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Quarto potere e quella realtà filtrata dai media

Author: Wired

Grazie anche alle intuizioni di Welles, Gregg Toland, considerato uno dei primi grandi direttori della fotografia, introdusse in Quarto Potere una grande profondità di campo che permise al regista di mettere a punto uno stile tanto compositivo, quanto narrativo facendo un uso del montaggio per l’epoca innovativo. Qualcosa che rende, ancora oggi, il linguaggio di Quarto potere tecnicamente ineccepibile. Altro aspetto quello della colonna sonora, composta tra l’altro da un genio come Bernard Herrmann, che non solo enfatizza l’immagine ma vive anche di luce propria. Un’attenzione maniacale quella nei confronti del sonoro che, senza alcun dubbio, Welles aveva sviluppato a seguito della sua esperienza in radio.

Qual è la realtà più reale?

Se quindi Orson Welles riempie gli occhi dello spettatore di suggestioni visive e sonore, di riflessioni attualissime sull’ambizione e sul potere, oltre che sulla parabola di trionfo e di caduta di un uomo c’è un aspetto di Quarto potere che, soprattutto oggi, parla di noi. Se infatti, come abbiamo detto, il film è un racconto a ritroso, un tentativo di catturare l’essenza di un uomo che – fino alla fine resterà un mistero, a distanza di ottantatré anni Welles ci invita a riflettere su quanto lo storytelling delle nostre vite sia viziato in un’epoca, la nostra, in cui i media sono molto più presenti rispetto al 1941.

Qual è la realtà più reale: quella che ci viene mostrata, che decidiamo di mostrare e che quindi va a rappresentare l’altro e noi stessi oppure quella che rimane celata agli occhi del mondo? Chi siamo davvero: chi diciamo di essere al mondo oppure quello che raccontiamo a noi stessi? Probabilmente l’essenza più profonda di ogni individuo è destinata a rimanere un puzzle – come quello che tenta di comporre la moglie di Kane, un enigma irrisolvibile agli occhi del mondo e in parte, anche a noi stessi.

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Another End, ovvero quando la tecnologia aiuta a superare il lutto

Author: Wired

Another End del regista Piero Messina, presentato in anteprima in concorso all’ultima Berlinale e il 19 marzo al Bifest, arriva nei cinema il 21 marzo. Il film racconta la storia di Sal (Gael García Bernal), in lutto per la morte della moglie, morta in un incidente stradale mentre lui era alla guida dell’auto.

Sua sorella Ebe (Bérénice Bejo) gli suggerisce di ricorrere alla compagnia per la quale lavora e che promette la possibilità di vivere un’altra fine con la persona cara alla quale non si è stati in grado di dire addio in modo appropriato. Un seconda chance resa possibile da una tecnologia in grado di “caricare” i ricordi, la coscienza di chi non c’è più nel corpo di un’altra persona per un tempo sufficiente a fare pace con la loro scomparsa.

Dopo aver superato le perplessità iniziali, Sal acconsente, ma in breve tempo comincia a provare attrazione per la donna che ospita la coscienza della moglie e a essere curioso della sua vera vita. Fino al finale a sorpresa che ribalta quello che lo spettatore ha creduto fino a quel momento.

Il mio personaggio in un certo senso è simile ad altri che avevo già interpretato, ma la storia, nel suo insieme, è molto originale. Al centro c’è un mondo che non esiste ma che potrebbe diventare reale presto”, dice la Bejo. Che, alla domanda scontata se lei ricorrerebbe una tecnologia del genere nel caso fosse disponibile, ribatte: “Me lo sono chiesta e la mia prima risposta è stata un no assoluto. Poi, ci ho ripensato… Non lo so con certezza. Ma la questione è: che cos’è la coscienza? Quella vocina che parla nella nostra testa? Non lo sappiamo e non penso che si arriverà a scoprirlo presto. C’è ancora un dibattito rispetto agli animali: chi dice che hanno una coscienza, chi lo nega assolutamente. Se mai qualcuno troverà una verità scientifica, quel giorno è lontano. E io non credo che ci sarò più”.

