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Come si pulisce il David di Michelangelo

Author: Wired

Nome: David. Nata di nascita: 8 settembre 1504. Altezza: 571 centimetri. Peso: 5.560 chili. Segni particolari: capolavoro della scultura mondiale, emblema del Rinascimento, simbolo di Firenze, icona pop. Curiosità: si pulisce ogni 60 giorni. Wired vi racconta come. La prossima “toeletta” è fissata per lunedì 25 settembre, quando le abili mani di Eleonora Pucci, la sola restauratrice del museo autorizzata all’operazione, si prenderà ancora una volta cura della gigantesca statua di Michelangelo, realizzata dal maestro tra il 1501 e il 1504, e posata su un basamento di 108 centimetri, nel cuore della Galleria dell’Accademia di Firenze.

A museo rigorosamente chiuso (ecco spiegato il perché del lunedì), una squadra apposita porta nella sala del David un trabatello mobile, uno di quei ponteggi che spesso vediamo nei cantieri, ma in questo caso è un macchinario adatto a scalare la cima del David e perfetto anche per girarci intorno senza fare danni.  Pucci vi sale sopra e, centimetro dopo centimetro, si dedica a togliere la polvere della statua rinascimentale più famosa del mondo. La trafila dura parecchio: per le operazioni di spolveratura la restauratrice usa pennelli di diverse dimensioni a setole sintetiche capaci di attirare più polvere possibile, senza fare danni. Ma questo non basta: contemporaneamente, la parte più volatile viene aspirata da un aspiratore museale, sofisticato al punto giusto da cogliere anche il particolato più sottile.

Pulizie accurate

Il punto più critico? I riccioli del capo. È qui che si annidano polvere e ragnetti con le loro ragnatele ed è qui che, usando pennelli dalle setole morbide di diversa misura, le mani della restauratrice lavorano con particolare cura. “Le nuove tecnologie sono importanti, ma sono gli occhi e la mano di un restauratore esperto a fare la differenza in un’operazione come questa. Una macchina automatica non potrà mai fare da sola questo lavoro: servono sensibilità e controllo”, racconta a Wired Cecilie Hollberg, 56 anni, tedesca, dal 2015 direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze.

La testa e le parti più ruvide, come il tronco e la fionda sulla schiena, sono senza dubbio le più complesse perché è qui che si annidano i ragnetti e la polvere – aggiunge la direttrice -. Dobbiamo pensare che il David viene ammirato ogni giorno da 10mila visitatori, ciascuno dei quali porta con sé polvere che con il movimento d’aria gira nella stanza e, a causa dell’umidità, si trasforma in una sorta di minuscolo laniccio che si appoggia sulla superficie dell’opera. Ci siamo ormai assestati su una pulitura ogni due mesi: abbiamo visto che, tenendo questo ritmo, evitiamo che la polvere umida si depositi troppo stabilmente. L’accumulo di depositi toglierebbe luminosità al marmo, ne ingrigirebbe la superficie: avremmo un David meno bello e splendente. Ma non è solo questo il vantaggio della spolveratura: questa delicata rimozione costante favorisce la conservazione del marmo”.

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Economia Tecnologia

Il primo impianto italiano di idrogeno verde

Author: Wired

A Pizzighettone, in provincia di Cremona, H2 Energy ha inaugurato il primo impianto italiano di idrogeno verde, ma quel che conta davvero è che si tratta di una delle rare soluzioni al mondo industrializzabili: può essere prodotto in serie e richiede una manutenzione piuttosto agevole. “È una macchina modulare che viene pre-assemblata in linea, testata e poi installata in loco. I pochi concorrenti che offrono un elettrolizzatore di questo tipo non hanno ingegnerizzato la manutenzione, mentre noi consentiamo interventi di poche ore e l’ispezione dall’interno. Questa prima versione da 1 megawatt occupa lo spazio di un container standard da 45 piedi abbinato a uno più piccolo da 20 piedi, ma sappiamo già come intervenire per ridurre gli ingombri della prossima versione“, spiega a Wired Claudio Mascialino, co-fondatore della pmi innovativa.

