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C’è un’indagine sulla Venere influencer

Author: Wired

La Venere del Botticelli utilizzata per la campagna di comunicazione Open to meraviglia del ministero del Turismo non compare più da giugno. Gli account social ufficiali dell’operazione hanno smesso di pubblicare contenuti a tema o sono stati cancellati (su Twitter è rimasto solo l’account parodia). Di fatto, la campagna è ferma.

Per questo motivo la Corte dei conti del Lazio ha aperto un’indagine per danno erariale, ovvero la perdita di denaro pubblico causato da dipendenti, amministratori o funzionari della pubblica amministrazione o di società di controllo pubblico. Stando alle prime indiscrezioni, una richiesta di chiarimenti verrà presto notificata al ministero del Turismo.

La scomparsa in piena stagione turistica

La notizia arriva dal sito di Repubblica. Il quotidiano fa notare come la “Venere influencer” sia sparita dalle piattaforme “in piena stagione turistica, nonostante la spesa sostenuta per lanciare l’iniziativa”, come raccontato per primo dal Foglio.

La campagna, costata 9 milioni di euro di fondi pubblici, era stata inaugurata lo scorso 20 aprile dal ministero del Turismo. Nata come operazione utile a invogliare i turisti di tutto il mondo a trascorrere le vacanze nel Bel paese, il suo simbolo – una Venere del Botticelli digitale nella veste di influencer intenta a scattare selfie in piazza San Marco a Venezia, a correre in bicicletta ai piedi del Colosseo o nel pieno di una gita in barca a Capri – ha sin da subito scatenato l’ilarità sui social. Il caso era montato anche in Parlamento, quando il forzista Pierantonio Zanettini aveva presentato un’interrogazione alla Camera denunciando “errori grossolani” anche sulla rappresentazione di alcune località e alcuni monumenti situati in Veneto.

L’eco mediatica, con i commenti irriverenti e la denuncia della scarsa qualità delle immagini pubblicate dall’agenzia Armando Testa, responsabile della campagna social, sono durati almeno un paio di mesi. Fino alla fine di giugno, quando l’ultimo post della campagna (stavolta con Venere in vista a Taormina) è stato pubblicato sulle piattaforme. Poi, quasi nulla più: visitando la pagina Instagram venereitalia23, si può notare come nelle ultime settimane gli utenti, sempre con ironia, abbiano iniziato a commentare i già vecchi post della campagna, chiedendo notizie della scomparsa Venere e, più in generale, sulle motivazioni dello stop alle pubblicazioni.

Una “scelta ponderata” per il ministero

Al momento, il ministero del Turismo avrebbe riferito a Repubblica che la momentanea sparizione della “Venere influencer” sarebbe “una scelta ponderata” pensata per “far atterrare le campagne sul portale italia.it”, il sito del ministero del Turismo che vuole aiutare i visitatori a pianificare viaggi e visite in Italia. In ogni caso, come scrive il quotidiano, si tratta di una nuova “grana legale” per Daniela Santanchè, a margine di un’estate già turbolenta per la ministra.

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Economia Tecnologia

Viaggio tra Singapore e l’Italia, ai poli opposti sulla carne coltivata in laboratorio

Author: Wired

*L’autrice di questo articolo ha realizzato l’inchiesta sulla carne coltivata in laboratorio di Report, in onda lunedì 5 luglio dalle 21.20 su Rai3 e per Wired ha fornito alcune anticipazioni del servizio

Prometto che se viene qui preparo solo per il vostro ministro dell’Agricoltura una carbonara di pollo“. Il piatto non è dei più invitanti, ma l’invito a Francesco Lollobrigida arriva direttamente da Jeff Yew di Good meat, la prima startup al mondo a essere autorizzata al commercio a Singapore del pollo a base cellulare, impropriamente detto “sintetico”. Noi di Report abbiamo potuto provarla, e siamo rimasti molto colpiti dalla somiglianza con il pollo tradizionale. A occhi chiusi sarebbe praticamente impossibile distinguere quale dei due è prodotto in laboratorio, come hanno anche confermato altri clienti che la provavano da Huber’s, l’unica macelleria che vende il pollo a base cellulare a Singapore. Good meat, che insieme all’israeliana Upside foods ha ottenuto da poche settimane luce verde per vendere il pollo coltivato anche negli Stati Uniti, spera di poter aumentare la produzione a Singapore a breve, ora che è pronto il loro impianto di produzione, con il bioreattore più grande di tutta l’Asia.

