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Come funziona HoloLens, la realtà mista di Microsoft

Per la prima volta i tecnici di Microsoft hanno svelato su quali componenti hardware poggia HoloLens, occhiali per la realtà virtuale e aumentata.
In realtà, da qualche tempo a questa parte, a Redmond si preferisce riferirsi a HoloLens come una innovativa piattaforma per la mixed reality (“realtà mista”). L’espressione viene usata intendendo il concetto di realtà virtuale combinata con immagini olografiche e per indicare l’integrazione fra immagini generate in digitale e immagini del mondo reale.

Gli occhiali HoloLens non usano infatti uno schermo OLED come altri visori ma proiettano gli ologrammi proprio davanti agli occhi dell’indossatore.
Grazie ad un particolare sistema, non ancora abbracciato dalla concorrenza, HoloLens può garantire un eye box di vasta dimensione. In altre parole, il contenitore virtuale sul quale possono essere proiettate le immagini è davvero esteso, molto di più rispetto a qualunque soluzione ad oggi conosciuta.

Come funziona HoloLens, la realtà mista di Microsoft

La Holographic Processing Unit (HPU), la cui struttura era stata sino ad oggi mantenuta segreta, poggia il suo funzionamento su un coprocessore realizzato da TSMC con un processo produttivo a 24 nm. Tale unità è a sua volta composta di 24 core DSP (processore di segnale digitale) Tensilica distribuiti in 12 cluster. La HPU di HoloLens consta di 65 milioni di porte logiche, 8 MB di SRAM, 1 GB di RAM DDR3 a basso consumo energetico. Il tutto miniaturizzato all’interno di un package BGA delle dimensioni di 12×12 millimetri.La HPU è in grado di gestire i dati in arrivo da tutti i sensori e, contemporaneamente, di elaborare i movimenti dell’indossatore degli occhiali. Tutte le operazioni sono condotte in hardware e l’elaborazione risulta molto più veloce rispetto all’equivalente codice eseguito su una CPU general-purpose.
A ciascun DSP, poi, gli ingegneri responsabili del progetto HoloLens hanno assegnato compiti specifici.

La HPU viene abbinata a un SoC Intel Atom x86 Cherry Trail (processo costruttivo a 14 nm) che dispone di per sé di 1 GB di RAM ed è in grado di eseguire Windows 10 e le sue app.

Come funziona HoloLens, la realtà mista di Microsoft

Nick Baker, ingegnere in forza presso il Microsoft Devices Group, ha fatto presente che l’azienda ha deciso sin dall’inizio di scartare CPU o SoC CPU+GPU di tipo tradizionale preferendo un design “fatto su misura” per gli scopi di HoloLons.
Stando a quanto dichiarato da Baker, nessuno dei DSP viene al momento fatto lavorare oltre il 50% della sua potenza; il che offre importanti margini di miglioramento e ottimizzazione del prodotto.

Ricchissima la dotazione di HoloLens in termini di sensori: quattro videocamere riprendono l’ambiente circostante, è presente una videocamera di profondità (che viene tra l’altro usata per ricostruire in 3D l’ambiente reale; utilissima per sovrapporre gli ologrammi agli oggetti fisicamente presenti in una stanza), un sensore di luce ambientale e una più ordinaria videocamera da 2 Megapixel.
Il vantaggio di HoloLens è che tutto funziona senza ausili esterni: basta indossare gli occhiali per vivere l’esperienza della realtà mista.

I primi esemplari di HoloLens sono stati consegnati agli sviluppatori già a marzo e ancor’oggi vengono consegnati solo a chi è realmente interessato all’oneroso prezzo di 3.000 dollari.

Con la recente “apertura” della piattaforma Windows Holographic (Microsoft apre la piattaforma Windows Holographic) e il rilascio di un apposito emulatore (L’emulatore HoloLens, creare app per la realtà aumentata), dal prossimo anno HoloLens potrebbe cominciare a diventare un prodotto un po’ più mainstream. Nel 2017, infatti, Windows Holographic sarà portato sui PC Windows 10.

