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Prime Video ha lanciato il suo piano con pubblicità

Author: Wired

Come annunciato a fine 2023, anche Prime Video ha ufficialmente introdotto la pubblicità nel proprio piano di abbonamento. Gli ultimi paesi in ordine di tempo in cui tale novità ha preso forma sono stati in particolare lo scorso 9 aprile Italia, Francia e Spagna, che si sono dunque aggiunti a Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Austria, Canada e Messico.

I film e le serie tv della piattaforma del colosso dell’ecommerce conterranno quindi annunci che gli utenti visualizzeranno prima e dopo la loro riproduzione. Non cambierà nulla, invece, per gli eventi in diretta, come per esempio quelli sportivi, e i contenuti offerti tramite Amazon Freevee, nei paesi in cui tale servizio è attivo: essi continueranno infatti a includere la pubblicità nelle stesse modalità di sempre.

Tramite gli introiti derivanti dagli annunci, la piattaforma sostiene di potersi permettere di continuare a investirein contenuti interessanti”, aumentando l’investimento a lungo e mantenendo così “la qualità e la quantità dei contenuti”. Il tutto promettendo di “proporre un numero significativamente inferiore di annunci pubblicitari rispetto alla tv tradizionale e ad altri fornitori di servizi tv in streaming”.

A differenza di competitor come Netflix e Disney+, la società di Seattle non ha previsto un piano con inserimento di pubblicità a un prezzo più moderato da offrire ai propri clienti. Al contrario, ha già implementato con gli annunci gli abbonamenti base, presentando una nuova “versione Go senza pubblicità” per chi volesse continuare a vedere i contenuti della piattaforma senza. Per iscrivervisi, gli utenti dovranno selezionare l’opzione senza pubblicità sul sito di Prime Video e pagare 1,99 euro al mese in più rispetto ai 49,90 euro dell’abbonamento annuale o ai 4,99 euro di quello mensile.

Il colosso di Seattle specifica inoltre che alcuni titoli, anche nella versione senza spot, continueranno a includere trailer promozionali prima di un film o di un programma di altro tipo. Sarà possibile saltare tali trailer, ma non rimuoverli.

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Tecnologia

Perché Chiara Ferragni e Balocco sono state multate dall’Antitrust

Author: Wired

L’Antitrust ha imposto una sanzione da 1 milione di euro alle società di Chiara Ferragni e da 420 mila euro a Balocco per pratiche commerciali scorrette. Il caso è scoppiato a seguito di una pubblicità del 2022 per la vendita del pandoro Balocco firmato da Ferrgani, in cui è stato fatto intendere ai consumatori che comprandolo avrebbero contribuito a una donazione per l’ospedale Regina Margherita di Torino. In realtà, la donazione da 50 mila euro era già stata fatta da Balocco mesi prima.

I pandori Pink Christmas sponsorizzati da Ferragni sono stati lanciati sul mercato come un acquisto solidale, per sostenere la ricerca sull’osteosarcoma e sul sarcoma di Ewing, due tumori che colpiscono le ossa. Tuttavia, secondo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), Ferragni e Balocco hanno fornito informazioni fuorvianti ai consumatori rispetto all’iniziativa, per far leva sulla loro sensibilità verso tematiche a sfondo sociale e aumentare le vendite.

Nel dettaglio, i due soggetti sanzionati avrebbero fatto credere ai consumatori che, acquistando il pandoro a un prezzo maggiorato di oltre 9 euro, invece dei circa 3,70 del pandoro normale, avrebbero contribuito direttamente alla donazione verso l’ospedale di Torino, mentre questa era già stata fatta, in cifra fissa, a maggio 2022, molti mesi prima del lancio dei pandori Pink Christmas, avvenuto a novembre dello stesso anno.

Oltre che attraverso le pubblicità, le informazioni fuorvianti sono state apposte anche sulle etichette dei pandori. Mentre, Ferragni è stata ritenuta colpevole anche di aver fatto intendere, tramite post e stories sui suoi canali social, che lei stessa avrebbe partecipato direttamente alla donazione, “circostanze risultate non rispondenti al vero, nonostante le sue società avessero incassato oltre 1 milione di euro” dalla sponsorizzazione del prodotto.