Che cosa ci rende le persone che siamo, qual è il peso dei ricordi nella somma che determina l’identità di ciascuno di noi, ma anche che cosa amiamo dell’altra persona, quanto incide l’aspetto fisico, per esempio, e di quanto tempo abbiamo bisogno per dire addio per sempre alle persone care? Sono alcune delle tanto domande che il film pone. Ma anche quesiti sul rapporto stesso che tutti noi nella quotidianità abbiamo con la memoria.

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I migliori fumetti ispirati a Dune

Author: Wired

La fantascienza epica è tornata sullo schermo con Dune 2 di Denis Villeneuve. Una visione spettacolare, e molto personale, dell’omonima saga di fantascienza di Frank Herbert. Così Hollywood dimostra che sia possibile produrre blockbuster basati su una sci-fi adulta, matura, e lontana dalle derive fantasy di Star Wars.

Per chi ha amato il film di Villeneuve, la versione di Lynch o i romanzi di Herbert (ovviamente!), ecco i migliori fumetti ispirati a Dune. Tra vermoni giganti, sabbie senza fine, e la mitica Spezia che offre la chiave per comprendere e dominare l’universo, la guerra tra Harkonnen e Atreides rivive sulle pagine di queste graphic novel e comic book. Tante letture che ripropongono le vicende del film o raccontano nuove storie inedite, tutte ovviamente ambientate nell’universo di Frank Herbert e del suo erede, il figlio Brian Patrick Herbert.

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Chi ha vinto l’Oscar come miglior film negli ultimi 20 anni?

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Chi ha vinto l’Oscar come miglior film dieci anni fa? E vent’anni fa? Ecco un piccolo aiuto: nel primo caso si trattava di una dolorosa epica contro la schiavitù e nel secondo era un film che conteneva un vero e proprio “tesssoro”. Certamente quella di Best Picture è la categoria più importante e ambita di tutte le statuette consegnate ogni anno agli Academy Awards. Quest’anno, per esempio, se la contendono film che hanno fatto parlare molto di sé, come Oppenheimer e Barbie, o come Killers of the Flower Moon, ma anche sorprese dell’ultima ora come Poor Things e American Fiction, oltre a gemme internazionali come La zona d’interesse, Anatomia di una caduta e Past Lives, senza dimenticare possibili outsider come Maestro e The Holdovers.

oscar 2024 curiositàTutte le curiosità sugli Oscar 2024 in vista della cerimonia

Record di nomination, prime volte, traguardi importanti e qualche nomination solitaria e finale

Chiunque si aggiudichi l’attesissimo premio, magari tra un po’ di anni sarà già dimenticato, travolti come siamo dalla miriade di film che escono ogni mese. In effetti se vi chiedessero quale titolo ha vinto questo riconoscimento principale nel 2022 già forse vacillereste (era, a scusante di tutti, il primo anno post-pandemico). Inoltre molto spesso degli Oscar si ricordano episodi eclatanti come la caduta di Jennifer Lawrence o lo schiaffo di Will Smith piuttosto che i singoli vincitori, seppur importanti. Nessuno, al contrario, può dimenticare cosa accadde nella cerimonia del 2017, con lo scandalo della busta sbagliata: come vincitore del miglior film fu infatti annunciato La La Land, ma a vincere effettivamente era stato Moonlight (eh sì, vi ricordavate di Moonlight?).

article imagePer la miglior colonna sonora originale agli Oscar 2024 sembra tutto già scritto

Le candidature di quest’anno non rappresentano la grandissima varietà delle produzioni musicali legate al cinema. E la competizione diventa un po’ prevedibile