Il divieto italiano

L’Italia è il primo paese al mondo a voler vietare la produzione, la commercializzazione e l’importazione della carne a base cellulare. Per i nostri imprenditori significherà rimanere fuori dal circuito di investimenti che si aggira intorno al settore, che ammonta finora a 2,78 miliardi di dollari. Il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida ce l’ha particolarmente con i bioreattori, che servono per far moltiplicare e sviluppare le cellule una volta che sono state prelevate dall’animale attraverso una biopsia. “Conviene installarli dove non vengono tutelati né i lavoratori né l’ambiente. Noi dobbiamo lasciare la produzione del cibo in mano ai nostri imprenditori“, ha detto ad aprile scorso. Forse non sa che i nostri imprenditori già producono i bioreattori, e nel segno dell’eccellenza.

Matteo Brognoli è il fondatore di Solaris, un’azienda alle porte di Mantova che produce bioreattori usati nel settore farmaceutico e alimentare e che, per la carne coltivata, esporta a Stati Uniti e Singapore. “Peccato per questa legge. Al di là della nostra azienda, la carne coltivata rappresenta il futuro per la sostenibilità principalmente ambientale. Speriamo che cambino idea“, dice. Se Solaris, acquistata da un’azienda statunitense due anni fa, potrà continuare a esportare i suoi bioreattori, con la nuova legge Bruno cell, la prima e unica startup italiana impegnata nella ricerca sulla carne a base cellulare, rischia di più. “Temiamo una riduzione degli investimenti che quindi andrebbe anche a impattare nella ricerca“, ci ha detto Stefano Biressi, professore di biologia molecolare dell’Università di Trento, che con Luciano Conti e altre due ricercatrici fa parte del team scientifico della startup italiana. “La nostra unica prospettiva potrebbe essere quella di dare le nostre scoperte scientifiche ad aziende straniere“.

Autorità in campo

Francesco Lollobrigida sostiene di aver promosso il disegno di legge per vietare la carne a base cellulare, ora in discussione in commissione Agricoltura del Senato, rifacendosi al principio di precauzione. “È un principio che l’Europa prevede come garanzia quando non esistono dei comprovati studi scientifici che permettono di garantire la salute dei cittadini“, ha spiegato ai microfoni di Report. Singapore, per farsi aiutare nel primo processo al mondo di autorizzazione della carne a base cellulare, ha istituito un comitato di ricerca indipendente, Fresh, un gruppo di lavoro presso l’università di Nanyang. “L’Autorità per la sicurezza alimentare ha instaurato subito un contatto diretto con le aziende che hanno dovuto condividere tutti i dati in loro possesso“, ci ha spiegato Benjamin Smith, direttore di Fresh. “I dati sono stati condivisi con gli scienziati e questo ha consentito all’Autorità alimentare di andare avanti spedita con l’autorizzazione“.

La Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite sul cibo e l’agricoltura, insieme all’Oms ha redatto un report sulla carne a base cellulare e ha formulato un giudizio sulla sua sicurezza. Sulla base di quali dati?Esistono già pubblicazioni scientifiche ma soprattutto abbiamo avuto accesso ai dati di Singapore“, ci ha spiegato Markus Lipp, esperto di sicurezza alimentare della Fao. “L’ente regolatore e le aziende, dopo un accordo di riservatezza, li hanno condivisi con noi e la nostra conclusione è che questi prodotti possono essere sicuri”. Il ministro dell’Agricoltura, sulla scia di Coldiretti, ha usato il report per dichiarare esattamente l’opposto. Ospite a Quarta Repubblica, Francesco Lollobrigida ha detto: “I rischi per la salute non li denuncio io ma li denuncia l’Oms come potenziali molto pesanti“.

