Categorie
Economia Tecnologia

Invecchiare il vino in mare è più sostenibile?

Author: Wired

Anche i profani sanno che un buon vino è invecchiato: ovvero lasciato riposare per mesi o anni in luoghi chiusi come le classiche cantine. Un’azienda italiana, Jamin Portofino UnderWaterWines, ha proposto qualcosa di radicalmente nuovo: l’affinazione dei vini sui fondali marini. L’azienda ha iniziato con tremila bottiglie di champagne qualche anno fa. Stipate a circa 50 metri di profondità dove la temperatura pressoché costante di 13-14° del mar Mediterraneo riproduce le condizioni di una vera e propria cantina. Non è stato un caso, ma il frutto di ricerca e sperimentazione condotta da ingegneri, fisici, biologi marini, sommelier, enologi e subacquei.

E siamo andati recentemente ad assaggiare i vini invecchiati in mare, o meglio “affinati” tramite cantinamento subacqueo. Ma questo metodo, certamente di grande impatto comunicativo, che tipo di impatto ha da un punto di vista ambientale? È più sostenibile invecchiare i vini in cantina o tramite l’affinamento subacqueo? Wired ha intervistato il fondatore di Jamin Emanuele Kottakhs, per approfondire – è davvero il caso di dirlo – questi aspetti di sostenibilità e altri elementi su questa nuova metodologia di invecchiamento.

Il vino subacqueo è più sostenibile?

Jamin ha già sperimentato e validato oltre 200 tipologie di vino e ha brevettato il proprio metodo, collaborando con privati e accademici dell’università di Genova e di Firenze. Le collaborazioni con enti di ricerca e l’elezione come prima cantina subacquea dell’area marina protetta di Portofino intendono mostrare attraverso i dati come la vita sott’acqua non subisca alcun impatto particolare. Anzi, l’azienda sottolinea i vantaggi in termini di sostenibilità del cantinamento subacqueo.

L’ambiente sottomarino è refrigerato naturalmente ed è ideale per le bottiglie: non c’è bisogno di climatizzatori, né di creare strutture terrestri isolate termicamente, con un notevole risparmio energetico. Si riduce quindi la necessità di magazzini e di consumo di suolo. E poi il risparmio di CO2 rispetto all’uso di una cantina in superficie:

“Non possiamo dare informazioni precise fino alla conclusione dello studio in corso, prevista per giugno 2024 ma posso dire che le prime impressioni confermano una riduzione di CO2 sui 12 mesi di oltre 70% tra affinamento condizionato in cantina terrestre (energivora) e quello praticato in acqua (comprensivo di trasporto su gomma e via mare per le operazioni)”

Emanuele Kottakhs, fondatore di Jamin Portofino UnderWaterWines

Questa stima è in via di definizione adottando un intero computo di life cycle assessment su tutte le procedure che riguardano i vini affinati sott’acqua rispetto a quelli conservati nelle cantine in superficie. Non è un processo semplice perché sono da considerarsi anche i costi di trasporto tramite mezzi motorizzati e su strada in superficie rispetto a quelli di immersione e prelievo dall’acqua delle casse di vino (cage). Così come è necessario attendere del tempo per verificare gli effetti a medio e lungo termine di una cage posta in fondo al mare. Ma al momento, gli esperti accademici che collaborano con Jamin confermano questa indicazione di Kottakhs.

C’è poi una questione legata all’impatto digitale di CO2. In generale per le immersioni dei vini sott’acqua sono impiegate gabbie modulabili, da circa 500 bottiglie ognuna. Di questa operazione se ne occupa un team specializzato di operatori marittimi e subacquei professionisti, che attraverso sistemi sensoristici consentono di tracciare tutto il percorso subacqueo e di monitorarlo costantemente. Ogni bottiglia ha applicato diversi microprocessori che seguono l’intero processo evolutivo singolarmente, raccogliendo circa 40mila informazioni per ogni singolo cantinamento subacqueo. Queste informazioni digitali rappresentano esse stesse fonte di CO2: è il tema della sostenibilità digitale di un prodotto. Al momento non ci sono dati che possano comparare l’impatto ambientale creato dai dati digitali da affinamento rispetto a quello dei dati digitali prodotto dalle cantine più moderne, sicuramente dotate di sensoristica avanzata. Sarà un tema da tenere in considerazione nel prossimo futuro, quando la sensibilità sul computo dell’impatto ambientale dei dati digitali sarà normalmente ricompreso nelle analisi di life cycle assessment anche a causa del grande impiego di sistemi di intelligenza artificiale.