L’impianto, di fatto meno ingombrante di un autoarticolato, serve a generare idrogeno verde partendo da energia rinnovabile e acqua opportunamente trattata. “Ma attenzione a non confonderlo con l’idrogeno rinnovabile che viene prodotto sequestrando CO2, perché in quel caso si chiama idrogeno blu“, puntualizza l’ingegnere. L’obiettivo è puntare sul cosiddetto load shifting, ovvero assorbire l’energia elettrica rinnovabile in eccesso – in relazione alla domanda – per poi rilasciarla nei momenti di bisogno. Un’altra possibilità è quella di usarlo per la realizzazione di altri prodotti chimici, come l’ammoniaca, urea, metanolo.

L'impianto H2 Energy

L’impianto H2 Energy

Le opportunità dell’idrogeno

L’approvazione e la ratifica da parte dell’Unione Eeuropea dell’Accordo di Parigi prevede di raggiungere emissioni zero entro il 2050. Inoltre a marzo i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europea hanno trovato l’accordo sulla nuova revisione della Direttiva sulle energie rinnovabili, chiamata Red III, stabilisce che i consumi comunitari complessivi, al 2030, raggiungano almeno il 42,5% da fonti rinnovabili.

Questo spiega anche il motivo per cui è stato riconosciuto un trattamento di favore alla produzione di idrogeno che non prevederà oneri di dispacciamento nel caso l’impianto venga alimentato con rinnovabili. Ad ogni modo sebbene il nostro impianto sia flessibile rispetto all’energia in ingresso per farlo lavorare a regime, circa 8mila ore l’anno, sarebbe bene impiegare fotovoltaico, eolico e magari anche impianti che usano biomasse come combustibile“, sottolinea l’ingegnere.

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Tecnologia

Perché l’intelligenza artificiale non ucciderà il giornalismo

Author: Wired

Con la diffusione dei modelli di intelligenza artificiale generativa, in grado di realizzare un testo o un’immagine in pochi secondi partendo da una serie di istruzioni (prompt), si inizia a immaginare un mondo in cui questa nuova tecnologia prenderà il posto di alcune figure professionali. Secondo il parere degli esperti, però, l’intelligenza artificiale non solo non sostituirà questa professione, ma può rivelarsi uno strumento fondamentale. Sono tanti, infatti, gli ambiti e le funzionalità in cui l’intelligenza artificiale può rendere il lavoro del giornalista più agile.

La situazione in Italia

Il mestiere del giornalista è tra quelli che negli anni hanno dovuto più di tutti stare al passo con i tempi, trasformandosi e reinventandosi, soprattutto con l’arrivo di Internet e dei nuovi media. Rispetto ad altri paesi, però, non si è ancora capito a cercare di impiegare e sfruttare al meglio tutti i vantaggi che comporta l’impiego dell’intelligenza artificiale.Quello della stampa è un settore molto antico, che è nato con Gutenberg ed è passato per la macchina da scrivere – spiega a Wired Nicola Grandis, amministratore delegato di Asc27, la startup che si occupa di intelligenza artificiale e cybersecurity nata nel 2020 a Roma, e di Aida46, frutto dalla joint venture tra DigitalPaltforms e Asc27 -. Ma ecco che il giornalista ha imparato a evolversi: io ho amici giornalisti che ormai realizzano le videointerviste con lo smartphone, le battono al telefono e le pubblicano. Invece, a livello proprio industriale in Italia non si è ancora capito che l’ultimo dinosauro è quello che si è estinto urlando contro il meteorite. Ecco, l’intelligenza artificiale è un meteorite buono, però si l’industria italiana della della stampa, dell’informazione ci ricorda po’ questo ultimo dinosauro”.