Autore: IlSoftware.it

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Energia

Il senso economico dell’accumulo elettrico, tra dati reali e previsioni

McKinsey ha incrociato migliaia di informazioni provenienti da utilities, produttori di batterie e utenze commerciali, per valutare quando conviene utilizzare l’energia elettrica accumulata, anziché prelevarla dalla rete. Intanto GlobalData prevede 14 GW di capacità installata di energy storage nel 2020.

L’accumulo elettricochimico è conveniente, per quali utenti e per quale tipo di applicazioni? È molto difficile rispondere a questa domanda, come ammette la stessa società di consulenza McKinsey, che di recente ha pubblicato un nuovo studio sulle potenzialità presenti e future dell’energy storage.

Una cosa è certa: l’attenzione verso i sistemi di accumulo, in primis le batterie al litio, è altissima, da parte di un numero crescente di utilities (vedi QualEnergia.it) perché elevata è la posta in gioco, cioè riuscire a immagazzinare energia in modo efficiente, sicuro e poco costoso.

Allo storage, infatti, è affidata una missione cruciale: superare i limiti delle tecnologie pulite, la cui produzione elettrica è soggetta alla variabilità delle condizioni meteorologiche.

L’eolico e il fotovoltaico, per essere affidabili al 100%, hanno bisogno di una “stampella” pronta a supportare la fonte rinnovabile quando mancano sole e vento. L’accumulo assolve proprio questa e altre funzioni, ad esempio incrementare l’utilizzo di energia verde, stoccandola nelle batterie per poi rilasciarla in un secondo momento.

Quando conviene lo storage

L’analisi di McKinsey è partita dal seguente problema: identificare i progetti e i clienti più appetibili nel mercato dello storage. Le variabili da considerare sono parecchie, soprattutto quanto costa l’energia elettrica e come viene usata, poi il prezzo delle batterie.

Il modello elaborato da McKinsey, quindi, ha incrociato tre tipi di dati “reali”: oltre un migliaio di profili di carico in altrettanti edifici in diverse città americane (produzione/consumo di elettricità a intervalli di secondi o minuti per almeno un anno), le caratteristiche di numerosi tipi di batterie, inclusi relativi prezzi e rendimenti, le tariffe elettriche di dozzine di utilities.

I risultati, riassunti nel grafico sotto, mostrano che l’energy storage è già profittevole per alcune applicazioni degli utenti commerciali, tra cui uffici di varie dimensioni e piccoli alberghi. La prima applicazione citata da McKinsey è la cosiddetta “demand-charge management”, la gestione dei carichi di domanda.

In sintesi, spesso conviene sfruttare l’elettricità accumulata nella batteria per diminuire il consumo di picco, cioè la quantità massima di energia che l’utente può prelevare dalla rete (vedi anche QualEnergia.it).

Secondo il modello, in America settentrionale la convenienza c’è quando il cliente deve pagare almeno 9 €/kW al suo fornitore per il carico aggiuntivo, anche se tale asticella dovrebbe scendere a 4-5 dollari nel 2020 grazie alla riduzione dei costi delle batterie al litio.

Previsioni al 2020

Sempre in tema di costi, McKinsey ritiene che il prezzo dello storage potrà dimezzarsi nei prossimi quattro anni, arrivando a circa 200 €/kWh nel 2020, per poi scendere a 160 o anche di meno nei cinque anni successivi.

Va detto che al momento l’accumulo elettrico è una goccia nell’oceano, con appena 221 MW di capacità installata negli Stati Uniti nel 2015, il triplo rispetto ai dodici mesi precedenti ma pur sempre pochissimo in confronto all’entità del sistema elettrico a stelle e strisce.