I costi del cantinamento subacqueo

Se può apparire più sostenibile da un punto di vista ambientale, almeno secondo le prime rilevazioni portate avanti dall’azienda ligure, può essere utile valutare se l’affinamento abbia senso da un punto di vista economico. Calcolando il costo dell’operazione, non si può certo immergere una sola bottiglia, ma un determinato quantitativo e ci sono due operazioni da affrontare: immersione e prelievo. Queste mediamente costano complessivamente circa 25mila euro. “Non è un mero calcolo matematico però da dividere sul numero di bottiglie, in quanto il costo reale è condizionato da una molteplicità di fattori che prevedono una preventiva fase di studio del campione da immergere”, spiega Kottakhs. D’altra parte, un vino invecchiato sott’acqua ha un “costo medio di affinamento di una singola bottiglia durante la fase di produzione che varia dai 8,5 ai 18 euro a seconda dei servizi associati e dal quantitativo affidato”.

Categorie
Economia Tecnologia

I produttori di auto elettriche a cui il governo fa la corte

Author: Wired

L’Italia non può essere l’unico paese dell’Unione europea, tra gli storici produttori di automobili, ad avere una sola azienda protagonista del settore dell’automotive, ma deve attrarre costruttori stranieri per generare competizione e rafforzare così l’intera filiera, con un occhio di riguardo per i produttori di veicoli elettrici. Ne è convinto il ministro delle Imprese e del made in Italy (Mimit) Adolfo Urso, che, come riporta il Corriere della Sera, sta intrattenendo sempre più rapporti con case automobilistiche extraeuropee per affiancare un altro player a Stellantis tra cui Tesla di Elon Musk.

Le orientali

Nella lista del titolare del Mimit figurerebbero anche la cinese Chery, che come Jac e Baic produce componenti assemblate dalla molisana Dr; le sue connazionali Geely (che controlla Volvo) e Great Wall Motors, e Mg, britannica di nascita ma cinese dal 2007 essendo stata acquisita da Saic. Ma tra le protagoniste del mercato del paese orientale, che nel 2023 hanno venduto più di 353mila auto in Europa (+75%) e hanno tutta l’intenzione di continuare a crescere, la prima ad aver ufficializzato di aver intrattenuto dialoghi con l’esecutivo italiano è stata Byd.

È accaduto durante il salone dell’auto di Ginevra di ottobre, prima che il colosso di Shenzhen scegliesse l’Ungheria come sede della sua prima fabbrica nell’Unione. Comunicazioni interrotte, dunque, in attesa di valutare le vendite e i numeri, che attualmente non paiono giustificare però un aumento della capacità produttiva sul suolo comunitario: nel 2023 Byd ha venduto in Europa 13mila vetture e l’impianto ungherese può produrne fino a 150mila all’anno.

Non c’è però solo la Cina tra le opportunità per il futuro dell’automotive italiano. Anzi, per alcuni addetti ai lavori il rapporto tra il settore del paese e i costruttori cinesi potrebbe essere in salita: la maggior parte delle aziende della repubblica popolare si basano sulla filiera domestica dell’elettrico e genererebbero pochi benefici per il comparto tricolore. Per questo l’Italia potrebbe percorrere altre due piste. La prima, suggerita dagli esperti, porta in Giappone e a Toyota, azienda che conosce profondamente il mercato italiano e la qualità dell’automotive italiano anche e soprattutto perché già produce alcuni veicoli commerciali ad Atessa, in Abruzzo, grazie a un accordo stretto con Stellantis. Quest’ultima potrebbe iniziare a costruire a Mirafiori le auto elettriche della startup tecnologica cinese Leapmotor, società di cui ha acquisito il 21% lo scorso anno.

Le occidentali

La seconda strada è invece al vaglio dello stesso ministro Urso, che in un’audizione alla commissione Attività produttive della Camera ha affermato di avere avviato interlocuzioni non soltanto con paesi orientali, ma anche con paesi occidentali. In particolare, uno dei desideri del governo sarebbe quello di portare Elon Musk a investire con Tesla nel nostro paese. Il magnate sudafricano ha appena visto bocciare tramite referendum l’ipotesi di espansione della fabbrica della sua casa automobilistica a Grüenheide, in Germania, e potrebbe dunque valutare di affacciarsi su altri mercati del vecchio continente.