Quello che emerge dal confronto con le redazioni italiane è, secondo Grandis, un livello più basso di preparazione del personale dell’editoria rispetto a quello di altri settori, ma a fare resistenza non sono i giornalisti. “Noi di Asc27 abbiamo sviluppato una piattaforma, Asimov, di derivazione militare, in ambito cybersecurity per l’applicazione nella difesa sicurezza nazionale – spiega Grandis -. Poi è stata introdotta nel mondo della news industry e altre sue declinazioni del mondo enterprise. Quello che abbiamo notato nel mondo della news industry italiana è che noi, all’inizio, pensavamo ci fosse una resistenza al cambiamento da parte dei giornalisti. Poi nel tempo siamo diventati amici di molti giornalisti che utilizzano privatamente la nostra piattaforma. Anzi, noi gliela diamo anche normalmente in comodato d’uso gratuito. Abbiamo notato che a livello di redazione, per l’organizzazione e tecnologicamente siamo indietro”.

Il primo passo sarebbe rivolgersi agli esperti.“Abbiamo incontrato altre figure molto pittoresche: per esempio, i consulenti, che anche datati, che fino a ieri facevano i siti web, mentre oggi sono esperti di intelligenza artificiale e magari provano a vendere i loro servizi alle redazioni – continua Grandis -. Quello che manca nel mondo del giornalismo italiano è la consapevolezza della necessità di rivolgersi a un’azienda che si occupi di intelligenza artificiale. Non serve una Business Unit fatta di ricercatori che fino a ieri facevano tutt’altro”.

Gli impieghi nel giornalismo

In che modo l’impiego dell’intelligenza artificiale può aiutare i giornalisti nel loro lavoro: “Il nostro software, Asimov, come tutte le buone intelligenze artificiali, ha l’obiettivo di sollevare le persone dai lavori ripetitivi e tediosi – continua Grandis -. All’interno di una redazione, dove possono giungere centinaia di comunicati stampa al giorno o all’ora, Asimov può fare una prioritizzazione di questi comunicati in modo che i giornalisti si possano dedicare maggiormente alle altre mansioni più importanti”. Assistere il giornalista nella fase di pubblicazione online, in modo tale che rispetti determinati requisiti che i motori di ricerca richiedono, creare un summary, trascrivere le interviste: sono solo alcune dei compiti che potrebbero ma che potrebbero venire sbrogliati da un sistema di intelligenza artificiale, come Asimov.

Anche la ricerca e la scelta delle immagini può essere velocizzata e resa più semplice attraverso l’utilizzo di un software: “Quando un giornalista scrive un pezzo – spiega Grandis -, Asimov in automatico gli propone un certo numero di immagini, alcune create con l’intelligenza artificiale, altre prese dalla libreria del giornale, cosicché in un secondo, se vede una che gli piace, la sceglie, oppure può andare avanti finché non ne trova un’altra”.

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Economia Tecnologia

Dalle sorprese dell’ovetto Kinder a Zerocalcare: storia dell’azienda che ci fa collezionare i nostri beniamini

Author: Wired

Le sorpresine dell’ovetto Kinder, le famiglie del Sorriso e Carletto dei sofficini Findus, i collezionabili di Harry Potter della Gazzetta dello Sport e persino le action figure di Zerocalcare. L’impronta lasciata nella nostra memoria da tanti giocattoli, gadget e pezzi da collezione si deve al contributo della Pea di San Mauro Torinese. “L’azienda è nata nel 1983 con il nome di Produzioni Editoriali Aprile; abbiamo iniziato infatti con l’editoria scolastica per bambini. Poi però abbiamo virato verso il comparto promozionale grazie alla collaborazione con Unilever“, spiega a Wired l’ad Gianluca Aprile di Cimia.

La “stanza dei giochi” dell’azienda è un viaggio nel tempo: sui ripiani ci sono tutti i pupazzetti, cartotecnica e gadget iconici dei marchi Coccolino, Mulino Bianco, Findus, Algida, Mr Day. Senza contare le collezioni di personaggi dei Kinder Sorpresa e quelle vendute in edicola. Quasi tutto è stato pensato e realizzato da questa piccola grande azienda dell’hinterland torinese da circa 40 milioni di euro di fatturato – per altro generati con prodotti che mediamente costano pochi centesimi.