Per l’Europa sarà comunque l’Efsa, l’Autorità per la sicurezza alimentare, a decidere se aprire le porte al pollo a base cellulare. Al momento nessuna azienda ha presentato domanda, ma ai nostri microfoni Robert E. Jones, responsabile degli affari istituzionali dell’olandese Mosa meat, la prima ad aver presentato al mondo il suo hamburger coltivato ben dieci anni fa, ha detto che potrebbero farlo entro l’anno. E se il pollo a base cellulare venisse autorizzato al commercio dalla Commissione europea, l’Italia non potrebbe opporsi alla sua importazione, perché non verrebbe garantita la libera circolazione delle merci. E così sarebbe stato fatto tanto rumore per nulla. E a pagare le conseguenze sarebbero i nostri imprenditori, che nel frattempo avrebbero perso anni preziosi per investire in un’alternativa alla carne tradizionale che potrebbe rivelarsi promettente in termini di sostenibilità.

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Economia Tecnologia

Il primo impianto italiano di idrogeno verde

Author: Wired

A Pizzighettone, in provincia di Cremona, H2 Energy ha inaugurato il primo impianto italiano di idrogeno verde, ma quel che conta davvero è che si tratta di una delle rare soluzioni al mondo industrializzabili: può essere prodotto in serie e richiede una manutenzione piuttosto agevole. “È una macchina modulare che viene pre-assemblata in linea, testata e poi installata in loco. I pochi concorrenti che offrono un elettrolizzatore di questo tipo non hanno ingegnerizzato la manutenzione, mentre noi consentiamo interventi di poche ore e l’ispezione dall’interno. Questa prima versione da 1 megawatt occupa lo spazio di un container standard da 45 piedi abbinato a uno più piccolo da 20 piedi, ma sappiamo già come intervenire per ridurre gli ingombri della prossima versione“, spiega a Wired Claudio Mascialino, co-fondatore della pmi innovativa.

L’impianto, di fatto meno ingombrante di un autoarticolato, serve a generare idrogeno verde partendo da energia rinnovabile e acqua opportunamente trattata. “Ma attenzione a non confonderlo con l’idrogeno rinnovabile che viene prodotto sequestrando CO2, perché in quel caso si chiama idrogeno blu“, puntualizza l’ingegnere. L’obiettivo è puntare sul cosiddetto load shifting, ovvero assorbire l’energia elettrica rinnovabile in eccesso – in relazione alla domanda – per poi rilasciarla nei momenti di bisogno. Un’altra possibilità è quella di usarlo per la realizzazione di altri prodotti chimici, come l’ammoniaca, urea, metanolo.

L'impianto H2 Energy

L’impianto H2 Energy

Le opportunità dell’idrogeno

L’approvazione e la ratifica da parte dell’Unione Eeuropea dell’Accordo di Parigi prevede di raggiungere emissioni zero entro il 2050. Inoltre a marzo i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europea hanno trovato l’accordo sulla nuova revisione della Direttiva sulle energie rinnovabili, chiamata Red III, stabilisce che i consumi comunitari complessivi, al 2030, raggiungano almeno il 42,5% da fonti rinnovabili.

Questo spiega anche il motivo per cui è stato riconosciuto un trattamento di favore alla produzione di idrogeno che non prevederà oneri di dispacciamento nel caso l’impianto venga alimentato con rinnovabili. Ad ogni modo sebbene il nostro impianto sia flessibile rispetto all’energia in ingresso per farlo lavorare a regime, circa 8mila ore l’anno, sarebbe bene impiegare fotovoltaico, eolico e magari anche impianti che usano biomasse come combustibile“, sottolinea l’ingegnere.

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Economia Tecnologia

Una legge sul fintech per diffondere la blockchain tra le pmi italiane

Author: Wired

È stato convertito in legge il decreto Fintech, una norma che contiene disposizioni urgenti in materia di emissione e circolazione di strumenti finanziari in forma digitale e di semplificazione della sperimentazione fintech. L’obiettivo è adeguare il nostro ordinamento al Dlt Pilot Regime, un regolamento dell’Unione Europea che istituisce nei Paesi membri un regime sperimentale per le infrastrutture di mercato basate sulla Distributed Ledger Technology (Dlt). Grazie al decreto, anche in Italia sarà possibile la tokenizzazione degli strumenti finanziari.

