Categorie
Economia Tecnologia

Netflix non si dà pace con gli abbonamenti

Author: Wired

Netflix continua a rivedere le proprie strategie. L’ultima novità in ordine di tempo riguarda la rimozione dell’abbonamento base dal novero dei piani che la società di streaming permette di sottoscrivere. Una decisione che, come riporta Engadget, è stata per ora riservata unicamente agli utenti canadesi della piattaforma.

Ancora una volta lo Stato nordamericano viene dunque utilizzato dal colosso di Los Gatos come banco di prova delle proprie politiche aziendali: già in occasione della stretta sulla condivisione delle password con amici e parenti residenti altrove gli abbonati del paese erano stati tra i primi destinatari della misura.

Il cambio

Fino a questo momento sono stati in tutto quattro i piani di Netflix in Canada: accanto a quello base da 9,99 dollari canadesi c’erano quello base con pubblicità da 5,99 dollari, quello standard da 16,49 dollari e quello premium da 20,99 dollari. Chi si abbonerà da adesso in poi alla piattaforma potrà però scegliere solo tra gli ultimi tre, mentre è fatta salva la possibilità di continuare a usufruire dell’abbonamento base per chi lo ha sottoscritto in passato, almeno finché non lo disdirà o non lo cambierà.

La decisione della società fondata da Reed Hastings e Marc Randolph spingerà chi avrebbe scelto il piano più economico tra quelli esenti da pubblicità a scegliere se spendere di più per continuare a guardare i propri contenuti preferiti senza interruzioni o se pagare meno per l’abbonamento che prevede inserimenti di tipo commerciale. La più classica delle situazioni “win win” per Netflix, che da un lato incasserebbe di più direttamente dai clienti, dall’altro ingolosirebbe sempre più inserzionisti.

Nel primo trimestre del 2023, d’altronde, negli Stati Uniti la società di streaming ha incassato più dal piano base con pubblicità che da quello standard, nonostante il costo mensile del primo sia di soli 6,99 dollari e quello del terzo di 15,49 dollari. Al momento non è detto che la modifica attuata in Canada possa essere estesa agli utenti statunitensi. Probabilmente, però, questo potrebbe essere il momento giusto per passare dall’abbonamento standard a quello base senza pubblicità.

Categorie
Tecnologia

Abbiamo parlato con alcune delle vittime di molestie nelle agenzie pubblicitarie di Milano

Author: Wired

Diaferia è un peso massimo nell’industria pubblicitaria italiana. Guastini lo accusa di molestie ai danni di giovani professioniste del settore, alcune delle quali vengono raccontate dopo la sua intervista. Al momento Diaferia non risulta indagato e, contattato da Wired, non ha risposto alla richiesta di intervista. Per Guastini il problema stava nel fatto che, data la sua posizione, Diaferia poteva “incontrare giovani professioniste del settore per valutarne il talento ed eventualmente facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro”.

Guastini fa anche riferimento a uno specifico episodio che vede coinvolta una sua ex stagista, Giulia Segalla, nel 2011. Con Wired Guastini ritorna al febbraio di quell’anno, quando viene eletto presidente dell’Art directors club italiano (Adci), una associazione del settore, di cui Diaferia è stato componente fino all’allontanamento avvenuto il 7 giugno scorso. Nel 2011, racconta Guastini, “da un mese ero a conoscenza del fatto che Pasquale Diaferia avesse molestato una mia stagista” e spiega di non aver parlato prima di questa vicenda in accordo con la ragazza, che al tempo era ventenne, “perché mi aveva detto esplicitamente di avere paura e di non voler troncare sul nascere la sua carriera”.

Nel suo ruolo di presidente dell’Adci Guastini avrebbe potuto allontanare Diaferia dall’associazione. Sul punto racconta: “Ho fatto in modo che se ne andasse da solo, utilizzando modi respingenti. Non potevo mandarlo via altrimenti visto che la storia di molestia non era pubblica né c’era una denuncia”. Diaferia è stato sbattuto fuori dall’Adci poche settimane fa. Nella comunicazione sul proprio sito web, l’associazione fa sapere che “il consiglio direttivo all’unanimità in data mercoledì 7 giugno ha deliberato l’esclusione del socio Pasquale Diaferia”, senza chiarire però le ragioni. Solo con una nota successiva del 22 giugno, quando ormai il metoo della pubblicità italiana è diventato un caso mediatico, la presidente dell’Adci, Stefania Siani, dichiara di provare “un profondo sgomento per l’entità delle testimonianze emerse in questi giorni”, esprimendo “una condanna ferma orientata ad un atteggiamento di tolleranza zero” e “solidarietà a tutte le vittime di episodi di sessismo”. Nella stessa comunicazione Adci annuncia che a luglio sarà prevista una assemblea generale dei soci proprio sull’argomento.