Molti magari lo ricordano ancora, ma la svolta c’è stata a metà anni ’80 con il fustino Biopresto. Cercavano un prodotto da abbinare di alto valore percepito. Suggerimmo un set di pennarelli, perché San Mauro era il polo produttivo di riferimento: oltre 30 aziende fra cui la storica Carioca. Fu un successo perché per le famiglie quel regalo alleggeriva un po’ la spesa per la scuola“, prosegue Aprile.

Gruppo Pea uffici

Uffici Pea

Dalla scolastica alle produzioni cinesi

I fondatori di Pea, Ruggero e Valerio Aprile, tra gli anni ’60 e ’70 vestono i panni di editore, prima di arte e poi di scolastica. Intuiscono per primi la rivoluzione giovanile in atto e ne colgono il desiderio di espressione, anche solo con quaderni che richiamano i miti cinematografici del tempo. Conquistata la vetrina della libreria Rizzoli di New York, anche solo per una stagione, la svolta si concretizza a metà degli anni ’80 quando i prodotti editoriali e successivamente aziende specializzate in beni di largo consumo manifestano l’esigenza di spingere le vendite con gadget, giocattoli o altro.

Pea inizia appunto con i pennarelli, ma poi spinge l’acceleratore sulle sorpresine. “Ogni settimana il team veniva chiamato a produrre un certo numero di idee creative da inserire nelle scatoline del Mulino Bianco e di altre linee. Sono nate così le prime collezioni che hanno segnato l’infanzia di milioni di persone. Già, perché questi erano e sono i volumi di produzione – ricorda Aprile -. Poi non bisogna dimenticare che ogni singolo pezzo veniva ancora dipinto a mano. A Settimo per chi si occupava di stampi plastici per l’indotto automotive eravamo diventanti quasi un mito: domandavamo centinaia di migliaia di pezzi per singolo ordine“.

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Wired Next Fest 2023 Trentino, Nitro: “Quello della musica non è un ambiente per persone deboli”

Author: Wired

Per questa edizione il Wired Next Fest 2023 Trentino di Rovereto con un appuntamento con la musica, con Nitro, il rapper vicentino, che ha appena pubblicato il disco Outsider, uscito il 24 marzo 2023, con cui l’artista ha voluto cogliere il dualismo e il contrasto del sé passato e il sé del presente: “Sicuramente il disco e la copertina rappresentano il dualismo – ha spiegato il rapper a piazza Malfatti, in conclusione del festival -. Anche l’espressione lavorare nel mondo dell’arte, costituisce un ossimoro, un contrasto. Inoltre, quando è iniziata la pandemia, avevo 27 anni, poi mi sono svegliata e ne avevo 30. Certo, si tratta di tutt’altro impatto a livello psicofisico rispetto a quello che hanno sperimentato gli adolescenti”.

Una spaccatura tra il presente e il passato, come quella rappresentata sulla copertina dell’album: “Mi sono sentito spaccato in due tra il vecchio me e il nuovo, tra le cose belle e le cose brutte. Mi sono sentito spaccato in due – continua l’artista –. Volevo testimoniarlo: far valere la mia voce all’infuori del coro in cui cantano tutti. Questo disco dice una cosa che secondo me, per chi mi conosce musicalmente, è solamente l’ennesima riprova di quello che sono da una vita- Oggi sono arrivato qui, al netto dei numeri, visto che oggi si parla solo di quello”.

L’importante, secondo Nitro, è non allontanarsi dal vero sé: “C’è chi vuol far la musica per far pensare o piangere, chi per fa ridere: non c’è una più nobile dell’altra. Devi essere contento della scelta che fai”. L’ambiente dell’industria musicale, non è tra i più semplici: “Quello della musica non è un ambiente per i deboli: il rap ti porta a pensare di voler sempre essere sempre il numero 1. Penso che però, c’è sempre chi è più ricco, più bello, più bravo di te. Se devo essere il numero 1, che arrivi più tardi possibile. Per me la musica è la mia valvola di sfogo, sennò farei altro. Darei al pubblico una versione finta di me, li prenderei in giro”.