Secondo le ultime previsioni di GlobalData, la capacità installata nei dispositivi di storage energetico a livello mondiale toccherà 14 GW nel 2020 (era 1,5 GW nel 2015); inoltre, gli Stati Uniti continueranno a essere il primo mercato globale, con un valore stimato in 1,7 miliardi di dollari tra quattro anni.

Con la crescita costante delle fonti rinnovabili, evidenzia GlobalData, la regolazione di frequenza sarà una delle applicazioni più importanti per lo storage di rete. Le batterie consentiranno di bilanciare in tempo reale domanda e offerta di elettricità, smorzando i picchi di consumo e le continue variazioni dell’output energetico sulle linee di trasmissione e distribuzione.

L’articolo con la sintesi dello studio McKinsey: The new economics of energy storage

Autore: QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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Parrot Zik 3: alla terza generazione il risultato è ottimo

La terza generazione delle cuffie Zik di Parrot unisce il riuscito design di Philippe Starck e il cuore audio del secondo modello ad alcune migliorie funzionali ed ergonomiche. Il risultato è un paio di cuffie circumaurali a cancellazione attiva del rumore in grado di soddisfare diverse esigenze di ascolto

Tag: cuffieNoise CancelingParrotRecensione

Autore: TVtech – Video e Web Tv sulla tecnologia, sull’informatica e sul mondo ICT – Ultimi Video

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HardwareSoftware

Video Facebook più invadenti? in test riproduzione automatica con audio attivo

Facebook non ha fatto mistero di voler rendere il social network una piattaforma sempre più ottimizzata per la diffusione dei video, si pensi ad esempio, al servizio Facebook Live. Facebook ha già previsto un’opzione per l’Auto-Play dei video condivisi tramite il popolare social, ma, recentemente, ha iniziato a testare una nuova opzione nelle app mobile tramite la quale i video riprodotti in automatico sono subito accompagnati dalla traccia sonora. 

facebook

Al momento i test sono stati condotti su un ristretto gruppo di utenti nel mercato australiano e sono svolti secondo due distinte modalità. Nella prima, il suono del video viene riprodotto immediatamente non appena parte il video, se la riproduzione dei suoni è attiva sullo smartphone. Un secondo gruppo di utenti ha avuto la possibilità di disattivare il suono durante la sessione di test interagendo con un’icona posizionata nella parte inferiore destra del video. 

Entrambi i gruppi di utenti hanno visualizzato un messaggio pop-up contenente le informazioni su come gestire la nuova feature. Si tratterebbe di un’opzione comunque disattivabile a discrezione dell’utente anche tramite le impostazioni dell’app mobile. La notizia è stata confermata da un portavoce di Facebook a Mashable Australia

Stiamo eseguendo un piccolo test in News Feed in base al quale gli utenti possono scegliere se vogliono vedere un video con il suono sin dall’inizio. Gli utenti che in questo test non vogliono che il suono venga riprodotto possono disattivarlo tramite le impostazioni o direttamente sul video. Questo è uno dei tanti test che stiamo eseguendo per migliorare l’esperienza video degli utenti Facebook. 

Un test che, sottolinea la fonte, andrebbe contro le stesse risultanze di uno studio elaborato da Facebook stessa, seppur con specifico riferimento ai video pubblicitari inseriti nel News Feed. Come emerso nello studio pubblicato il 10 febbraio scorso, l’80% degli utenti che assiste ad un video pubblicitario con audio riprodotto ad alto volume in maniera inaspettata reagisce negativamente. 

Per buona pace di chi preferisce frequentare il social network nel silenzio assoluto, o, al massimo, scegliendo tracce audio di propria scelta, la funzione non risulta ancora attiva su vasta scala. I risultati della nuova sessione di test saranno determinanti per stabilire se si tratterà o meno di un feature standardizzata ed attivata per tutti gli utenti Facebook o di un esperimento senza seguito. 

Autore: Le news di Hardware Upgrade

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FRA909 Tv – GIANNI SABATO @ RIOBO GALLIPOLI 2016

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