Cosa prevede il Decreto fintech

Il Dlt Pilot Regime offre la possibilità ad operatori e a imprese di investimento di creare piattaforme di negoziazione di strumenti finanziari digitali emessi nei Paesi dell’Unione Europea. il decreto Fintech introduce nel nostro codice normativo la definizione di “strumento finanziario digitale”, ovvero tutte quelle classi di attività che possono essere rappresentate sotto forma di token digitali che potranno essere negoziate e trasferite attraverso un registro distribuito grazie alla tecnologia Dlt: parliamo di azioni, obbligazioni, titoli di debito e molti altri strumenti finanziari individuati con regolamento della Consob e dalla Banca d’Italia, che faranno da controllori del registro. Le negoziazioni di titoli digitali potranno avvenire h24, senza intermediari.

Delle nuove opportunità offerte dal decreto Fintech, si è discusso alla sala Matteotti della Camera dei Deputati in presenza dei legislatori e degli operatori del settore. All’evento hanno preso parte il Presidente dalla Commissione Finanze della Camera, Marco Osnato, i deputati Andrea De Bortoldi e Emiliano Fenu (anch’essi membri della Commissione Finanze della Camera dei Deputati), Thomas lacchetti, Presidente del cda e fondatore di Fleap (che ha creato la piattaforma digitale), Hermes Bianchetti, Vice Direttore Generale di Banca Valsabbina, Alessandro Negri della Torre di LX20 Law Firm e Marco Cuchel, Presidente dell’Associazione Nazionale Commercialisti.

Cosa ne pensano gli operatori del settore

“Il decreto Fintech è una grande innovazione in un Paese dove troppo spesso le innovazioni fanno paura e c’è sempre una tendenza a vietare. Tutto quello che la norma prevede aiuta a metterci alla pari con la normativa europea e a non mettere gli operatori italiani di fronte a uno svantaggio competitivo”, così Marco Osnato, aprendo i lavori. Entusiasta anche il collega Andrea De Bortoldi: “Il decreto è passato un po’ in sordina, se n’è parlato poco, ma darà una svolta, a breve, nella vita delle nostre pmi. Per una volta l’Italia non fa il ‘compitino’, ma va oltre lo stesso regolamento europeo da cui scaturisce, un regolamento che prevedeva di agire solo sui mercati regolamentati, in pratica solo sulle grandi imprese. Con questo decreto arriviamo direttamente nelle case delle srl e arriveremo direttamente all’impresa artigiana, al commerciante e a tutte quelle imprese che rappresentano il nostro tessuto produttivo, mettendo in mano a queste imprese i migliori strumenti di mercato. Con gli strumenti che mettiamo in campo applichiamo la tecnologia a reti distribuite e quindi la Blockchain: tradotto in parole povera, permettiamo all’impresa manifatturiera locale di dialogare con il mondo della finanza internazionale; permettiamo di disintermediare il rapporto finanziario rendendolo più veloce, più snello. Più agile. E permettiamo di accedere a fonti di debito e di capitale alla singola pmi italiana, che non è quotata e che mai penserà di quotarsi, ma potrà finanziarsi in modo autonomo h24 e con minori costi”.

“Quando norma che entra in un settore così delicato – spiega invece Emiliano Fenu – che di fatto si sta già sviluppando da solo a livello tecnologico, si rischia sempre di fare dei danni o di imbrigliarlo: in questo caso ci siamo sforzati per offrire nuove possibilità alle piccole e medie imprese di entrare nel mercato dei capitali senza le difficoltà che hanno incontrato fino ad oggi, accedendo più facilmente al capitale di debito e soprattutto al capitale di rischio, a cui oggi difficilmente riescono ad accedere. Forse siamo andati un po’ di fretta e ora dovremo vigilare, soprattutto per scongiurare il rischio del proliferare di piccoli intermediari che esporrebbero investitori e piccoli risparmiatori a rischio frodi. Ma ci sono anche delle grandi opportunità: si potrebbe creare un ecosistema di responsabili di registri e di attori credibili che possano favorire l’incontro tra chi si affaccia a questi nuovi strumenti e gli strumenti stessi”.