Urso ha assicurato che il dialogo con il colosso di Austin è aperto da mesi e che, nonostante il ritardo accumulato nelle politiche di attrazione di investimenti esteri, la curiosità nei confronti dell’Italia sarebbe viva. Per il ministro, le case automobilistiche che non l’hanno ancora fatto ma vogliono scommettere sull’Europa “guardano con interesse al nostro mercato consapevoli anche, come indicava lo stesso presidente Draghi, che dovremo necessariamente tutelare il mercato interno dalla concorrenza con misure commerciali come stanno facendo gli Stati Uniti e con misure industriali”. Con Musk, che a dicembre ha presenziato ad Atreju, la festa di partito di Fratelli d’Italia, è peraltro in piedi un confronto su un possibile impegno nello stivale anche per contrastare il divario digitale, attraverso l’utilizzo dei satelliti di Starlink.

Categorie
Tecnologia

Twin, l’esoscheletro che permette alle persone paraplegiche di camminare

Author: Wired

La scelta progettuale di Iit e Inail è stata quella di partire dall’ascolto dei pazienti. “Quando abbiamo avviato il progetto, ormai nel 2010, abbiamo iniziato raccogliendo i loro bisogni e le loro aspettative – ha ricordato Emanuele Gruppioni, direttore tecnico dell’Area ricerca del Centro protesi di Inail -. Lo abbiamo fatto sia attraverso dei questionari che organizzando delle tavole rotonde, in cui abbiamo ascoltato direttamente da loro quali fossero le loro necessità”.

Il risultato è “un apparecchio che più lo utilizzi e più ti dimentichi di avere addosso”, ha affermato Davide Costi, uno dei due pazienti. L’altro è Alex Santucci, che hanno testato il device durante le sue fasi di sviluppo. “All’inizio – ha aggiunto Santucci – io ho cominciato come se fosse un gioco, lo pensavo soprattutto per la mia riabilitazione. Ora ho capito che stiamo facendo qualcosa che potrà essere d’aiuto a tante altre persone”.

I benefici per la salute

Non ci sono solo gli aspetti psicologici legati alla possibilità di assumere nuovamente la posizione eretta. Sono diversi i benefici per i pazienti che utilizzano l’esocheletro. Il primo riguarda il miglioramento delle funzionalità intestinali. “L’esercizio con l’esoscheletro modifica l’asse intestino cervello”, ha sottolineato Franco Molteni, direttore dell’unità operativa complessa Recupero e riabilitazione funzionale di Villa Beretta, uno dei centri ospedalieri coinvolti nello sviluppo di Twin.

Ci sono poi benefici di natura cardiovascolare, legati al movimento che viene svolto grazie all’esoscheletro, ed altri legati alle disfunzioni vescicali che affliggono i pazienti con lesioni spinali. Certo, indossare il dispositivo richiede anche una preparazione. “Lavoriamo innanzitutto per rinforzare il tronco”, ha spiegato Ilaria Baroncini, medico fisiatra dell’Unità spinale del Montecatone Rehabilitation Institute, l’altra struttura che ha lavorato con l’Iit e Inail. “Il messaggio che vogliamo trasmettere ai clinici – ha aggiunto – è che bisogna iniziare più precocemente possibile la riabilitazione con l’esoscheletro, perché può stimolare anche la neuroplasticità corticale dei pazienti”.

Gli sviluppi futuri

“Siamo all’inizio di un percorso triennale per ottenere le certificazioni europee necessarie alla commercializzazione e per verificare l’efficacia clinica del device”, ha spiegato Matteo Laffranchi, coordinatore del Rehab Technologies Lab creato da Iit e Inail per lo sviluppo di questo progetto. Dopodiché, “dovremo trovare un partner industriale per la commercializzazione. Che però ci sia la volontà di procedere speditamente lo ha sottolineato in chiusura dell’evento il presidente dell’Istituto italiano di tecnologia, Gabriele Galateri di Genola, con quattro semplici parole: “Dobbiamo fare in fretta”.

Categorie
Economia Tecnologia

Il primo robot che si muove come una pianta rampicante

Author: Wired

Un team di ricerca dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova ha recentemente presentato un innovativo robot chiamato FiloBot, ispirato alle piante rampicanti, capace di costruire il proprio corpo in modo autonomo grazie a una tecnica di stampa 3D integrata. Descritto in dettaglio in un articolo sulla rivista scientifica Science Robotics, il FiloBot utilizza una termoplastica per la crescita, permettendo al robot di adattare passivamente la sua forma all’ambiente circostante.