Per l’Autorità, anche il prezzo maggiorato ha contribuito a indurre in errore i consumatori, rafforzando la loro convinzione che quei 6 euro in più sarebbero stati donati alla ricerca. L’insieme di queste azioni, spiega l’Antitrust, “ha limitato fortemente la libera scelta dei consumatori”, andando a violare il “dovere di diligenza professionale” e “integrando una pratica commerciale scorretta, connotata da elementi di ingannevolezza.”

Così, le società Fenice e Tbs Crew, che gestiscono i marchi e i diritti relativi alla personalità e all’identità personale di Chiara Ferragni, dovranno pagare rispettivamente 400 mila e 675 mila euro di multa, mentre la Balocco dovrà pagarne 420 mila.

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Tecnologia

C’è un’indagine sulla Venere influencer

Author: Wired

La Venere del Botticelli utilizzata per la campagna di comunicazione Open to meraviglia del ministero del Turismo non compare più da giugno. Gli account social ufficiali dell’operazione hanno smesso di pubblicare contenuti a tema o sono stati cancellati (su Twitter è rimasto solo l’account parodia). Di fatto, la campagna è ferma.

Per questo motivo la Corte dei conti del Lazio ha aperto un’indagine per danno erariale, ovvero la perdita di denaro pubblico causato da dipendenti, amministratori o funzionari della pubblica amministrazione o di società di controllo pubblico. Stando alle prime indiscrezioni, una richiesta di chiarimenti verrà presto notificata al ministero del Turismo.

La scomparsa in piena stagione turistica

La notizia arriva dal sito di Repubblica. Il quotidiano fa notare come la “Venere influencer” sia sparita dalle piattaforme “in piena stagione turistica, nonostante la spesa sostenuta per lanciare l’iniziativa”, come raccontato per primo dal Foglio.

La campagna, costata 9 milioni di euro di fondi pubblici, era stata inaugurata lo scorso 20 aprile dal ministero del Turismo. Nata come operazione utile a invogliare i turisti di tutto il mondo a trascorrere le vacanze nel Bel paese, il suo simbolo – una Venere del Botticelli digitale nella veste di influencer intenta a scattare selfie in piazza San Marco a Venezia, a correre in bicicletta ai piedi del Colosseo o nel pieno di una gita in barca a Capri – ha sin da subito scatenato l’ilarità sui social. Il caso era montato anche in Parlamento, quando il forzista Pierantonio Zanettini aveva presentato un’interrogazione alla Camera denunciando “errori grossolani” anche sulla rappresentazione di alcune località e alcuni monumenti situati in Veneto.

L’eco mediatica, con i commenti irriverenti e la denuncia della scarsa qualità delle immagini pubblicate dall’agenzia Armando Testa, responsabile della campagna social, sono durati almeno un paio di mesi. Fino alla fine di giugno, quando l’ultimo post della campagna (stavolta con Venere in vista a Taormina) è stato pubblicato sulle piattaforme. Poi, quasi nulla più: visitando la pagina Instagram venereitalia23, si può notare come nelle ultime settimane gli utenti, sempre con ironia, abbiano iniziato a commentare i già vecchi post della campagna, chiedendo notizie della scomparsa Venere e, più in generale, sulle motivazioni dello stop alle pubblicazioni.

Una “scelta ponderata” per il ministero

Al momento, il ministero del Turismo avrebbe riferito a Repubblica che la momentanea sparizione della “Venere influencer” sarebbe “una scelta ponderata” pensata per “far atterrare le campagne sul portale italia.it”, il sito del ministero del Turismo che vuole aiutare i visitatori a pianificare viaggi e visite in Italia. In ogni caso, come scrive il quotidiano, si tratta di una nuova “grana legale” per Daniela Santanchè, a margine di un’estate già turbolenta per la ministra.

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Economia Tecnologia

L’Italia ha incassato 390 milioni dalla web tax

Author: Wired

Nel 2022 l’imposta sui servizi digitali (Digital service tax), la web tax italiana, ha portato nelle casse dello stato un gettito di circa 390 milioni di euro. La cifra è contenuta nella risposta del ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) a una interrogazione posta dal deputato grillino Emiliano Fenu in commissione Finanze alla Camera.

In particolare, l’80% della somma totale è stato generato da imprese straniere, mentre tra le voci che determinano l’imposizione fiscale, ovvero pubblicità online, servizi di intermediazione tra utenti, trasmissione dati degli utenti, la fonte principale del gettito creato è stata la prima.