A rispondere ai dubbi di Fenu, Thomas lacchetti: “Fleap nasce proprio con l’obiettivo di creare un ecosistema che permettesse un linguaggio comune tra le imprese e gli investitori: abbiamo creato un ambiente digitale che riproduce quello che avviene nella realtà, facendo incontrare shareholder, stakeholder, società e amministrazione, integrando anche i commercislisti e i notai per facilitare le operazioni di tutti i soggetti interessati. Utilizziamo la Dlt come sub-strato tecnologico che tiene insieme tutto il filo logico. Tutte le operazioni vengono ovviamente certificate e validate dalle parti in causa”.

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Economia Tecnologia

Dalle sorprese dell’ovetto Kinder a Zerocalcare: storia dell’azienda che ci fa collezionare i nostri beniamini

Author: Wired

Le sorpresine dell’ovetto Kinder, le famiglie del Sorriso e Carletto dei sofficini Findus, i collezionabili di Harry Potter della Gazzetta dello Sport e persino le action figure di Zerocalcare. L’impronta lasciata nella nostra memoria da tanti giocattoli, gadget e pezzi da collezione si deve al contributo della Pea di San Mauro Torinese. “L’azienda è nata nel 1983 con il nome di Produzioni Editoriali Aprile; abbiamo iniziato infatti con l’editoria scolastica per bambini. Poi però abbiamo virato verso il comparto promozionale grazie alla collaborazione con Unilever“, spiega a Wired l’ad Gianluca Aprile di Cimia.

La “stanza dei giochi” dell’azienda è un viaggio nel tempo: sui ripiani ci sono tutti i pupazzetti, cartotecnica e gadget iconici dei marchi Coccolino, Mulino Bianco, Findus, Algida, Mr Day. Senza contare le collezioni di personaggi dei Kinder Sorpresa e quelle vendute in edicola. Quasi tutto è stato pensato e realizzato da questa piccola grande azienda dell’hinterland torinese da circa 40 milioni di euro di fatturato – per altro generati con prodotti che mediamente costano pochi centesimi.

Molti magari lo ricordano ancora, ma la svolta c’è stata a metà anni ’80 con il fustino Biopresto. Cercavano un prodotto da abbinare di alto valore percepito. Suggerimmo un set di pennarelli, perché San Mauro era il polo produttivo di riferimento: oltre 30 aziende fra cui la storica Carioca. Fu un successo perché per le famiglie quel regalo alleggeriva un po’ la spesa per la scuola“, prosegue Aprile.

Gruppo Pea uffici

Uffici Pea

Dalla scolastica alle produzioni cinesi

I fondatori di Pea, Ruggero e Valerio Aprile, tra gli anni ’60 e ’70 vestono i panni di editore, prima di arte e poi di scolastica. Intuiscono per primi la rivoluzione giovanile in atto e ne colgono il desiderio di espressione, anche solo con quaderni che richiamano i miti cinematografici del tempo. Conquistata la vetrina della libreria Rizzoli di New York, anche solo per una stagione, la svolta si concretizza a metà degli anni ’80 quando i prodotti editoriali e successivamente aziende specializzate in beni di largo consumo manifestano l’esigenza di spingere le vendite con gadget, giocattoli o altro.

Pea inizia appunto con i pennarelli, ma poi spinge l’acceleratore sulle sorpresine. “Ogni settimana il team veniva chiamato a produrre un certo numero di idee creative da inserire nelle scatoline del Mulino Bianco e di altre linee. Sono nate così le prime collezioni che hanno segnato l’infanzia di milioni di persone. Già, perché questi erano e sono i volumi di produzione – ricorda Aprile -. Poi non bisogna dimenticare che ogni singolo pezzo veniva ancora dipinto a mano. A Settimo per chi si occupava di stampi plastici per l’indotto automotive eravamo diventanti quasi un mito: domandavamo centinaia di migliaia di pezzi per singolo ordine“.