La mente dietro questo progetto è quella di Barbara Mazzolai, a capo del laboratorio Bioinspired soft robotics di Iit di Genova. L’ispirazione, fa sapere la ricercatrice, è giunta dall’osservazione delle strategie di esplorazione delle piante rampicanti che si muovono nell’ambiente attraverso la divisione cellulare e l’allungamento implementato alle estremità dei germogli e delle radici in risposta a stimoli esterni, come luce o gravità. “La natura sessile delle piante ci porta a pensare che non si muovano. Al contrario, si muovono continuamente in modo mirato, efficace ed efficiente, ma su una scala temporale non facilmente percepibile dall’essere umano se non attraverso strumenti di osservazione, come ad esempio il time-lapse”, commentano Barbara Mazzolai ed Emanuela Del Dottore, prima autrice dello studio.

Il FiloBot, nato nell’ambito del progetto europeo GrowBot, è in grado di fare lo stesso: infatti è progettato per crescere dalla sua testa robotizzata sfruttando una tecnica di stampa 3D additiva. Questo processo consente al robot di adattare la sua forma in modo passivo, rispondendo alle caratteristiche dell’ambiente che lo circonda. Equipaggiato con sensori che replicano le capacità sensoriali delle piante, il FiloBot è in grado di percepire la forza di gravità e il tipo di luce circostante, guidando attivamente la direzione della sua crescita.

Queste caratteristiche del FiloBot lo rendono idoneo per una vasta gamma di applicazioni, tra cui l’esplorazione di ambienti complessi, il monitoraggio ambientale e la perlustrazione di aree difficili da raggiungere. L’utilizzo di una combinazione di adattamento passivo e attivo riduce i costi energetici e di materiale, aprendo la strada a un futuro in cui robot autonomi possono esplorare e adattarsi in modo efficiente a contesti ambientali mutevoli e sconosciuti.

Categorie
Economia Tecnologia

Abbiamo provato gli esoscheletri che vogliono rivoluzionare il mondo del lavoro

Author: Wired

Dopodiché si agganciano le braccia e si può sperimentare come lavora il device. In un primo momento ci si sente come il droide C3-PO di Star Wars, quello dorato con le braccia attaccate alla vita per intendersi. Sollevando le braccia verso l’alto si avverte una leggera spinta da parte dell’apparecchio. Più evidente è invece lo sforzo da fare per abbassarle, visto che serve a ricaricare le molle dell’esoscheletro.

L’effetto maggiore si avverte reggendo un peso, per esempio una valigia, con le braccia tese di fronte a sé in posizione orizzontale: con l’esoscheletro lo sforzo è pressocché nullo, ma basta sganciarlo per avvertire da subito le spalle che cominciano ad affaticarsi.

I settori di applicazione

“I nostri settori elettivi sono la logistica, la grande distribuzione organizzata e la cantieristica”, ha spiegato Duilio Amico, responsabile Wereable devices di Comau. Per quanto riguarda la gdo è del febbraio 2022 un accordo con Esselunga, che vede l’impiego degli esoscheletri in fase di test avanzato in 12 punti vendita tra Lombardia, Piemonte e Toscana. “I nostri device vengono utilizzati nella gestione del fresco, con i prodotti che devono essere sbancalati dai camion e poi posizionati negli scaffali”, racconta il manager.

Per quanto riguarda la cantieristica navale, invece, Comau sta lavorando con Fincantieri. Ma non è tutto, precisa Amico: “Operiamo anche nell’agroalimentare, nella mungitura ma anche con i dentisti per i cavalli, in agricoltura, negli aeroporti per la gestione dei bagagli”. In campo sanitario, questi device sono utili per gli operatori che si prendono cura di pazienti allettati. E ancora, dice il manager, “in Cile stiamo lavorando a un progetto per l’inserimento di lavoratrici donne nelle miniere, in Francia avremo a breve un incontro con operatrici cinematografiche. Tecniche di ripresa e del suono che devono reggere camere o microfoni e possono trarre giovamento dall’impiego di un esoscheletro.

Il mercato

L’esoscheletro pensato per le spalle costa 4.900 euro, quello per la zona lombare 4.500. Con qualche centinaio di euro in più è possibile anche dotarli di sensori che consentono, per esempio, di monitorare e ottimizzare l’attività all’interno dell’azienda, ma anche di segnalare a un operatore che ha trascorso troppo tempo all’interno di una cella frigorifera.

Comau, che li ha sviluppati insieme a Iuvo, una spin-off dell’Istituto di Biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, ne ha distribuiti più di 5mila in tutto il mondo. “I nostri mercati più forti sono la Francia e la Germania. L’Italia è quarta dopo i Nordics. Diciamo che siamo più forti in quei contesti dove è più alta l’attenzione all’ergonomia – ha sottolineato Amico -. Quest’anno entreremo in maniera presente nel Nord America. Ma più in generale abbiamo clienti in tutto il mondo, dall’Australia all’India, dalla Malesia al Brasile.