Tecnicamente l’Oscar come miglior film (Best Picture o, in passato, Outstanding Motion Picture) è il premio che viene assegnato ai produttori (tre al massimo) della pellicola che, nei dodici mesi precedenti alla cerimonia, è considerata la più meritevole tra tutte quelle uscite. Solitamente il film che vince anche nella categoria miglior regia, ottiene anche quest’altro riconoscimento (è successo 68 volte su 95, l’ultima eccezione nel 2022). Di solito, poi, i film nominati in questa categoria sono quasi sempre in lingua inglese e nel corso della storia solo 17 titoli in lingua straniera hanno ricevuto una candidatura come Best Picture (tra cui Il Postino nel 1995): nel 2019 il coreano Parasite ha addirittura vinto, mentre quest’anno sono ben tre (Anatomia di una caduta, Past Lives e La zona d’interesse) a essere candidati. Un’altra statistica rilevante riguarda le registe: nei 96 anni di vita degli Oscar, sui 601 film nominati solo 22 erano diretti da una donna e l’ultimo a vincere è stato Nomadland (diretto da Chloé Zhao) nel 2021.

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10 attori e attrici che non hanno mai vinto l’Oscar

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Con la nomination agli Oscar 2024 de La Meravigliosa Storia di Henry Sugar fra i cinque migliori cortometraggi dell’anno, Wes Anderson è ufficialmente entrato a far parte del cosiddetto Five-Timers-Club, quel ristrettissimo gruppo (sono solo quattro persone) di cineasti e interpreti che hanno ricevuto una o più candidature in almeno cinque categorie diverse, fra le attuali 23, premiate con l’Oscar: era già finito tre volte nella cinquina delle migliori sceneggiature originali, una nella regia, due nel film animato e una nel miglior film. Se questa ottava nomination dovesse bastargli per fargli prendere finalmente in mano la statuetta, c’è anche un altro collega– che di candidature ne ha accumulate ben 12 – che non ha ancora sentito chiamare il suo nome dal palco del Dolby Theatre.

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Le candidature di quest’anno non rappresentano la grandissima varietà delle produzioni musicali legate al cinema. E la competizione diventa un po’ prevedibile

Dal 2013 a oggi, infatti, Bradley Cooper è stato candidato quattro volte come attore protagonista, una come attore di supporto, cinque volte come produttore del miglior film e – grazie alle due pellicole che ha diretto – anche come sceneggiatore. Maestro, passato in concorso dall’80esima Mostra del Cinema di Venezia e nominato a 7 statuette, oltre a farlo balzare da 9 a 12 candidature personali avrebbe tutte le carte in regola per fare incetta di Oscar: un biopic, su una delle colonne (sonore?) portanti della cultura statunitense; una massiccia dose di trucco prostetico (del veterano Kazu Hiro); un’intensa performance dell’attrice protagonista Carey Mulligan e lunghe sequenze di baroccheggiante regia. Vedremo cosa succederà.

Certo non se la passa meglio Annette Bening, anche lei in gara quest’anno per il film Netflix NYAD – Oltre l’Oceano: quinta volta in gara come migliore attrice, la quarta come attrice protagonista – che dall’inizio degli anni Novanta a oggi è riuscita a vincere due Golden Globe, un BAFTA, due SAG, ma mai un Oscar. Certo è anche un altro il nome che (non) riecheggia nella stanza: quello di Diane Warren. L’autrice della canzone originale The Fire Inside, cantata da Becky G durante la cerimonia di premiazione e nel film Flamin’ Hot, è arrivata infatti a 15 candidature, tutte nella stessa categoria, le ultime dieci peraltro – fra il 2015 e il 2024 – quasi tutte consecutive.

Vero è che il suo collega 92enne John Williams ha raggiunto quota 54 (è la persona più candidata della Storia dopo Walt Disney): ma almeno lui ha vinto cinque volte.

Tornando però a parlare di attori, nel 2016 avevamo cominciato a disperarci per le nomination di Leonardo DiCaprio, tutte andate a vuoto, che l’avevano portato a correre furioso sul tappeto rosso di un gioco online, prima di rompere finalmente la maledizione con Revenant – Redivivo: ma non sapevamo che già all’epoca c’era chi stava messo peggio.

(E, per la cronaca: gli altri due membri del Five-Timers-Club, tutti uomini ovviamente, sono George Clooney e Kenneth Branagh).

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Record di nomination, prime volte, traguardi importanti e qualche nomination solitaria e finale