Gli abusi nel 2010

Con Wired Giulia Segalla ripercorre gli abusi di cui è stata vittima. “Nel 2010 – racconta – ho iniziato uno stage presso l’agenzia di Massimo Guastini [Cookies Adv, ndr, estranea ai fatti oggetto di contestazione] e venendo da fuori Milano, a vent’anni, mi sono trovata in un ambiente culturale e di crescita personale molto stimolante”. A quel punto entra in scena Diaferia. “Durante un convegno, una sera, l’ho conosciuto – prosegue Segalla -. Abbiamo finito abbastanza tardi, potevo tornare a casa con i mezzi pubblici, ma mi ha offerto un passaggio fino a dove al tempo vivevo, Settimo milanese”, città alle porte del capoluogo lombardo. Nulla succede nel tragitto in auto, finché, ricorda Segalla, Diaferia “a un certo punto si è fermato a bordo strada con la macchina. Non sapevo dove fossimo, al tempo i telefoni non davano la possibilità di localizzarsi. Ha cominciato a farmi delle avances, a sfiorarmi, a mettermi le mani dove gli pareva e a provare a baciarmi”.

Categorie
Economia Tecnologia

Youtube sta per lanciare un canale di live shopping

Author: Wired

Il prossimo 30 giugno Youtube lancerà il suo primo canale commerciale ufficiale dedicato alla vendita in diretta, e lo farà in Corea del Sud. A darne notizia, come riporta l’agenzia Reuters è stata il 21 giugno la testata sudcoreana Yonhap.

Come spiega quest’ultima, la vendita di prodotti in live streaming ha già conquistato una fetta importante del mercato nel paese asiatico grazie alla strategia messa in campo e al successo conseguito dal gigante della tecnologia Naver. Un’esperienza che rende questa nuova avventura di Alphabet tutt’altro che un salto nel buio.

Il nuovo canale partirà come un progetto prova di 90 giorni e opererà in lingua coreana. Inizialmente, secondo quanto risulta a Yonhap e ad altre testate della Corea del Sud, Youtube fornirà alle aziende interessate una piattaforma di vendita dal vivo: nelle previsioni, dovrebbe trasmettere in streaming le televendite in diretta di circa trenta marchi diversi.

Come riporta l’agenzia Reuters, già a febbraio il capo della divisione commerciale di Google Philipp Schindler aveva affermato che, grazie alle entrate pubblicitarie di Youtube derivanti dalla scelta degli inserzionisti di preferirla a piattaforme concorrenti come per esempio TikTok, Alphabet ha “un grande potenziale per riuscire a rendere facile per le persone fare acquisti dai creator, dai marchi e dai contenuti che amano”.

Il mercato azionario non è rimasto indifferente all’indiscrezione rilanciata dall’agenzia Yonhap. Nella mattinata del 21 giugno le azioni di Naver sono infatti scese del 4%, mentre quelle di Lotte Shopping, un gigante coreano del commercio e dell’ecommerce, sono calate del 3,3% a fronte di un calo generale del mercato dello 0,5%.

Secondo le previsioni, il mercato del commercio in diretta in Corea del Sud dovrebbe crescere quest’anno fino a 10 trilioni di won, pari a 7,05 milioni di euro, quasi il quadruplo rispetto ai 2,8 trilioni registrati nel 2021. Attualmente Naver detiene una quota del mercato di circa il 60%, seguita da Kyobo Securities. Ma l’avvento di Alphabet è destinato a sparigliare le carte sul tavolo.

Categorie
Economia Tecnologia

Non si possono usare opere d’arte, come il David di Michelangelo, per fare pubblicità

Author: Wired

Il David di Michelangelo potrebbe dare la spallata finale alla campagna social Open to meraviglia con la contestata Venere influencer voluta dal ministero del Turismo. Con una sentenza storica, il tribunale di Firenze ha sancito l’esistenza del diritto all’immagine dei beni culturali, vietandone l’uso indiscriminato a fini pubblicitari o commerciali senza l’autorizzazione degli enti che li tutelano.

L’Accademia delle belle Arti di Firenze ha vinto un’importante causa contro una nota casa editrice, rimasta anonima, che ha usato l’immagine del David di Michelangelo senza permesso o canone per l’utilizzo, accostandola a quella di un modello. In questo modo, secondo il tribunale, avrebbe svilito, offuscato, mortificato e umiliando l’alto valore simbolico e identitario dell’opera d’arte si legge su Adnkronos.

La sentenza

Così, accogliendo le tesi dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze, il giudice ha affermato come l’immagine dei beni culturali sia espressione dell’identità culturale e dell’immaginario collettivo della nazione, così come della sua memoria storica. E per questo motivo è protetta dall’articolo 9 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica deve tutelare “il paesaggio e il patrimonio storico e artistico” del paese.

La sentenza, che è costata una multa da 50mila euro alla casa editrice, è stata pronunciata poche settimane dopo un verdetto analogo pronunciato in una causa tra l’Accademia di belle Arti di Venezia e Ravensburger, per l’uso non autorizzato e non pagato del disegno dell’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci. E in linea con una decisione del 2017, sempre contro l’uso a fini commerciali del David di Michelangelo.

