, ha aggiunto Fabio Tigani di Philips. E l’anno della pandemia ha messo al centro la medicina di laboratorio, “soprattutto per l’opinione pubblica, in quanto è centrale nella clinica e nella diagnostica”, ha commentato Riccardo Manca di Lifebrain.

Infine, entrando nel merito delle specifiche branche della medicina,  con Alessandro Repici di Humanitas si è parlato di tumore del colon e di come la prevenzione sia essenziale e soprattutto di come sia “inaccettabile che circa il 75% degli operatori che eseguono la colonscopia non abbia una capacità diagnostica minima per rilevare questa patologia”. Insieme a Luigi Terracciano della Humanitas University è invece tornati sulla chirurgia robotica, spiegando che “consente non solo più precisione, ma pure un’invasività decisamente minore, con perdite ematiche rasenti allo zero”. Ciò significa meno complicanze e recupero più veloce, con “vantaggi che si riscontrano ancora più evidenti per i pazienti obesi”.

Nel dettaglio della chirurgia robotica spinale, ma anche della formazione, è entrato Carlo Alberto Benech dell’Humanitas Cellini di Torino, “il robot è utile soprattutto nella parte di navigazione in tempo reale della chirurgia robotica assistita, come il Gps di un’automobile”. E la ricercatrice Airc Francesca Del Bufalo dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma ha fatto il punto sullo stato dell’arte delle immunoterapie per combattere i tumori. “L’obiettivo è arrivare a dimostrare la stessa efficacia dalla radioterapia e dalla chemioterapia: anche se oggi siamo lontani, ci sono grandi potenzialità in ambito ematologico, e le prospettive sono incoraggianti per molte altre aree oncologiche”.

Wired Health, organizzato in occasione della Milano Digital Week, è stato possibile anche grazie al supporto di alcuni partner.

Partner scientifico: Humanitas

Main partner: Alfasigma, Janssen, Lifebrain, Msd, Novo Nordisk, Roche, Sanofi, Takeda, Vree Health

Partner: Philips, Retelit

Sponsor: Deloitte

Networking partner: HealthTech Europe, Himss

Production: Piano B

Location: Mini Studio – The Digital Playground

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Tecnologia

L’Ema ha stabilito che il vaccino di AstraZeneca è “sicuro ed efficace”

Author: Marta Musso Wired

Il parere dell’Ema ha negato il nesso tra il vaccino e gli eventi tromboembolici che avevano portato alla sua sospensione temporanea, dopo aver più volte ribadito che la campagna vaccinale europea deve continuare

(foto: Dan Kitwood/Getty Images)

L’Agenzia europea dei medicinali (Ema) si è nuovamente pronunciata sul vaccino anti-Covid sviluppato da AstraZeneca e sul suo possibile legame con gli eventi tromboembolici registrati nei giorni scorsi, che hanno spinto diversi paesi europei a sospenderne in via cautelativa la somministrazione. Nella conferenza stampa del 18 marzo, gli esperti del Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (Prac) dell’Ema, dopo un’approfondita valutazione sulla sicurezza, hanno espresso il loro parere, dichiarando che il vaccino è sicuro ed efficace, e “non è associabile ad un aumento di eventi tromboembolici”. In sostanza, quindi, il rapporto rischi-benefici del vaccino di AstraZeneca continua a essere positivo e la sua somministrazione potrà continuare in Europa.

“I benefici superano i rischi”, ha riferito Emer Cooke, direttore dell’Ema durante la conferenza stampa. “Il vaccino è sicuro ed efficace ed escludiamo relazioni con i casi di trombosi”, prosegue l’esperta sottolineando che il suo utilizzo dovrebbe proseguire, ma che comunque ci saranno ulteriori analisi per indagare e capirne di più riguardo questi eventi avversi rari.  In sostanza, sebbene un nesso causale non è dimostrato, potrebbe essere possibile e merita ulteriori approfondimenti. Al momento, proseguono gli esperti, sono state vaccinate 7 milioni di persone in Europa e 11 milioni in Gran Bretagna e non c’è evidenza di un problema relativo a precisi lotti o a particolari siti di produzione.

Un via libera atteso da tutti, dai governi ai cittadini, che porterà quindi alla ripresa delle somministrazioni e delle campagne di immunizzazione con questo vaccino in molti dei paesi europei, Italia compresa, che ne avevano sospeso temporaneamente l’uso. A scatenare la sospensione, in particolare, erano stati i casi registrati in Germania (7, di cui 3 decessi) di una rara forma di trombosi, associata a un calo di piastrine e sanguinamento, che ha dato seguito agli stop delle somministrazioni del vaccino. Come più volte ribadito dalla stessa Ema, tuttavia, fino al 10 marzo si erano registrati 30 casi di eventi tromboembolici su 5 milioni di persone vaccinate. Un numero, quindi, non superiore a quello osservato nella popolazione generale.

Anche l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si è espressa recentemente in questi termini, dichiarando che il tromboembolismo venoso è la terza malattia cardiovascolare più comune a livello globale e che in campagne di vaccinazione di massa è normale che vengano segnalati potenziali eventi avversi a seguito della somministrazione del vaccino. “In questo momento l’Oms ritiene che i benefici del vaccino AstraZeneca superino i suoi rischi e raccomanda di continuare le vaccinazioni”, hanno spiegato dall’Oms.

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