Questi dati, aggiornati al 20 luglio scorso, segnano per il 2022 un risultato superiore di 92 milioni di euro rispetto al 2021. Anno in cui peraltro era stata registrata una quota già maggiore rispetto al 2020, quando gli introiti da web tax si erano fermati a 240 milioni.

Esclusi i dichiaranti italiani, che sono in tutto 48, sono gli Stati Uniti il paese più rappresentato: sono stati infatti 45 i soggetti a stelle e strisce raggiunti dall’imposta, per un ammontare totale di 34 milioni di euro. Gli Usa non sono però i maggiori contributori, perché il gettito più alto, pari a quasi 130 milioni, è arrivato dall’Irlanda, paese in cui hanno sede numerosi colossi del web.

Come funziona la web tax

Come è spiegato sul sito dell’Agenzia delle Entrate, “l’imposta sui servizi digitali si applica nella misura del 3% sui ricavi derivanti dalla fornitura” di alcuni servizi e riguarda “la pubblicità digitale su siti e social network, l’accesso alle piattaforme digitali, i corrispettivi percepiti dai gestori di tali piattaforme, e anche la trasmissione di dati ‘presi’ dagli utenti”.

Un ricavo – si legge ancora – è imponibile se l’utente del servizio digitale è localizzato nel territorio dello Stato. Per i servizi di pubblicità online, l’utente si considera localizzato nel territorio dello Stato se la pubblicità appare sul proprio dispositivo nel momento in cui è utilizzato nel territorio dello Stato. La localizzazione nel territorio italiano del dispositivo è determinata sulla base dell’indirizzo IP dello stesso”.

Sono chiamati a pagare l’imposta gli esercenti attività d’impresa che realizzano “ovunque nel mondo, singolarmente o congiuntamente a livello di gruppo, un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni di euro” e incassano in Italia non meno di 5,5 milioni. I versamenti devono essere effettuati entro il 16 maggio di ogni anno.

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Economia Tecnologia

Netflix non si dà pace con gli abbonamenti

Author: Wired

Netflix continua a rivedere le proprie strategie. L’ultima novità in ordine di tempo riguarda la rimozione dell’abbonamento base dal novero dei piani che la società di streaming permette di sottoscrivere. Una decisione che, come riporta Engadget, è stata per ora riservata unicamente agli utenti canadesi della piattaforma.

Ancora una volta lo Stato nordamericano viene dunque utilizzato dal colosso di Los Gatos come banco di prova delle proprie politiche aziendali: già in occasione della stretta sulla condivisione delle password con amici e parenti residenti altrove gli abbonati del paese erano stati tra i primi destinatari della misura.

Il cambio

Fino a questo momento sono stati in tutto quattro i piani di Netflix in Canada: accanto a quello base da 9,99 dollari canadesi c’erano quello base con pubblicità da 5,99 dollari, quello standard da 16,49 dollari e quello premium da 20,99 dollari. Chi si abbonerà da adesso in poi alla piattaforma potrà però scegliere solo tra gli ultimi tre, mentre è fatta salva la possibilità di continuare a usufruire dell’abbonamento base per chi lo ha sottoscritto in passato, almeno finché non lo disdirà o non lo cambierà.

La decisione della società fondata da Reed Hastings e Marc Randolph spingerà chi avrebbe scelto il piano più economico tra quelli esenti da pubblicità a scegliere se spendere di più per continuare a guardare i propri contenuti preferiti senza interruzioni o se pagare meno per l’abbonamento che prevede inserimenti di tipo commerciale. La più classica delle situazioni “win win” per Netflix, che da un lato incasserebbe di più direttamente dai clienti, dall’altro ingolosirebbe sempre più inserzionisti.

Nel primo trimestre del 2023, d’altronde, negli Stati Uniti la società di streaming ha incassato più dal piano base con pubblicità che da quello standard, nonostante il costo mensile del primo sia di soli 6,99 dollari e quello del terzo di 15,49 dollari. Al momento non è detto che la modifica attuata in Canada possa essere estesa agli utenti statunitensi. Probabilmente, però, questo potrebbe essere il momento giusto per passare dall’abbonamento standard a quello base senza pubblicità.