Il diritto di immagine

Ma l’ultimo pronunciamento è il primo del suo genere a sancire l’esistenza del diritto all’immagine dei beni culturali come “espressione del diritto costituzionale all’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima nazione”. Un principio che potrebbe mettere in seria difficoltà i ministeri del Turismo e dello Sport, che hanno trasformato un altro simbolo del patrimonio culturale italiano, la Venere di Botticelli, in una raccolta di stereotipi sull’Italia.

La campagna della Venere influencer è stata oggetto di ampie critiche ed è finita al centro di un’interrogazione parlamentare per danno all’immagine del paese, presentata da un senatore di Forza Italia. Il caso del David può creare un precedente su autorizzazioni e permessi chiesti alla Galleria degli Uffizi, dove è conservata la Nascita di Venere di Sandro Botticelli, per lo sfruttamento dell’opera per la campagna promozionale.

Categorie
Economia Tecnologia

Internet è diventata la nuova televisione

Author: Wired

Nel 2015, ormai un decennio fa, il saggio online The Web We Have to Save di Hossein Derakhshan fece piuttosto parlare di sé. A scriverlo era un autore iraniano che aveva trascorso i precedenti sei anni in carcere a causa delle sue attività politiche e pubblicistiche. Il saggio raccontava dell’esperienza dell’autore con internet prima e dopo il carcere: da una rete che ricordava una biblioteca, da cui era possibile passare da un contenuto all’altro seguendo liberamente i link, a una rete molto più simile alla televisione, dove i contenuti venivano offerti a flusso continuo, spinti da algoritmi il cui scopo è tenere gli spettatori quanto più all’interno delle piattaforme dove quei contenuti vengono fatti circolare. Il web, insomma, era cambiato in modo radicale nel corso degli anni che Derakhshan aveva trascorso in prigione. Dall’uscita di quel saggio – che nel frattempo è stato citato a dismisura, diventando un piccolo classico della pubblicistica digitale – sono passati altri dieci anni. Dieci anni in cui, però, internet è rimasta ferma allo stesso punto.

Lo si è detto in tantissime formule, il modo in cui si discute di internet nel dibattito pubblico è cambiato radicalmente negli ultimi anni, con oscillazioni importanti tra toni utopici e distopici, sempre per lo più enfatizzati e poco sostanziosi. È almeno dall’esplosione del caso Cambridge Analytica che impera il techlash, un, potremmo dire, spirito dei tempi particolarmente avverso e critico nei confronti della rete e dei suoi principali attori tecnologici ed economici: a farne parte sono un misto di rancore nei confronti di speranze deluse, scandali, panici morali, managerportati a testimoniare nei Parlamenti e crollo dei finanziamenti e dei guadagni. Eppure, nonostante questo clima, non “succede” mai niente online: le grandi piattaforme possono perdere fette importanti di utenti, qualche miliardo di capitalizzazione, bruciare prodotti e progetti ritenuti strategici, ma non sembra nemmeno possibile immaginare un cambio di paradigma rispetto a quello che queste aziende hanno imposto.

Una nuova tv

L’idea di Derakhshan, quella per la quale internet sarebbe diventata la nuova televisione, sembra essere più vera che mai: navigare su internet – se ancora questa immagine ha ancora senso quando gli smartphone e le app sono gli strumenti più usati in tutto il mondo – oggi è in tutto e per tutto una esperienza televisiva. A dominare sono i video e i Reel, specialmente sulle piattaforme controllate da Meta, e pompati dagli algoritmi al centro della nostra esperienza online. TikTok, con la sa crescita esponenziale, sta guidando i trend e le dinamiche del capitalismo digitale, influenzando anche le scelte strategiche della concorrenza, gli stili e i formati della comunicazione digitale, la moda, la produzione audio e video e sostanzialmente ogni altra cosa. Viviamo, in sostanza, in un mondo il cui immaginario mainstream assomiglia sempre di più a quello dei video della piattaforma cinese e con una crescente aspettativa che tutto assomigli a come le cose funzionano su TikTok stessa. Balletti compresi, distopia compresa.

Blake Chandlee, presidente soluzioni globali di business di TikTok, in una intervista pubblicata dal New Yorker nel 2022, ha rimarcato in modo netto le differenze tra la piattaforma per cui lavora e Facebook: loro sono una piattaforma social, noi siamo una piattaforma di intrattenimento. Sembra una dichiarazione banale, ma riassume candidamente, in realtà, il cambio di paradigma avvenuto negli ultimi anni per quanto riguarda la nostra vita online. Come ha scritto l’accademico Christian Fuchs, la retorica del web 2.0 imperante nei primi anni 2000, voleva che le piattaforme di rete – o almeno il loro ritratto ideologico e svuotato di qualsiasi tratto economico-politico – fossero intrinsecamente partecipative e in grado di fornire occasioni di empowerment ai loro utenti. Non si può negare che in qualche misura sia andata proprio così, come dimostra, per esempio, il ruolo importante dei social media nel coordinamento dei movimenti di protesta. In buona parte, però, quell’idea – come parte della più vasta ideologia della rivoluzione digitale, come l’ha definita invece lo storico dei media Gabriele Balbi – ha cercato di descrivere qualcosa che non si è materializzato.